sabato 30 gennaio 2016

LEZIONI DI FUMETTO



Quando, nella primavera del 2015, Laura Scarpa mi ha telefonato per annunciarmi la sua intenzione di dedicarmi uno dei titoli della collana "Lezioni di Fumetto", mi ha colto davvero di sorpresa. Per quella serie di volumi io ho scritto, in coppia con Graziano Romani, le biografie di (nell'ordine) Gallieno Ferrti, Giovanni Ticci e Sergio Bonelli. Mi consideravo dunque uno dei collaboratori di Laura e di Comicout (dopo esserlo stato di Francesco Coniglio e della Casa editrice che portava il suo nome), pronto a scrivere io a proposito dell'opera di qualche grande nome, e non mi era mai venuto in mente che mi sarebbe stato chiesto di essere, invece, l'oggetto della disamina. Anche perché, a scorrere l'elenco degli autori presi in considerazione dai precedenti saggisti c'è da farsi girare la testa: Ivo Milazzo, Dave Gibbons, Dave McKean, Corrado Mastantuono, Gipi, Roberto Diso, Angelo Stano, Claudio Villa, solo per citare alcuni dei disegnatori. E fra gli sceneggiatori, ecco Roberto Recchioni, Tito Faraci, Alfredo Castelli. A rigor di logica, prima di arrivare a me ne sarebbe dovuta passare di acqua sotto i ponti (per esempio, mi sarei aspettato di vedere libri dedicati a Sclavi, Boselli o Serra). Invece, non senza un certo imbarazzo, eccomi qua a parlare di un saggio-intervista che mi riguarda, uscito in occasione di Lucca Comics 2015.

In realtà, c'è un motivo che può aver convinto Laura a occuparsi del sottoscritto: nel corso del 2015 ho festeggiato i miei primi 25 anni di attività, celebrati con una mostra inaugurata in luglio dalla Provincia di Pistoia e durata oltre cinque mesi (ne abbiamo parlato più volte in questo stesso spazio) e con un il Premio Andrea Pazienza alla Carriera che ho ricevuto a Cosenza in ottobre. Per la cronaca, nel 2016 festeggerò (a maggio) il venticinquennale quale sceneggiatore di Zagor (e di questo torneremo a occuparci a tempo debito). Dunque, essendoci l'occasione, ecco anche un libro: grazie, Comicout! Saggio-intervista, dicevo: ottanta pagine di domande formulate Laura Scarpa e di lunghe mie risposte, sui tanti aspetti della mia vita professionale. Oltre che di parlare di me e del mio lavoro mi è stato chiesto anche di mostrare, praticamente, alcune delle mie sceneggiature, corredate dalle tavole che ne sono state tratte. Non mancano piccole polemiche e ci sono anche pronostici sul futuro del fumetto e consigli agli aspiranti sceneggiatori. Ricco anche il corredo iconografico con foto e disegni. Non sfugga la caricatura, opera della brava e spiritosa Andrea Barattin, che mi ritrae in copertina. L'agile volumetto costa dodici euro, si può acquistare on line, in fumetteria e allo stand ComicOut in tutte le principali fiere fumettistiche. 

martedì 26 gennaio 2016

CONSIGLI PER GLI ACQUISTI





Durante la 55° Mostra Mercato del Fumetto organizzata durante lo scorso dicembre a Reggio Emilia dall’ANAFI è stato presentato il volume “Jim Puma”, che inaugura la collana InediBooks curata proprio dall’Associazione Nazionale Amici del Fumetto e dell’Illustrazione. Si tratta di una raccolta di storie, inedite in Italia, illustrate da Gallieno Ferri tra il 1958 e il 1960 per il mercato francese, all’epoca della sua collaborazione con la Casa editrice SER (Societé d’Etions Rhodaniensis) di Pierre Mouchott. Di lì a poco, Gallieno sarebbe passato a disegnare Zagor: il suo tratto è già maturo e coinvolgente. Il volume di cui vedete qui accanto la copertina, conta 128 pagine in bianco e nero, costa 20 euro e si può richiedere direttamente all’Anafi Viale Ramazzini, 72  - 42124 Reggio Emilia (tel. 392 9806784, oppure via mail: info@amicidelfumetto.it ).

Che dire di Jim Puma? Poiché Mouchott cercava sempre di sperimentare nuovi titoli e nuovi personaggi alla ricerca di formule vincenti, Ferri si trovò a lavorare su più testate, spesso tenendole a battesimo, come Tom Tom e Kid Colorado (1957-1960), entrambi indiani solitario che lottano per la giustizia.  Nel 1958 fu la volta di Jim Puma, un trapper che vive sue avventure in compagnia del giovanissimo Dick,  un orfano da lui adottato, del suo amico indiano Incoche,  e del cane Mirko. I temi di queste storie sono quelli classici del western della vecchia frontiera: guerre fra cacciatori di pellicce, cercatori d’oro, falsari, trafficanti d’armi. Unica eccezione, quella in cui compare un misterioso popolo di uomini-caimano: Ferri dimostra ancora una volta di essere a suo agio con ogni genere di ambientazione ma soprattutto di saper perfettamente mescolare il fantastico con il realistico, in una riuscita contaminazione che sarebbe poi stata alla base del cinquantennale successo di Zagor. Jim Puma, edito in Francia sulle riviste antologiche “Rangers”, “Punch” e “Big Horn”, vide Ferri cimentarsi per la prima anche come autore di testi, un’esperienza destinata a ripetersi, alcuni anni dopo, anche con alcune storie dello Spirito con la Scure.




Un'altra, interessante iniziativa editoriale della rivista “SCLS Magazine”, è il volume “I compagni d’avventura di Zagor”. Per la prima volta vengono ristampate integralmente, in unico volume, le storie di altri pesonaggi uscite nelle pagine finali degli albetti a striscia della Collana Lampo, che ospitava le avventure dello Spirito con la Scure. Il tomo conta quasi 400 pagine e oltre alle avventure degli eroi d’appendice che completavano le prime edizioni dei racconti zagoriani (pubblicate nell’originale bianco e nero) troverete illustrazioni inedite a colori. Copertina e frontespizi interni sono dovuti al magistrale pennello di Alessandro Chiarolla.  È possibile avere informazioni sull’acquisto del volume inviando una mail all’indirizzo di SCLS Magazine: sclsmagazine@gmail.com oppure telefonando ai numeri: 328-4920420 (Francesco) o 348-7681641 (Stefano).

domenica 24 gennaio 2016

TEX SECONDO LETTERI



Sto portando avanti, da alcuni mesi, una serie di incontri nelle librerie italiane intitolate “Moreno Burattini presenta quattro libri”. Ho cominciato con due date a Milano (una, peraltro, presso il Megastore Mondadori di Via Marghera), per proseguire poi con Firenze, Bologna e Viareggio, mentre sono in programma eventi a Prato e Pistoia (in attesa di altre presentazioni in primavera). Uno dei quattro titoli che sottopongo all’attenzione del pubblico tra una facezia e l’altra tratta dai miei “Utili Sputi di Riflessione”, è il saggio scritto con Stefano Priarone “Tex secondo Letteri”, edito da Allagalla. 


