Ho parlato più volte, anche in questo spazio, della mia infanzia, dei miei sogni di bambino e di ragazzo, dei miei ingenui esercizi fatti scrivendo racconti e romanzetti, dei primi tentativi per riuscire a pubblicare qualcosa, degli articoli usciti su fantine e giornaletti parrocchiali. Ci sarebbe, ovviamente, tanto ancora da raccontare e alcuni aneddoti potrebbero persino essere divertenti. Però, adesso, vorrei ritornare con la memoria a quando, a un certo punto, rischiai di cominciare a lavorare come giornalista (e, se le cose fossero andate diversamente, magari oggi potrei addirittura fare un mestiere diverso).
Che io sia nato con la vocazione per la scrittura era stato chiaro a tutti fin dagli anni delle elementari. Guardare la dedica nella foto qua accanto: la mia maestra Adriana Palchetti, nel gennaio del 1972, regalò a tutti i suoi alunni un libro e sul frontespizio del mio scrisse: "al nostro piccolo 'grande' scrittore, con affetto". Evidentemente mi vedeva sempre con la penna in mano e il cervello in frenetica attività. I miei genitori, dal canto loro, mi esortavano continuamente perché uscissi di casa e andassi a giocare a pallone con gli altri ragazzi: io invece, imperterrito, passavo i pomeriggi battendo furiosamente sui tasti della macchina da scrivere che mi ero fatto comprare pregando e supplicando. Insomma, scrivere era il mestiere che volevo fare da grande.
Già, ma scrivere cosa? Non avevo ancora capito che si sarebbe trattato di fumetti, benché di fumetti ne leggessi in quantità, e immaginavo che avrei scritto romanzi, pur senza aver ben chiaro quali erano i meccanismi dell'editoria (e se lo avessi saputo, forse mi sarei scoraggiato). Ipotizzavo che avrei scritto commedie, dato che mi cimentavo nell'inventare sketch e scenette comiche che poi riuscivo persino a mettere in scena nel teatrino parrocchiale, con l'aiuto del parroco e delle pazientissime suore dell'oratorio che frequentavo. Ma, a un certo punto, arrivai a sperare che magari sarei diventato giornalista. Fin quando non fui maggiorenne, non osai farmi avanti in nessuna direzione. Ma dopo i diciotto anni cercai una strada, e la trovai. A Firenze c'era la redazione locale del quotidiano "Avvenire". Un amico di poco più grande di me mi disse che cercavano qualcuno che scrivesse da Campi Bisenzio, il comune dove abitavo (ne vedete una bella immagine in alto). Dunque presi l'autobus e mi presentai. Venni ricevuto dal direttore, che parve ben disposto a lasciarmi provare: mi affidò l'incarico di andare a intervistare il sindaco della mia città, per farmi evidenziare le problematiche della comunità.
Presi appuntamento con il primo cittadino, che nel 1982 era una donna: Anna Maria Mancini. Ricordo che la segretaria mi chiese perché volessi parlarle e io, non so perché, non volli dirlo. Il sindaco mi ricevette lo stesso, molto perplessa. Si trovò davanti un giovanotto di diciannove anni armato di lapis e bloc notes. Spiegai il caso e lei accettò di rispondere alle mie domande. Tornato a casa elaborai un articolo e lo portai in redazione. Il pezzo venne pubblicato sul numero di venerdì 12 febbraio 1982, a pagina 12 di "Avvenire" edizione fiorentina, e la redazione lo intitolò "Campi, un comune senza disoccupati". Non venni pagato. Inviai per posta il ritaglio alla signora Mancini, che mi rispose lodandomi, e scrivendo qualcosa del tipo "lei è riuscito a descrivere la realtà della nostra cittadina molto meglio di altri più navigati giornalisti".
Che io sia nato con la vocazione per la scrittura era stato chiaro a tutti fin dagli anni delle elementari. Guardare la dedica nella foto qua accanto: la mia maestra Adriana Palchetti, nel gennaio del 1972, regalò a tutti i suoi alunni un libro e sul frontespizio del mio scrisse: "al nostro piccolo 'grande' scrittore, con affetto". Evidentemente mi vedeva sempre con la penna in mano e il cervello in frenetica attività. I miei genitori, dal canto loro, mi esortavano continuamente perché uscissi di casa e andassi a giocare a pallone con gli altri ragazzi: io invece, imperterrito, passavo i pomeriggi battendo furiosamente sui tasti della macchina da scrivere che mi ero fatto comprare pregando e supplicando. Insomma, scrivere era il mestiere che volevo fare da grande.
