Proseguono le recensioni cinematografiche di Giorgio Giusfredi, mio personale consulente, nonché scrittore, sceneggiatore di fumetti e cuoco. I pareri che esprime sono sua responsabilità, ma di solito li condivido. In ogni caso, i complimenti e le critiche vanno indirizzate a lui.
CINEMA AL CINEMA 10
luglio 2013
di Giorgio Giusfredi
INTO DARKNESS - STAR TREK
Un film di J.J. Abrams. Con John Cho, Benedict Cumberbatch, Alice Eve, Bruce Greenwood, Simon Pegg. Titolo originale Star Trek Into Darkness. Fantascienza, durata 132 min. - USA 2012. - Universal Pictures
Tenendo bene conto che il regista di questo film sarà colui che riporterà nelle sale anche la saga di Guerre Stellari, è inevitabile che da lui ci si aspettasse molto. Aspettative però deluse da una pellicola che sì diverte, sì affronta temi classici come l'amicizia e l'amore, ma li spettacolarizza con trovate visive che ormai sembrano far parte dell’unico settore cinematografico su cui investire ma lasciano come al solito alquanto vuoto lo spettatore che esce dalla sala. Il film, insomma, non aggiunge niente a ciò che di bello la saga dell’Enterprise ci ha fatto vedere. Saltella galleggiando tra i classici topoi che Kirk, Spock e compagni ci hanno abituato frequentare, senza eguagliare e superare capolavori passati. Cosa che, invece, è in dovere di fare un’opera di tali mastodontiche produzioni. Il cattivo funziona grazie all’attore che lo interpreta, come perfetti sono gli attori ingaggiati e già visti nel precedente film sui Trekkers spaziali di J. J. Abrams. Per riassumere l’insoddisfazione derivate da un prodotto buono, ma non ottimo come ci si attende, si potrebbe descrivere la sequenza iniziale. Una fuga, visivamente molto bella: il capitano ha sottratto un manufatto su di un pianeta che ricorda tribù africane, gli indigeni lo inseguono. Fin qui tutto bene. Colori, paesaggi, personaggi, inquadrature: ottimi. Poi, non si capisce il perché, il capitano molla il manufatto e l’astronave che lo aspetta è sott’acqua, quando si sa benissimo che possiede il teletrasporto, e soprattutto, ci viene detto che se il vulcano erutterà il pianeta esploderà. Azioni e affermazioni che lasciano quantomeno perplessi perché prive di verosimiglianza agli occhi di chi guarda. A Hollywood si devono mettere in testa che lo spettatore, anche se frastornato dagli esperti speciali, si rende, consciamente o inconsciamente, conto dei buchi di sceneggiatura. E questi determinano, in maniera universale, la soddisfazione o l’insoddisfazione di chi ha assistito allo spettacolo.
CHA CHA CHA
Un film di Marco Risi. Con Luca Argentero, Eva Herzigova, Claudio Amendola, Pippo Delbono, Pietro Ragusa. Thriller, durata 90 min. - Italia 2013. - 01 Distribution
Il titolo è furbo e la metafora che propone – utilizzata in molti noir del passato – accomuna il ritmo del film a qualcosa di estemporaneo che vi succede. Per esempio, in questo caso, c’è un personaggio secondario che assieme alla sua ragazza si preparano per una gara di cha cha cha. Purtroppo, l'accostamento non funziona. Gli elementi della "detetective story" ci sono tutti: un investigatore triste e solitario a cui ne capitano di tutte, una attrice agèe leggermente nevrotica, un laido cattivo, la polizia corrotta, gli sgherri e i morti ammazzati. Ragazzini morti ammazzati. Questo ultimo punto sembrerebbe sancire, grazie a una ritrovata cattiveria dei cineasti ‘de noatri’, un ottimo punto a favore per la rinascita del genere italiano, ma il film nonostante alcune buone cose non supera la prova, se paragonato con capolavori americani o francesi o, semplicemente, con capolavori italiani del passato. I problemi stanno in alcuni personaggi, specialmente quelli cattivi o semicattivi. Essi sono resi ridicoli sia delle interpretazioni degli attori che dalla sceneggiatura: parlano e si comportano come fossero Pietro Gambadilegno e Macchia Nera. Non si riesce mai a entrare veramente nel tetro mood di cui un film del genere ha necessariamente bisogno e anche il meccanismo giallo è fin troppo smascherato, lontano eoni da trovate geniali come quella di Rollo Tommasi. Di contro la Herzigova recita benissimo, è straordinariamente perfetta nella parte; e alcune scene funzionano molto, segno evidente che il regista può farlo, il noir. Per esempio la lampante citazione della coppia Cronenberg-Mortensen della lotta nuda del protagonista funziona molto e dura anche molto. Il nudo è addirittura, se possibile, più sbandierato e integrale e la violenza si percepisce chiaramente e questo è buono. Argentero sta nel mezzo tra le cose buone e cattive di questo film perché ha dei guizzi, come nella scena sopracitata, ma anche degli ammosciamenti e, lui, può fare molto di più come dimostrato ne "Il cecchino" di Placido. Insomma basta insistere e continuare a produrre film del genere, anche se, già questa pellicola, è stata mal distribuita.