Di Guglielmo Letteri, io e Stefano ci eravamo già occupati nel 1998 compilando i testi del catalogo di una importante mostra organizzata a Lucca da Antonio Vianovi. All’epoca, il disegnatore era ancora vivo (lo sarebbe rimasto fino al 2006) e ebbi modo di incontrarlo, fargli una lunga intervista, conoscerlo bene e ricevere da lui attestati di stima e di simpatia prima, durante e dopo la preparazione del libro, intitolato "Guglielmo Letteri & Tex - Omaggio a un Maestro dell'Avventura".



Nell’avvicinarsi del decimo anniversario della scomparsa del disegnatore, io e Priarone abbiamo proposto ad Allagalla di affiancare al saggio di Roberto Guarino sull’opera nizziana, “Tex secondo Nizzi”, un altro titolo che avrebbe potuto dare il via a una vera e propria collana dedicata ai principali autori di Aquila della Notte, appunto “Tex secondo Letteri”. L’idea era quella di riprendere in mano il testo del vecchio catalogo, allungandolo con nuove notizie e ampi approfondimenti, tenendo conto anche delle opere che il disegnatore romano aveva realizzato tra il 1998 e il 2006. Alla fine il testo proposto è risultato lungo il doppio del precedente da cui eravamo partiti. 

Allagalla non soltanto ha fatto un gran lavoro grafico corredando il saggio con un gran numero di immagini (comprese alcune rare foto), ma anche ottenuto di poter pubblicare in appendice due storie a fumetti che precedono l’arrivo di Letteri a Tex mostrando però la maturità già raggiunta dal suo tratto, quella che gli valse l’arruolamento nella squadra da parte di Giovanni Luigi Bonelli e di suo figlio Sergio. 

Giovanni Luigi Bonelli, peraltro, autore di uno di questi due racconti: “Rick Master”, pubblicato a suo tempo su un volume datato 1968 della “Collana Rodeo” ma risalente ad alcuni anni prima.  L’altro racconto è un episodio di Pecos Bill del 1963, uno dei cinque realizzati per questo personaggio da Letteri, appena rientrato dall’Argentina dove aveva lavorato con Pratt e il gruppo dell’Asso di Picche. Il volume è stato presentato a Lucca Comics 2015.

Nel dividerci e ruoli, io e Priarone abbiamo scelto di mantenere separati i nostri rispettivi contributi: mie sono la ricostruzione storico-biografica e l’analisi dell’evoluzione stilistica del disegnatore, di Stefano è la disamina puntuale di ogni singola storia texiana di Letteri. Mio il merito del sottotitolo  di cui vado orgoglioso: "Donne, magia e polvere da sparo". 

Sono molte, credo, le cose poco note riguardanti Letteri di cui si parla nel nostro libro, a cominciare dal suo talento di chitarrista jazz (era così bravo che avrebbe potuto percorrere una carriera del tutto diversa e di grande successo, ad altissimi livelli, anche in campo musicale), ma anche sui suoi anni argentini o sull'attività di un fratello, Giorgio, anche lui disegnatore molto attivo sul mercato inglese ma pochissimo pubblicato in  Italia. 

Hugo Pratt, Guglielmo Letteri e Ivo Pavone

Mi rendo conto, proseguendo la mia attività di saggista, di stare via via pagando alcuni debiti accumulati durante la mia infanzia: ho infatti scritto le biografie di Gallieno Ferri, Giovanni Ticci, Guido Nolitta e adesso Guglielmo Letteri, cioè di quattro autori che hanno segnato la mia vita. Spero di poter continuare perché la lista dei creditori è lunga. Qui di seguito troverete una delle due prefazioni del volume, quella firmata da Mauro Boselli (l’altra, altrettanto interessante, è di Claudio Nizzi): la pubblico perché dice un bel po’ di cose che mi sento di sottoscrivere. 




IL MIO DISEGNATORE PREFERITO
di Mauro Boselli

Mitla, il Diablero, Lucero, Esmeralda, El Morisco: bellissime donne, nemici tenebrosi, preziosi alleati di Tex... sono soltanto alcuni dei personaggi che mi vengono subito in mente quando penso all’eredità lasciataci da Guglielmo Letteri. Ho cominciato a leggere le avventure di Aquila della Notte alla fine degli anni Cinquanta, ancora prima di varcare la soglia della scuola elementare. Come si sa, a quell’epoca sugli albi a striscia c’era solo il segno inimitabile di Galep, che veniva coadiuvato talvolta dalle matite (ora più spigolose, ora più tondeggianti) di altri collaboratori che in seguito avrei imparato a identificare come Muzzi, Uggeri o Gamba, di cui già allora ero comunque in grado di distinguere gli interventi. Fu grande la mia sorpresa quando, poco tempo dopo, mi accorsi di una nuova mano, quella dell’autore di una meravigliosa storia ambientata a San Francisco, sulla Costa dei Barbari, tra squali e barracuda. Il suo tratto, per me, era fluido, evocativo e trascinante al pari di quello del grande Aurelio Galleppini. Quella fu la prima storia di Letteri su cui avevo messo gli occhi e da quel momento il disegnatore romano divenne il mio artista di Tex preferito. Trovavo soprattutto insuperabile il suo Carson, grazie a quella straordinaria espressività di cui Guglielmo era capace di dotarlo, con mimiche facciali ora ironiche ora burbere, ma sempre irresistibilmente simpatiche, durante i battibecchi con il pard, quando, durante una cavalcata, un bivacco o dopo un imprevisto bagno in un fiume, i due amici si concedevano (e concedevano a noi entusiasti lettori) quelle pause di vita vissuta e di dialoghi spumeggianti in cui Gianluigi Bonelli era maestro. Letteri mi sembrava il perfetto interprete dell’immaginario fantastico bonelliano, tant’è vero che tutti gli riconoscono un particolare talento nel rendere al meglio le atmosfere e le situazioni  magiche e misteriose, tenendole tuttavia ancorate a un sano e robusto realismo: caratteristiche queste che si ritrovano entrambe nel suo personaggio più famoso, El Morisco, il saggio curandero esperto in ogni scienza occulta (di cui a lungo ebbe l’esclusiva). Quando finalmente coronai il mio sogno e divenni sceneggiatore di Tex, fu con grande gioia che ricevetti l’incarico di lavorare con il disegnatore preferito della mia giovinezza. Non fu cosa facile, perché Guglielmo non aveva, notoriamente, un carattere semplice e spesso ricevevo da lui lunghe lettere scritte a mano in cui senza mezzi termini mi rimproverava per aver scritto una scena troppo complicata. Una volta storse il naso di fronte alla mia scelta di far cenare Carson in un ristorante di pesce di New Orleans, perché avrebbe dovuto disegnare troppe posate accanto al piatto! Naturalmente scrissi per lui alcune storie magiche e fantastiche e insieme inventammo un passato per El Morisco. Spero dunque di aver contribuito nel mio piccolo ad allargare ancora di più il lascito di emozioni che il grande Guglielmo Letteri ha lasciato in tutti noi.