Già, ma scrivere cosa? Non avevo ancora capito che si sarebbe trattato di fumetti, benché di fumetti ne leggessi in quantità, e immaginavo che avrei scritto romanzi, pur senza aver ben chiaro quali erano i meccanismi dell'editoria (e se lo avessi saputo, forse mi sarei scoraggiato). Ipotizzavo che avrei scritto commedie, dato che mi cimentavo nell'inventare sketch e scenette comiche che poi riuscivo persino a mettere in scena nel teatrino parrocchiale, con l'aiuto del parroco e delle pazientissime suore dell'oratorio che frequentavo. Ma, a un certo punto, arrivai a sperare che magari sarei diventato giornalista. Fin quando non fui maggiorenne, non osai farmi avanti in nessuna direzione. Ma dopo i diciotto anni cercai una strada, e la trovai. A Firenze c'era la redazione locale del quotidiano "Avvenire". Un amico di poco più grande di me mi disse che cercavano qualcuno che scrivesse da Campi Bisenzio, il comune dove abitavo (ne vedete una bella immagine in alto). Dunque presi l'autobus e mi presentai. Venni ricevuto dal direttore, che parve ben disposto a lasciarmi provare: mi affidò l'incarico di andare a intervistare il sindaco della mia città, per farmi evidenziare le problematiche della comunità.
Presi appuntamento con il primo cittadino, che nel 1982 era una donna: Anna Maria Mancini. Ricordo che la segretaria mi chiese perché volessi parlarle e io, non so perché, non volli dirlo. Il sindaco mi ricevette lo stesso, molto perplessa. Si trovò davanti un giovanotto di diciannove anni armato di lapis e bloc notes. Spiegai il caso e lei accettò di rispondere alle mie domande. Tornato a casa elaborai un articolo e lo portai in redazione. Il pezzo venne pubblicato sul numero di venerdì 12 febbraio 1982, a pagina 12 di "Avvenire" edizione fiorentina, e la redazione lo intitolò "Campi, un comune senza disoccupati". Non venni pagato. Inviai per posta il ritaglio alla signora Mancini, che mi rispose lodandomi, e scrivendo qualcosa del tipo "lei è riuscito a descrivere la realtà della nostra cittadina molto meglio di altri più navigati giornalisti".
Quelli di "Avvenire" avrebbero volto che portassi altri pezzi, ma il fatto è che mi si chiedevano proposte che riguardassero sempre Campi Bisenzio. Ecco, fu questo il punto: a me, questo tipo di collaborazione non interessava. Avrei voluto occuparmi di libri, di fumetti, di cinema, di costume, o magari anche di cronaca nera. Non è che rifiutai di proseguire: semplicemente, preso dagli studi universitari e dai testi che comunque scrivevo per le fantine fumettistiche, rimandai di giorno in giorno il proposito di tornare nella redazione del quotidiano e finii per non andarci più. In seguito, lo stesso comune di Campi diede vita a un suo settimanale, molto ben fatto, intitolato "Disegno Comune", e mi fu chiesto di curare una rubrica di fumetti che io volentieri portai avanti per alcuni anni.
Nel tempo, ho finito per scrivere comunque su giornali piuttosto importanti, sempre come free lance e su commissione: basterà dire che quando morì Giovanni Luigi Bonelli fui io a scrivere il pezzo in prima pagina de "Il Giornale". Ho pubblicato anche sul settimanale "Rinascita" e su "Libero". Non ho, fortunatamente, vincoli ideologici e dunque se c'è da parlare di fumetti qualunque direttore è autorizzato a contattarmi.
Oggi come oggi, se volessi ottenere il tesserino da pubblicista immagino che non avrei problemi: pubblico di continuo pezzi regolarmente pagati (per esempio, ogni settimana nelle introduzioni dello Zagor di Repubblica). Una volta divenuto pubblicista potrei tentare l'esame da giornalista. Ma, sinceramente, mi sembra una fatica inutile. Ho il mio lavoro e ne sono contento. Se comunque, a questo punto, siete curiosi di leggere il mio primo articolo "importante", lo trovate qui di seguito. Tenete conto però che la realtà di Campi Bisenzio a distanza di trentadue anni è molto cambiata e, forse, oggi, qualche disoccupato purtroppo c'è. Però, in compenso, sono arrivate le scuole superiori.