L'UOMO D'ACCIAIO
Un film di Zack Snyder. Con Henry Cavill, Amy Adams, Michael Shannon, Kevin Costner, Diane Lane. Titolo originale Man of Steel. Fantastico, durata 143 min. - USA, Canada, Gran Bretagna 2013. - Warner Bros Italia
La più grande delusione degli ultimi anni. Si potrebbe ricercare i colpevoli di tale fallimento tra i titoli di coda ma la verità è che si parla di un film talmente brutto, noioso e sbagliato che sarebbe difficile distinguerli. È stupefacente poi che abbia avuto un discreto successo; d’altronde la macchina pubblicitaria e i nomi dietro le quinte come garanzia garantivano tanto e quanto il personaggio, l’invincibile Superman. Snyder per esempio aveva proprio inanellato i suoi capolavori trasponendo fumetti su grande schermo, vedi "300" e "Watchmen", e quindi ci si aspettava un altro ottimo lavoro. Ma forse è proprio partendo da questa considerazione che possiamo analizzare cosa è successo. Sia in "300", ma soprattutto in "Watchmen", il regista (indubbio conoscitore e fan del prodotto di partenza) si era attenuto alla regia fumettistica. Soprattutto con l’ucronico capolavoro di Alan Moore aveva ricalcato inquadrature e sequenze, oltre che agli splendidi dialoghi, cambiando solo il finale, ma riuscendo anche in quello. Allora viene da pensare che la colpa sia proprio concettuale a livello di scrittura. Infatti Goyer, lo sceneggiatore, potrebbe essere additato come uno dei principali responsabili del fallimento. La trama fa acqua da tutte le parti. Le scelte di montaggio sono incomprensibili, come incomprensibili sono le soluzioni narrative che ci propinano (muoiono migliaia di persone inutilmente!). Non c’è un personaggio che si salva, né – nonostante il cast stellare – un attore che riesca a farti credere nella parte. Amy Adams, la peggio di tutti, dipinge una Lois Lane insopportabile a livelli siderali, deus-ex machina per ogni problema: ci spiega (guardando in camera!!!) come funziona la propulsione fantasma e come avrebbero, di là a poco, salvato il mondo. Spiegazioni raffazzonate, forzate e spiattellate. Per non parlare di quando, per prima, l’ardita giornalista dal vezzoso, insostenibile naso all’insù, scopre i poteri di Superman passeggiando allegramente in una notte polare a meno quarantotto gradi centigradi con indosso solo un piumino. Le assurde iperboli già viste nella sceneggiatura "Il ritorno del cavaliere oscuro" erano probabilmente frutto della stessa mente. Ma là, Nolan, ci aveva messo più di una pezza. E pensare che, notizia recente, si annuncia la presenza addirittura di Batman nel seguito di questo film. L’unica cosa salvabile, in mezzo all’accozzaglia di niente, sono le immagini di Superman da bambino in posa con una tovaglia a mo’ di mantello, il suo cagnolone vicino con la lingua penzoloni e il tramonto sullo sfondo. Unico momento epico di un film che avrebbe voluto esserlo e non lo è.