venerdì 22 gennaio 2016

IL MOSTRO DI PHILADELPHIA



E' in edicola  “Il mostro di Philadelphia”, l’albo di Zagor n° 606 (Zenith 657). I testi (che proseguono una storia iniziata il mese precedente) sono miei,  la copertina di Gallieno Ferri.  All'interno, i disegni di Fabrizio Russo (alla sua prima esperienza zagoriana) concludono con un finale drammatico una trama cupa e noir, come si conviene a un racconto che ha per co-poptagonista lo scrittore Edgar Allan Poe. Era dai tempi in cui Mauro Boselli ha introdotto Poe nella saga zagoriana che pensavo a farlo tornare non come agente di Altrove (nome in codice: Raven), ma come figura tormentata. Appunto per questo, al suo primo apparire, lo vediamo recarsi all'ufficio postale con una lettera in mano indirizzata a un ammiratore, un certo Kennedy: le parole scritte in quella missiva sono vere, corrispondono cioè a quanto lo scrittore vergò di suo pugno proprio scrivendo a un mittente con quel nome. E' stato il modo di dire: il Poe che vi sto presentando è quello della realtà (almeno, di quella parte di realtà che può servire a rendere meno fantastica una "fabula" in cui compare un personaggio storico). 

Ci sono parecchi altri elementi tolti dalla biografia dell'autore de "Le avventure di Gordon Pym": per esempio, la sua casa era davvero così (anche se quella utilizzata era a Boston e non a Philadelphia). Per esempio, realmente qualcuno raccontò a Poe l'episodio degli atti di cannibalismo tra naufraghi, avvenuto durante la tragica odissea dei marinai dell' Essex, una baleniera di Nantucket affondata nel 1820 (se ne parla anche nel film di Ron Howard "Heart of the Sea" uscito, guarda caso, proprio in concomitanza con la prima parte della storia dello Spirito con la Scure). Per esempio, Poe era davvero ossessionato dal ricordo di  un uomo di nome Reynolds, tanto che sul letto di morte (1849) invocava nel delirio proprio questo nome. Ci sono poi le citazioni delle opere dello scrittore, da cogliere come inside joke: a "La lettera scomparsa" rimanda la scena all'ufficio postale in cui l'impiegato non trova la corrispondenza, a "I delitti della Rue Morgue" strizza l'occhio la "Morgue Street" che compare in una vignetta. 

Ho letto il commento di un emulo del l'indimenticabile Signor Emilio  (se non ricordate chi è, cliccate qui) in cui ci si dice basiti dell'efferatezza e della violenza di alcune scene. Rispondere mi è molto facile: l'efferatezza e la violenza sono quelle di Poe, dato che tutto ciò che si vede o è la semplice messa in scena delle pagine del suo romanzo (una lettura davvero angosciante) o ne è la diretta derivazione. Il tema del cannibalismo era già stato trattato su Zagor in almeno due altre occasioni: in "Sierra Blanca" e nello speciale "La leggenda di Wandering Fitzy", certo con modalità meno cupe, ma del resto non si può ignorare che una delle serie di maggior successo in TV sia "The Walking Dead", dove uomini che mangiano uomini sono l'argomento stesso di cui si narra, e la macelleria abbonda. Evidentemente c'è chi desidera che invece gli autori di Zagor ignorino ciò che avviene attorno a loro e non cerchiano, almeno in parte, di adattarsi al linguaggio degli altri media concorrenti. Non è che i cadaveri squartati si vedano su ogni albo, anzi, al contrario. Tuttavia, se la storia lo richiede, il ricorso a certe immagini deve poter essere nella disponibilità degli autori. Ciò detto, per quanto mi riguarda vi ricorrerò il meno possibile.

giovedì 14 gennaio 2016

LA CAPANNA NELLA PALUDE E ALTRI RACCONTI




Durante l’edizione 2015 di Lucca Comics è uscito un volume a mia firma targato Cartoon Club, intitolato “La capanna nella palude e altri racconti”. Il libro, che conta 160 pagine, che raccoglie in un unico volume il romanzo di Zagor “Le mura di Jericho” e due altri racconti (in prosa) con protagonisti lo Spirito con la Scure, tra cui uno mai pubblicato prima.  Avventure di frontiera, ma anche di mistero e di magia nel segno della contaminazione tra i generi tipica delle storie del nostro eroe. La copertina inedita è opera di Gallieno Ferri, ma all’interno ci sono numerose illustrazioni realizzate appositamente da una decina di disegnatori zagoriani. 

L’opera si può acquistare in fumetteria ma anche on line nei vari store telematici o tramite il sito http://www.fumodichina.com. Però potete anche scrivere o telefonare a Cartoon Club (Via Circonvallazione Occidentale, 58, 47900 Rimini – tel. 0541 784193). 

La prima edizione de “Le mura di Jericho” (di cui vedete la copertina qui accanto e di cui ho parlato a lungo in questo spazio quando uscì) è da tempo esaurita e dunque si imponeva una ristampa. Però, anziché limitarsi a quella, Paolo Guiducci (l’editore) mi ha chiesto di pensare a come offrire ai lettori qualcosa di nuovo, e dunque gli ho proposto di aggiungere al romanzo già pubblicato anche il racconto “La capanna nella palude” scritto per un evento dedicato a Ferri a Santa Margherita Ligure, ma con sostanziali modifiche, più un altro breve testo del tutto inedito (quello a cui si riferisce appunto l’illustrazione di copertina), intitolato “La casa”. 

Il sottotitolo recita “Tre Dime Novels di Zagor”, dato che in effetti si tratta proprio di letteratura pulp. A questo proposto, ecco il testo con cui ho presentato proprio questo ultimo racconto inedito.


Non aprite quella porta
di Moreno Burattini

Nella sua prefazione al primo racconto di questo volume, “Le mura di Jericho”, Giuseppe Pollicelli ha giustamente tirato in ballo i “dime novels”, o “romanzi da quattro soldi” che negli USA ripresero la tradizione dei  “penny dreadful” (cioè “orrore da uno spicciolo”),  pubblicati ancor prima in Inghilterra: un tipo di narrativa che, a partire dagli anni Trenta del diciannovesimo secolo, proponeva nel Regno Unito storie a puntate, con periodicità perlopiù settimanale, al costo di un penny per fascicolo. La definizione comprende una grande varietà di pubblicazioni, specializzate in romanzi avventurosi, a volte molto truculenti, sempre comunque scritti in tono sensazionalistico, puntando a sorprendere, inorridire, commuovere o comunque turbare il pubblico, composto soprattutto da acquirenti delle classi povere. Gli agili opuscoli potevano essere venduti a buon mercato anche perché venivano stampati su carta molto scadente, ricavata dalla cosiddetta “polpa” di cellulosa, la stessa da cui deriva il termine “pulp”, che indica la produzione artistica più popolare.