Nel tempo, ho finito per scrivere comunque su giornali piuttosto importanti, sempre come free lance e su commissione: basterà dire che quando morì Giovanni Luigi Bonelli fui io a scrivere il pezzo in prima pagina de "Il Giornale". Ho pubblicato anche sul settimanale "Rinascita" e su "Libero". Non ho, fortunatamente, vincoli ideologici e dunque se c'è da parlare di fumetti qualunque direttore è autorizzato a contattarmi.
Oggi come oggi, se volessi ottenere il tesserino da pubblicista immagino che non avrei problemi: pubblico di continuo pezzi regolarmente pagati (per esempio, ogni settimana nelle introduzioni dello Zagor di Repubblica). Una volta divenuto pubblicista potrei tentare l'esame da giornalista. Ma, sinceramente, mi sembra una fatica inutile. Ho il mio lavoro e ne sono contento. Se comunque, a questo punto, siete curiosi di leggere il mio primo articolo "importante", lo trovate qui di seguito. Tenete conto però che la realtà di Campi Bisenzio a distanza di trentadue anni è molto cambiata e, forse, oggi, qualche disoccupato purtroppo c'è. Però, in compenso, sono arrivate le scuole superiori.
AVVENIRE
Anno XV n. 23- Venerdì 12 Febbraio 1982
CAMPI,
UN COMUNE SENZA DISOCCUPATI
di Moreno Burattini
Vedere il numero dei propri abitanti raddoppiare nel breve volgere di venti anni non è cosa usuale per una cittadina, specialmente dopo che l'Italia, nel suo insieme, ha raggiunto da tempo il livello di "crescita zero" della popolazione. Eppure, a Campi Bisenzio le cifre parlano chiaro: circa 18.000 abitanti nel 1961, più di 34.000 nel 1982. Uno sviluppo come quello che ha portato Campi dalla condizione di grosso paese al rango di piccola città, non può che essere interpretato come sintomo di buona salute: se alla forte immigrazione dal Sud si è unito in questi ultimi anni anche il crescente afflusso di famiglie da Firenze e dai Comuni vicini, significa che Campi è davvero una cittadina aperta, capace sia di sopperrire alla sempre maggior richiesta di quelle abitazioni che mancano viceversa in tutto il comprensorio, sia di offrire lavoro e strutture sociali efficienti ai nuovi venuti. Se infatti i dati ufficiali di cui il Municipio dispone, e che vengono direttamente dall'Ufficio di Collocamento, sono attendibili, la disoccupazione non rappresenta per Campi un problema preoccupante.
SENZA DISOCCUPATI
Del resto il territorio comunale brulica di una miriade di imprese artigiane di piccole, medie ed anche grosse dimensioni, alle quali si aggiungono complessi industriali che vanno dalla piccola tintoria di filati fino alle nuove, grandi Officine Galileo; e quell'antica tradizione contadina e pastorale che il nome stesso, "Campi", lascia intendere, sembra scomparsa o, perlomeno, limitata agli orticelli dietro la casa. Una così rapida e brillante crescita ha portato però con sé, altrettanto rapidamente, anche problemi nuovi e talora angoscianti, dei quali quello del traffico è forse il meno preoccupante. Per esso si intravede comunque la soluzione dalla tanto attesa Circonvallazione Nord, da anni in costruzione, che dovrebbe consentire agli automobilisti di raggiungere Prato e Firenze evitando il caotico centro cittadino ed il malandato ponte rinascimentale, ormai incapaci di smaltire il moltiplicato numero di autoveicoli che l'insediamento urbano di Campi e la sua particolare posizione comportano. L'opera è in fase di avanzata costruzione- compiuta per buoni tre quarti- ma i lavori sono attualmente fermi. "Problemi derivati dall'esportazione dei terreni interessati", spiega il sindaco Anna Maria Mancini.