THE LONE RANGER
Un film di Gore Verbinski. Con Armie Hammer, Johnny Depp, Ruth Wilson, Tom Wilkinson, Helena Bonham Carter. Titolo originale The Lone Ranger. Avventura, durata 135 min. - USA 2013. - Walt Disney
Finalmente, in questa mandata di pellicole, un film dal quale traspare garbo e amore per il cinema. Un film divertente con anche qualche trovata interessante. Siamo lontani, ben intendendoci, dal capolavoro western, ma, forse, ormai, con tali blockbuster che pretendono piacere a grandi masse, è difficile che i registi si sbilancino e seguano il loro cuore di estro artistico. Verbinski, comunque, riesce, mediando, a ottenere un prodotto fluido che sicuramente non farà storcere nasi e che, in fondo, è western, divenuto ormai un prodotto di nicchia. Il regista aveva dimostrato di saperlo fare già con Rango, film di animazione. In questo "Lone Ranger" il Mac Guffin (come chiamava Hitchcock il pretesto che fa muovere la narrazione) è l’avidità. L’avidità che si distingue in due quella pura della ricerca dell’argento e quella, altrettanto classica, che descrive con quanti sotterfugi, scorrettezze, lacrime e sangue sia stata stesa la famosa ferrovia verso ovest negli Stati Uniti. Questi citati sono topoi western che più western non si può. E anche la risma di cattivi presenti si può perfettamente inquadrare nel genere; come alcune scene dell’eroe buono Tonto. Il ranger solitario, invece fa parte dell’edulcorazione necessaria a una pellicola disneyana, ma risulta simpatico anche grazie al grazioso Armie Hammer. Verbinski ci regala dei campi lunghi di fordiana memoria utilizzando al meglio le moderne tecnologie, arricchendo l’immaginario del selvaggio ovest di alcune immagini dettate dalla sua personale visione: inquadrature oblunghe dal basso o dall’alto che accrescono la stima dello spettatore nei confronti del regista perché si chiede come possa avere fatto a girarle. Ci sono anche dei tocchi di "leoniana italianità" come l’uso del Dolly nelle scene di massa e alcune sequenza ferroviarie che non possono che ispirarsi al capolavoro "C’era una volta il West". Anche la fotografia è buona, pure se un po’ di polvere in più non avrebbe guastato. Depp dipinge un altro grande personaggio, gigioneggiando molto meno di quello che ci si aspetta vedendo il trailer. Tonto è diverso da Sparrow, è serio, è drammatico. L’ilarità scaturisce dai suoi fallimenti che, rispetto a quelli del pirata, comportano profonde ferite nell’animo. Tutte le spiegazioni, persino quella del corvo in testa, funzionano e non sono mai didascaliche. Interessante anche la retorica sulle leggende del bandito protagonista: chi dice che mangia i cuori delle vittime, chi le viscere e chi i piedi. A voi scoprire di quale parte è ghiotto il cattivo. Classico l’oggetto feticcio del film: un orologio a cipolla da due soldi, tassello fondamentale nel puzzle dell’intreccio. I più attenti potranno infatti risolvere subito la trama mistery presente perché, all’inizio, come la buona Agatha Christie insegnava, ci mostrano già la soluzione in un fotogramma. Per dire di più, il fotogramma citato, è seguito dalla comparsa del personaggio interpretato da un Helena Bonham Carter finalmente in palla e divertente: la maitresse Red – di jodorowskyana memoria – con la gamba d’avorio tatuata che nasconde una micidiale arma alla ‘Planet Terror’. Esaltante la sequenza finale sulle note del Gugliemo Tell di Rossini, già colonna sonora del radioromanzo degli anni trenta da cui era tratto sia il vecchio fumetto che, poi, questo film.