Illustrazione di Jevito Nuccio per
"Le mura di Jericho"
Venendo ad anni più recenti, con la definizione di “pulp magazine” si sono identificate alcune riviste di genere americane come “Weird Tales”, pubblicata a Chicago a partire dal 1923 e destinata a contenere racconti horror e fantastici: vi scrissero sopra autori come Robert Ervin Howard, Howard Phillips Lovecraft e Clark Ashton Smith. Già in precedenza, nel 1920, era nata però “Black Mask”, una rivista prevalentemente poliziesca ma che in realtà presentava, come recitava una pubblicità dell’epoca, "le migliori storie di avventura, i migliori mystery, le migliori storie romantiche e dell’occulto”. Data 1926 è invece “Amazing Stories”, con racconti di genere fantascientifico. Queste e (molte) altre testate del genere diedero il via anche a una vastissima produzione di fumetti “weird” (cioè, “bizzarri”) pubblicati su riviste come “Teles fron the crypt” (1950) o  “Creepy” (1964), per citare soltanto due fra le più illustri. Insomma, stiamo parlando di una incredibilmente vasta produzione di racconti brevi, fulminanti, per lo più horror e con un finale a sorpresa: un genere che può vantare perfino Edgar Allan Poe tra i suoi precursori. Nel filone rientrano anche serie di telefilm come “Twilight Zone” (“Ai confini della realtà”) o “Alfred Hitchcock presenta”. Come chissà quanti altri aspiranti scrittori ho sempre sognato di poter, un giorno, dare alle stampe una antologia di storielle di quattro o cinque pagine di questo tipo. I cassetti degli ex-ragazzi di mezzo mondo (almeno quelli cresciuti a pane ed EC Comics, o leggendo i “Racconti del Terrore” di Stan Lee pubblicati sugli Eureka Pocket) traboccano di raccontini del genere, a giudicare da quelli che vengono proposti sulle riviste o le antologie riservate agli esordienti. Per fortuna mia e dei miei lettori, i cento e passa short tales che ho accumulato nel tempo sono sempre rimasti sotto chiave. Però, trovandomi a dover (e voler) corredare il libro che avete tra le mani con un testo inedito più breve degli altri, ho pensato di rendere omaggio a questa tradizione che, indubbiamente, ha arricchito e divertito la mia vita. Del resto, Zagor si presta alle contaminazioni di ogni genere: ben venga anche questa.


martedì 12 gennaio 2016

CENTODIECI E LODE





Il 21 dicembre 2015, presso la sede l'Università Uninettuno, è stata discussa una tesi di Laurea su Zagor, che ha fruttato al candidato Massimo Barison il 110 e lode. Il titolo esatto dell’elaborato è “L’evoluzione del linguaggio del fumetto popolare italiano: Zagor, dal 1961 ad oggi”, la Facoltà quella di Scienze della Comunicazione. Barison individua nelle “dime novels”, o comunque nel pulps magazines, il punto di origine del percorso che ha portato alla nascita dello Spirito con la Scure, personaggio che comunque poi ha seguito una evoluzione in grado di rappresentare un perfetto specchio dello sviluppo del linguaggio del fumetto. Singolarmente, anche io mi sono laureato in Lettere con una tesi simile (sul sottofondo letterario nella sceneggiatura dei comics) e con lo stesso voto. 

Il dottor Barison (mi fa piacere chiamarlo così, anche se siamo diventati amici durante i mesi in cui Massimo ha redatto la sua Tesi) è venuto a consegnarmi in redazione il suo elaborato, che contiene anche una intervista al sottoscritto (oltre che una ditta disamina di molte mie storie), che pubblico qui di seguito.

La Laurea di Massimo Barison


Moreno Burattini e Massimo  Barison
INTERVISTA A MORENO BURATTINI

1) Nel suo blog “Freddo cane in questa palude”, lei afferma che lavorare nel campo dei fumetti è stato un sogno che si è avverato, ma con  Zagor si è cimentato anche nella scrittura di un vero romanzo, “Le mura di Jericho”. Che differenze ha riscontrato nello scrivere opere così diverse tra loro, anche se con  lo stesso protagonista? 

La principale differenza è consistita nella maggior fatica nel portare avanti la narrazione. Ogni medium ha il suo codice espressivo caratterizzato da regole proprie, e non è detto (anzi, è detto il contrario) che un autore sappia padroneggiare allo stesso modo i vari mezzi di comunicazione, anche qualora si tratti di usare tecniche in qualche modo paragonabili. Sceneggiando fumetti, io descrivo la scena da illustrare a un disegnatore, e gli indico i dialoghi perché lui possa far “recitare” i personaggi. Si potrebbe pensare che passando a scrivere la stessa scena in una prosa letteraria, il passaggio sia tutto sommato semplice. Non è così. Lo scrittore deve far “vivere” al lettore quel che racconta (mostrandoglielo davanti agli occhi e suscitandogli emozioni)  usando la suggestione delle parole, e serve un talento specifico. Io riesco a “vedere” la scena che verrà disegnata prima ancora che l’illustratore impugni la matita, e ho l’esperienza che serve per scegliere il numero giusto di vignette che sappiamo dare il ritmo più adatto a ogni sequenza: anche per questo serve un talento specifico. Sono tanti i casi in cui degli sceneggiatori di fumetti hanno scritto pessimi romanzi e altrettanti quelli di romanzieri anche famosi che non si sono rivelati in grado di sceneggiare un buon fumetto. Non mancano comunque esempi di autori bravi in entrambi i campi (Gianfranco Manfredi ne è uno, Tiziano Sclavi un altro). Mauro Boselli, di recente, ha scritto un’ottima novelization della vita di Tex Willer con la narrazione in prosa delle sue principali avventure collocate in ordine cronologico, e del resto Giovanni Luigi Bonelli si definiva “un romanziere prestato al fumetto e mai più restituito”. Nel mio piccolo, io ho provato a passare da un campo all’altro e credo di aver ottenuto un risultato dignitoso. Tuttavia, appunto, sudando sette camicie prima di potermi dire soddisfatto, e faticando su ogni riga.

 
La parte della Tesi in cui l'autore si occupa di Mortimer
2) Roland Barthes, semiologo del novecento,   definisce “scrivibile” la narrativa contemporanea, marcando una profonda differenza tra il modo classico di fare letteratura, dove la comunicazione narrativa tra Narratore (sorgente) e Lettore (ricevente) è di tipo bivoca e lineare e al lettore viene lasciato un ruolo passivo. In questo contesto, il testo narrativo è perfettamente “leggibile” e verosimile, ma non “scrivibile”.?Con il testo narrativo contemporaneo il lettore può “accedere pienamente all’incanto del significante”, alla “voluttà della scrittura”, sempre secondo Barthes, in quanto la comunicazione è multilineare, polifonica, ipertestuale e multilivello. A tal proposito si pensi alla narrazione dei videogames. Nello scrivere il fumetto di Zagor, che tipo di approccio ha con il lettore finale, “classico” o “contemporaneo”? 