IL PRG VA RIVISTO
Il continuo sviluppo della città non crea soltanto problemi di traffico: è richiesto un continuo lavoro di urbanizzazione reso oltremodo difficoltoso dalla mancanza di infrastrutture adeguate, mentre il piano regolatore generale deve essere ancora rivisto. Come se non bastassero, si aggiungono a queste le preoccupazioni destate dall'elevato grado di inquinamento raggiunto dall'area campigiana. Non solo il fiume Bisenzio e praticamente tutti i corsi d'acqua del Comune sono inquinati in maniera assai grave, ma anche l'atmosfera comincia a darne i primi, allarmanti sintomi.
E la scuola? Mentre la tendenza media italiana tende a far abbassare il numero dei bambini, a Campi si sta verificando il fenomeno inverso. Di pari passo con l'incremento demografico è aumentata infatti anche la popolazione scolastica, al punto da rendere assolutamente insufficienti le aule e le strutture didattiche esistenti nel Comune. Verso la metà dello scorso decennio la situazione è divenuta insostenibile, e si sono resi necessari notevoli sforzi da parte dell'Amministrazione Comunale, che, a causa delle risapute e sperimentate deficienze della legge 641 sui finanziamenti pubblici pe gli edifici scolastici, si è accollata le spese per la costruzione di nuove scuole e la ristrutturazione di quelle già esistenti. Ai ragazzi di Campi la città offre asili, scuole elementati e medie, una biblioteca ben fornita, un fiorire di interessanti iniziative, ma neppure una scuola secondaria superiore. Il Sindaco ammette che la mancanza è fortemente sentita dagli studenti campigiani. La realtà economica della città, inoltre, è tale da consentire una notevole richiesta di tecnici e di periti, per cui un istituto professionale campigiano potrebbe offire numerosi sbocchi nel mondo del lavoro ai giovani della zona. Le decisioni circa l'installazione di nuove scuole è però della Provincia, ci ricorda la signora Mancini, presso la quale l'Amministrazione Comunale sta da tempo perorando la causa. Il Sindaco fa notare, inoltre, come Campi appartenga al distretto scolastico che fa capo a Sesto Fiorentino, centro a cui la città dovrebbe fare riferimento, ma col quale mancano i collegamenti tramviari, per cui è inevitabile il ricorso agli istituti fiorentini e pratesi da parte degli studenti campigiani.
TRASPORTO POCO EFFICIENTE
Non si può comunque dire che i servizi di trasporto verso Prato e Firenze siamo molto più efficienti. Campi è collegata con le due città così come lo era decine di anni fa, senza che i competenti abbiano mai tenuto conto delle accresciute esigenze della popolazione. Passando ad esaminare la gravità delle piaghe sociali così diffuse nella società moderna, a Campi non si registrano, fortunatamente, fenomeni preoccupanti di emarginazione. Gli immigrati non vengono ghettizzati, e non si devono segnalare episodi di repulsione tali da suscitare allarme. In alcuni casi si è dovuto assistere alcune famiglie cercando di inserirle nel tessuto sociale, in altri si è intervenuti presso diversi bambini che avevano problemi quali l'apprendimento della lingua. Di ben altra portata e gravità restano i problemi della droga e della violenza, scoppiati improvvisamente negli ultimi anni, sorprendendo, disturbando ed angosciando una cittadina da sempre tranquilla. In Dicembre l'Amministrazione Comunale e tutte le forse politiche locali si sono riunite discutendo il problema dell'ordine pubblico e rilevando l'urgenza di un pronto intervento per debellare non soltanto le forme di criminalità organizzata (a volte anche di stampo mafioso), ma anche pericolose forme di violenza più cruda e spicciola come gli atti di teppismo dovuti all'imperversare di bande di giovani. Il dramma della droga, poi, che fino a poco tempo fa poteva non interessare che relativamente le famiglie campigiane, adesso è esploso mostrandosi in tutta la sua gravità, e sempre di più sono i giovani che ne rimangono vittime. Piaghe sociali del genere non possono essere affrontate solo dalle forze politiche, e per questo tutte le associazioni e i circoli del Comune sono stati invitati ad attività di cultura e di sana ricreazione, per richiamare ed interessare i gioveni, per accoglierli ed impegnarli offrendo loro la possibilità di agire ed esprimersi lontano dalle suggestioni e dalle chimere della droga e della violenza.