Senza voler contestare Barthes, non credo che esista un solo lettore “passivo” di fronte alla comunicazione narrativa. Umberto Eco del resto ha scritto un saggio intitolato “Lector in fabula” in cui si analizza il ruolo del fruitore di fronte a una narrazione. Per quanto, indubbiamente, sceneggiando un fumetto come Zagor si usi un approccio “classico”, chi legge sarà chiamato a metterci del suo aggiungendo alle vignette il collegamento logico fra l’una e l’altra, i sonori, il movimento, i colori, la percezione dell’espressività mimica dei personaggi, la loro voce, una certa idea del freddo o del caldo, del vento o della pioggia, eccetera, fino ad arrivare alla simpatia o all’antipia suscitata da un character o da un altro, e dunque al coinvolgimento emotivo che varia inevitabilmente da lettore a lettore. Mi è capitato più volte di constatare, inoltre, come ogni appassionato abbia una sua propria, personale visione dello Spirito con la Scure: per qualcuno è un realistico personaggio western (e si contesta il suo uso in avventure di taglio fantastico), per altri è il protagonista di racconti horror (e si contesta il suo uso in avventure di taglio puramente western), per altri ancora è un cupo character da tragedia greca, con il peso sulle spalle del dramma personale che lo ha reso un dark hero, mentre per qualcuno si tratta di un tipo solare. La verità è, ovviamente, nel mezzo: le avventure di Zagor sono una contaminazione fra generi e lui incarna, in modo originale, le diverse sfaccettature dell’eroe positivo ma anche duro e determinato, facile al sorriso ma pronto a scatenare l’ira funesta del buono che si indigna. Ebbene: ogni lettore vorrebbe però storie scritte solo per lui, secondo la percezione che ha del protagonista. Due parole infine sull’etichetta di “classico” e di “contemporaneo”. Lo Spirito con la Scure è un personaggio nato nel 1961, e dunque nel 2015 ha festeggiato 54 anni di vita. C’è una tradizione da rispettare. I lettori apprezzano la “riconoscibilità” dell’eroe e disapprovano le innovazioni che scardinino troppo le consuetudini. Tuttavia, lentamente, gli autori di Zagor hanno fatto evolvere i loro stili grafici e narrativi in modo da adeguarli ai tempo, senza tradire l’ “ortodossia” nolittiana (Guido Nolitta, alias Sergio Bonelli, è stato il creatore letterario del personaggio).

Massimo Barison


3) Nei fumetti,  in particolare quelli d’avventura, il disegno assume un ruolo fondamentale nel descrivere scene drammatiche e veloci, ma anche lo “spazio bianco” che esiste tra una vignetta e l’altra, quello che Scott Mc Cloud definisce la “clousure” ha la sua importanza. Qual è la sua tecnica nel decidere cosa far disegnare e cosa lasciare  all’immaginazione del lettore?

Non manco mai di citare Scott Mc Cloud delle mie conferenze in giro per le scuole di ogni ordine e grado, e alla “clousure” ho dedicato un capitolo della mia tesi di laurea. Però, quando sceneggio, dimentico la teoria e mi affido alla pratica. Prima di essere uno scrittore di fumetti ne sono un lettore, cresciuto leggendoli. Ho il linguaggio del fumetto nel sangue (in particolare, quello interpretato dalla tradizione bonelliana) e non assecondo il mio gusto e il mio istinto. Immagino la scena disegnata e mi rendo immediatamente conto se può funzionare oppure no. Ho imparato tecnica e mestiere in venticinque anni di attività (pur avendo iniziato con una buona base di partenza dovuta appunto alla mia lunga frequentazione quale divoratore di avventure degli eroi di carta), e oggi riesco a visualizzare in modo piuttosto immediato quel che vado descrivendo nelle mie sceneggiature. Ma che si agisca meditandoci su con il manuale di Mc Cloud aperto sul tavolo da lavoro, o si scriva di getto (come faccio io), alla fine quel che conta è che ogni sequenza conti il giusto numero di vignette (né una di più, né una di meno). Se c’è un movimento, il passaggio da A a B deve essere comprensibile (o manca qualcosa), e non deve essere inutilmente lento (altrimenti, c’è qualcosa in più).


4) Le storie di Zagor che i lettori hanno più amato nel corso degli anni, sono quelle in cui avviene una narrazione odeporica, dove il viaggio e l’allontanamento da situazioni note (per Zagor la foresta di Darkwood) assume il pretesto per ridefinire la propria identità.  Allontanare Zagor da un “non luogo” come Darkwood per calarlo in ambienti geograficamente reali potrebbe aumentare l’identificazione del lettore con il protagonista ma al tempo stesso si rischia di snaturare il “carattere” del personaggio e quindi di renderlo sempre meno credibile di coerenza in un contesto di storytelling. Esiste questa possibilità o a un personaggio dei fumetti è comunque tutto permesso?

Zagor si allontanato da Darkwood molte volte. L’ultima, per compiere un viaggio attraverso tutto il Sud America fino alla Terra del Fuoco. Ma è stato anche nell’estremo Nord (in Alaska, Groenlandia, Islanda), sulla costa del Pacifico, in Messico, nei Caraibi, in Scozia, in Africa. Quando lo Spirito con la Scure esce dalla sua foresta incantata, incontra la Storia con la “S” maiuscola, ed eccolo incontrare (per fare un esempio) Charles Darwin; ma percorre anche itinerari geografici rintracciabili sulle carte e sulle mappe cittadine, come nel caso della sua visita in Perù, o in Cile. I viaggi e le trasferte fanno ormai parte del personaggio (fu Guido Nolitta il primo a inaugurare la tradizione di questi spostamenti periodici), per cui non c’è più alcun rischio di “snaturamento”. Del resto, Zagor si comporta da Zagor anche in capo al mondo.

Massimo Barison con la sua tesi


5) In un testo narrativo, e quindi anche in un fumetto, i  personaggi sono molto importanti . Ad essi è attribuita la responsabilità di portare avanti l'azione e  il racconto. Secondo Aristotele, nel personaggio esiste l’unione tra Pratton (colui che agisce) e Ethos (ciò secondo cui diciamo che chi agisce ha una propria “qualità” o Carattere, appropriato e conveniente (harmótt?n) all’azione compiuta  Il personaggio può essere definito statico (quando non cambia mai e sempre uguale a se stesso), dinamico (con cambio di atteggiamento, idea o ideali durante il racconto), piatto (quando la descrizione è sommaria e stereotipata) o tutto-tondo (quando si conoscono tutti gli aspetti, sia esteriori che interiori). Come definirebbe il personaggio di Zagor? Come è cambiato nel corso dei suoi 54 anni di vita editoriale?

Zagor è un personaggio “problematico”, nel senso che, diversamente da Tex, si pone dubbi, non divide nettamente il mondo in buoni e cattivi, ascolta le ragioni degli altri e cerca di capirne le motivazioni, rispetta gli avversari sconfitti e talora si dispiace per la loro morte. Suda freddo, soffre, stringe i denti, non è infallibile. Vince attraverso la sofferenza, non è invulnerabile né tetragono. Questo significa che può, se la storia lo richiede, cambiare idea. A volte lo abbiamo visto lasciar fuggire dei criminali a cui stava  dando la caccia, dopo essersi convinto del fatto che abbiano già espiato o che si meritino una seconda possibilità. Zagor è nato così già dal primo numero, quando si lascia convincere ad accogliere Cico nella sua capanna nonostante inizialmente avesse negato l’evenienza. Nella stessa avventura, senza l’aiuto del messicano lo Spirito con la Scure sarebbe morto più volte, segno appunto dell’ “umanità” del personaggio.


6) Anche il ruolo del personaggio è diversificato in protagonista, antagonista, oggetto, aiutante e avversario. Quanto sono stati importanti per il successo editoriale di Zagor i diversi ruoli dei personaggi? Può fare degli esempi?

I miti e leggende di ogni popolo basano la cosmogonia sull’eterno conflitto del Bene contro il Male. Lucifero si ribella a Dio e diventa il Nemico per antonomasia, il Serpente insidia Eva e dà origine a ogni guaio e dolore che affligge l’umanità. E tutta la Storia del mondo si deve leggere, secondo la Bibbia, come la lotta contro le insidie del demonio. Il finale è già scritto, e forse prevedibile, come nella migliore tradizione dell’happy end: sappiamo che il Bene trionferà nell’ultimo giorno. Passando dal macrocosmo dell’escatologia al microcosmo della letteratura, una delle regole principali della fiction è che i buoni debbano lottare contro dei grandi cattivi, per tenere i fruitori incollati al racconto, sia che si tratti di un romanzo, di un film, di un telefilm o di un fumetto. Chi sarebbe James Bond, se invece di salvare il mondo dovesse occuparsi di piccola criminalità? Un  questurino qualunque. Invece, ogni volta di fronte organizzazioni criminali potentissime, gestite da supernemici pericolosissimi, e in ballo c’è sempre il destino del pianeta. Perché una storia sia interessante, occorre che ci sia una posta in gioco interessante. Se un eroe lottasse contro ladri di galline per recuperare il pollo rubato alla vecchia massaia, chi e ne frega. Ma se la lotta è fra un eroe e un grande cattivo, degno di questo nome, allora sì che il racconto è avvincente. Per questo inventare grandi cattivi è importante quanto inventare dei buoni eroi. E altrettanto difficile. L’esempio di James Bond è paradigmatico perché sottolinea la necessità, per gli eroi cosiddetti “seriali”, di un continuo ricambio di avversari sempre nuovi e sempre più pericolosi. E se molti  personaggi dei fumetti sono, senza dubbio, eroi seriali, sicuramente lo sono quasi tutti quelli bonelliani. Grazie a Guido Nolitta, i mostri incontrati e combattuti dallo Spirito con la Scure sono maneggiati dagli autori con indiscutibile buon gusto e profondo rispetto per il lato oscuro della realtà, senza ricerca gratuita dell'effetto splatter. L'orrore secondo Nolitta non è mai insulso, ma cerca di scavare nell'animo e non di rado lascia un nodo alla gola, proponendoti alla fine il dubbio se anche il mostro non abbia diritto alla pietà. Per convincersene, basterebbe leggere (o rileggere) avventure come "L'uomo lupo", "Acque misteriose" o "L'orrenda magia", dove il licantropo, la creatura della Laguna Nera e l'Uomo Tigre si rivelano alla fine più vittime che carnefici. Nella serie di Zagor, i cattivi che sono rimasti nella mente dei lettori sono assai più numerosi che in quella di Tex. Forse per la natura della serie, più votata al fantastico, gli antagonisti dello Spirito con la Scure, sono decisamente eterogenei: scienziati pazzi, vampiri, stregoni, pirati, avventurieri, alieni, esseri mitologici e sovrannaturali.  Senza dubbio è Hellingen il villain principe della saga di Zagor. Classico scienziato pazzo, ispirato alle fattezze fisiche del Virus di Pedrocchi e Molino, il professor Hellingen, è sicuramente un genio, visto che con un buon secolo di anticipo si è creato televisori, radiocomandi e robot, ma la sua intelligenza e tutta votata al male. Il suo scopo è quello, chiaramente, di conquistare il mondo, e altrettanto ovviamente l’eroe in più occasioni, al termine di mitici episodi, riuscirà a fermarlo.  Il vampiro Bela Rakosi,  si colloca di diritto alle spalle del mad doctor, Non fosse altro perché è il degno protagonista di una delle più belle e terrificanti avventure della serie. Nella sua prima apparizione, il vampiro, grazie ai suoi straordinari poteri, dà del filo da torcere al nostro eroe fino ad un epico scontro all’alba che vede incenerito il malcapitato barone; ma niente paura, è difficile uccidere un non-morto, Rakosi tornerà ancora a scontarsi con lo Spirito con la Scure.
Del periodo classico di Zagor meritano una menzione anche Supermike, che riesce a insidiare il ruolo dello Spirito con la Scure presso i pellerossa, e Kandrax, un potente druido celtico che arriva dal passato dopo essere stato ibernato in una teca di cristallo. Dagli anni novanta il personaggio vive una seconda giovinezza editoriale, rinvigorito dall’ingresso nel cast di nuovi personaggi sia positivi che negativi, Zagor riesce a riconquistare il favore del pubblico. Tra i cattivi di questa nuova ondata segnaliamo un personaggio dalla personalità complessa, l’affascinante avventuriero Nat Murdo, spietato assassino in America, leggendario eroe in Scozia; la bella Madame Laveau, disegnata sulle fattezze di Naomi Campbell, un’intrigante e perfida sacerdotessa vudu  e il diabolico Mortimer,  genio del crimine senza scrupoli, che non esita ad allearsi e poi a servirsi anche di vecchi nemici di Zagor per raggiungere i suoi scopi.

7) Secondo lei Zagor è pronto per essere raccontato all’interno di un graphic novel oppure è possibile individuare delle storie già pubblicate in passato che corrispondono a questo genere?

Dovremmo prima capire che cosa si intenda per graphic novel. Se con questa definizione vogliamo indicare racconti a fumetti che abbiano la lunghezza e la dignità di un romanzo, direi che la maggior parte delle storie di Zagor corrispondano a questa accezione. L’unico problema è dato dalla serialità del personaggio, che non garantisce piena autonomia di lettura delle singole avventure. Ma individuando quelle in cui anche il lettore non “iniziato” riesca a capire il ruolo e le caratteristiche del protagonista e dei comprimari più ricorrenti che, nelle singole puntate della saga, vengono dati per scontati, indubbiamente la serie propone storie di un certo spessore. E, volendo, altre se ne potrebbero scrivere appositamente. I tre “albi giganti”, definiti comunemente “Zagoroni”, sono, secondo me, tre graphic novel.

venerdì 8 gennaio 2016

DEUS EX MACHINA




Vorrei tornare ancora una volta sul  storia del ritorno di Hellingen, e chiudere il discorso. Per farlo ricorrerò a Massimo Manfredi, usando un suo commento come spunto di discussione. Di Massimo una volta ho scritto, in un articolo pubblicato su questo blog, che è il lettore che ogni autore desidererebbe avere. Spiegavo così il perché: “è fedele e ben disposto ad ascoltare, acuto, intelligente, e non accondiscendente.Anche quando il suo giudizio è critico, argomenta senza acrimonia. Soprattutto, non serba rancore: dalla storia successiva è pronto a valutare ciò che gli viene proposto, senza pregiudizi. Se individua delle falle, conserva memoria dei meriti”. Nel gennaio 2013 io e lui abbiamo idealmente festeggiato insieme i primi venti anni di una consuetudine: l'arrivo in redazione di una lunga lettera in cui, con certosina pignoleria, Massimo esamina uno per uno tutti gli albi zagoriani dell'annata precedente appena conclusasi”. Per la cronaca, anche quest’anno la tradizione è stata rispettata. Nell’occasione del ventennale, però, ho pubblicato l’intero corpus delle sue disamine. Potete leggerle qui


Che cosa scrive, dunque, Massimo, di “Finale di partita” e degli albi precedenti? Copio e incollo il suo commento così come è apparso sul forum SCLS. Dopodiché proverò a spiegare il mio punto di vista.

La storia mi è piaciuta, e parecchio. A parte il finale. La metà disegnata da Ferri è quella che mi ha preso di meno (non certo per i disegni, eh!), dato che questi indiani robot sono gli avversari peggiori da leggere. Da un lato sono invincibili sul piano fisico, per cui pur essendo inizialmente stuzzicanti per le difficoltà create all'eroe, dopo pochi minuti diventano bloccanti per la narrazione; dall'altro essendo robot non hanno alcuno spessore psicologico, quindi oltre i cazzotti non vanno.

L'altra metà si prende invece subito ben altre altezze. Contribuiscono a questo:

- un Hellingen mai così feroce, sadico, pazzo. Se devo dire, forse anche troppo. Mi ha dato l'impressione che Burattini abbia voluto calcare sulle scene forti (anche visivamente splatter) quasi per contrastare certe accuse di "autore buonista" che gli vengono mosse. Il risultato è comunque notevole. Voglio avversari così: intelligenti e quasi superiori nel porsi verbalmente, figli di puttana nei fatti. Concordo che per alcune cose si discosta dall'Hellingen di Nolitta, che aveva anche diversi momenti mentalmente stabili, ma fa parte delle legittime interpretazioni dei vari autori che si occupano nel tempo di un personaggio, se non lo tradiscono. E non è stato fatto (aggiungerò qualcosa dopo);

- uno Zagor quasi specchio della sua nemesi, che perde la testa e le staffe di fronte a lui. E' una cosa che ho visto poco sottolineata nei vostri commenti. A me ha invece esaltato vedere uno Zagor così istintivo e umorale, che non si fa troppe seghe mentali e va a spaccare i grugni che si frappongono tra lui e la sua preda. Dato che si dice (a ragione) che negli ultimi anni è troppo moscio, e/o si parla di tradimenti nolittiani ecc. ecc., mi stupisce che nessuno rilevi quanto sia nolittiano questo carattere di Zagor, specie nelle sue più antiche incarnazioni. Ma anche nelle ultime se ricordate le urla folli quando a Skylab, dopo aver profanato la tomba di Hellingen davanti a un Perry atterrito, la scopre vuota;

- essere riusciti nell'impresa (ripeto: impresa) di fare una summa di tutti gli Hellingen visti fino a qua, spesso contrastanti tra loro (anche all'interno degli stessi di Nolitta, alle volte). E farla coerente e che sta in piedi. Certo, qualcosa si è dovuto sacrificare nell'opera di limatura.
Ma se riuscire ad andare oltre a quanto fatto da Sclavi era già difficile (e infatti Boselli ci riesce solo parzialmente, cioè ha senso la trovata ma qualitativamente mal gestita), andare oltre Sclavi+Boselli, senza negare il passato ma aggiungere qualcosa di nuovo, peggio ancora. Esame superato a pieni voti, per me;

- il passato del giovane Garth è ben raccontato e, se non c'erano state manifestazioni di razzismo così marcate in Nolitta, nemmeno si può dire che questa caratteristica sia incongruente con la sua mentalità. Ci può stare. Era una delle ipotesi sul suo passato, che non tradiscono il personaggio, e in linea con la sua forma mentis.
Per me va benissimo così. Altrimenti, scusate, per i puristi del mad doctor, che cosa ci doveva raccontare Burattini? Una ennesima invenzione folle con cui minacciare il mondo? Un robot da guidare tipo Mazinga? QUESTO SI' che lo avrebbe trasformato in macchietta, come è ad esempio Verybad. Moreno sceglie un'altra strada (come del resto i suoi predecessori) e fa benissimo. Può non piacere la resa (a me piace), ma la scelta in sé è corretta;

- sempre di Hellingen, apprezzo gli spiegoni scientifici fatti a Zagor (non importa che lui non li può capire, il lettore sì) che inspessiscono il narrato (a differenza appunto di quanto accade con le macchine di Verybad), e la parte della conferenza, che ne inspessiscono la psicologia. Qua, mi lascia solo perplesso l'ostracismo accademico degli intellettuali americani alle sue teorie che, al contrario, erano molto apprezzate, come ha fatto già notare Carlo Monni. Teorie continuate ben oltre il periodo zagoriano, se è vero come è vero che Hitler si è espressamente ispirato all'eugenetica statunitense verso i pellerossa, fino ad arrivare a soggetti istituzionali come Harry Laughlin. Ma nella impostazione "positiva" della testata ci sta che venga osteggiato;

- il momento finale con Zagor convinto che sia arrivata l'ora della sua morte.
“Io ho pagato il mio debito di sangue per la mia vendetta di tanti anni fa… Ho lottato per la pace e per la giustizia… e sono certo di avere vinto… anche questa volta!”
Un passaggio da scolpire nel muro di ogni zagoriano, summa perfetta della sua filosofia di vita.

Come mi pare tutti, non ho invece apprezzato l'invocazione di Wendigo, ma sopratutto non accetto il suo ruolo di sfacciato deus ex machina, figura che detesto come poche altre in qualunque forma di narrazione.
Riconosco a Burattini che ha cercato di prepararla al massimo, con le riflessioni Tao di Zagor sugli equilibri, sull'ammettere che è comunque una avventatezza, sulla spremitura del suo quinto senso e mezzo, delle iniziazioni di Shyer, sulla forse non ripetibilità, ecc.... insomma, gli do' atto che non la usa a cuor leggero come fanno tanti altri, ma il fatto rimane. Questo è per me l'unico grosso buco di questa run, che in ogni caso non mi fa dimenticare tutto il resto che ho detto sopra.

I disegni della premiata coppia sono ottimi come sempre. Leggibilità bonelliana ai massimi livelli. Si perde invece qualcosa in spettacolarità.

Mi piace, di tutto ciò, come Manfredi abbia sottolineato i molti elementi presenti nella storia che a lui (a differenza di altri) non sono sfuggiti, e che non si esauriscono certamente nell’apparizione del Wendigo in una vignetta dell’ultimo albo. Peraltro, mi chiedo che cosa abbiano pensato, i critici di questa apparizione, dell’intera sceneggiatura di Mauro Boselli con il precedente ritorno di Hellingen, il cui il demone aveva un ruolo assai maggiore a addirittura predominante, ma lasciamo perdere. Fatto sta che il Wendigo non si poteva non fare i conti a meno di decidere di ignorare del tutto la storia boselliana. Io ho deciso di farci i conti con una sola pagina, proprio per non turbare i fautori della nolittianità, ma per costoro anche una vignetta è stata troppo: pazienza. Personalmente, avrei trovato assurdo il fatto che il clone di Hellingen non si chiedesse che fine avesse fatto l’originale e non si proponesse di liberarlo dalla sua prigione. Però, per altri meglio questa assurdità che rivedere il Wendigo e dunque lasciamo costoro nelle proprie convinzioni. 

Mi ha colpito comunque una frase di Massimo: "come mi pare tutti", riferito appunto al mancato gradimento ritorno del Wendigo. Posso assicurare che invece ho ricevuto decine di attestati di felicitazioni in proposito, così come in precedenza avevo avuto richieste precise (anche dall'estero) sul fatto che non mi dimenticassi del demone boselliano (cosa che non avrei potuto fare neanche volendo proprio per ragioni di logica e coerenza). Dunque le opinioni sono tante e diverse e, cosa che potrà meravigliare i detrattori pregiudiziali, anche positive.

Concentriamoci piuttosto sulla definizione di “deus ex machina” attribuita (da Massimo e da altri) all’escamotage con cui la lunga storia è stata divisa in due parti in attesa di uno nuovo scontro. Faccio notare che anche l’ultimo, recente film di “Guerre Stellari” non si conclude e il proseguimento della vicenda viene rimandato a data da destinarsi, dunque non ho fatto niente che già non si sia fatto, si faccia e si farà per ogni dove. Del resto, far durare una storia sette mesi invece di quattro mi sarebbe sembrato micidiale e non credo di aver fatto una scelta folle, tuttavia qualcuno penserà il contrario e ciascuno è libero di ragionare con la propria testa. 

Ma che cos’è, esattamente un “deus ex machina”?  Copio e incollo da Wikipedia: “Deus ex machina è una frase latina mutuata dal greco che significa letteralmente "divinità (che scende) dalla macchina". Originariamente, indicava un personaggio della tragedia greca, ovvero una divinità che compare sulla scena per dare una risoluzione a una trama ormai irrisolvibile secondo i classici principi di causa ed effetto. Per estensione, tale espressione è andata a indicare un evento o un personaggio che, nel corso di una narrazione, ne risolve inaspettatamente gli intrecci, spesso con modalità apparentemente non correlate alla logica interna della vicenda, al punto di apparire altamente improbabile o come il risultato di un evento fortuito.

Chiediamoci dunque: l’apparizione del Wendigo non rispetta la logica interna della vicenda? E’ altamente improbabile? E’ il risultato di un evento fortuito? Per come la vedo, soltanto chi abbia letto un’altra storia (e non quella che ho scritto io) può crederlo. L’apparizione del Wendog è talmente logica e consequenziale che è stata annunciata e preparata fin dalla tavola d'apertura dell’albo di settembre, prima di verificarsi puntualmente a metà di quello di dicembre. Infatti, all’inizio dell’ “Eredità di Hellingen” Zagor ha una visione che gli annuncia chiaramente quello che accadrà: per risolvere la situazione dovrò infatti scendere nelle caverne del Monte Naatani, decifrare delle iscrizioni, trovare la mummia di Rakum, versare il suo sangue. La visione gli è stata mandata da Kiki Manito (personaggio nolittiano) che già aveva risolto magicamente anche la faccenda degli Akkroniani. In quel caso, nessuno disse che Rakum era un deus ex machina nonostante non fosse stato annunciato da niente e comparisse all’improvviso. 

Il fatto che io abbia cercato di “far dimenticare” ai lettori la visione iniziale e l’abbia rammentata solo alla fine è un colpo di scena come quando nei gialli di Agatha Christie viene svelato da Poirot un particolare a cui nessuno aveva fatto caso e che invece si rivela di importanza fondamentale. Tra un colpo di scena e un deus ex machina c’è una bella differenza. Per di più, Zagor non capita nella grotta di Rakum per un “evento fortuito” (casomai, un evento fortuito era stato quando ci era finito nella storia di Nolitta “Magia senza tempo”), ma perché il nostro eroe decide di andarci avendo capito il messaggio della visione: dunque lode all’intelligenza del Re di Darkwood. Se si salva, non è perché arriva una divinità a toglierlo dai guai, ma perché lui fa, con coraggio, quel che c’è da fare (tutto ciò è la perfetta negazione di quel che si definisce “deus ex machina”).

Come se non bastasse, durante tutto il corso della storia avevo seminato indizi su ciò che sarebbe successo. Se qualche lettore disattento non li ha colti, mi dispiace. Per fare due esempi, Zagor, parlando con il suo avversario, si meraviglia che Hellingen non sappia nulla del Wendigo e dunque è lui stesso a mettere in testa al Mad Doctor che c’è qualcosa su cui deve informarsi: impensabile che lo scienziato pazzo non lo faccia e non elabori un piano in proposito. E’ chiaro che se Hellingen si propone di studiare il modo di liberare il suo doppio, il Wendigo pensi di intervenire (insomma, il demone era stato già tirato in ballo). Poi, è lo stesso folle criminale a rivelare al Re di Darkwood il suo intento di affrontare il nemico ultraterreno, convinto che il suo genio avrebbe trovato il modo di farlo. A quel punto, chiunque avrebbe dovuto capire che il prossimo step sarebbe stato appunto la discesa in campo del Wendigo. Quando costui effettivamente compare, come ci se ne può meravigliare? Chi può, ragionevolmente, accusare questa apparizione di essere un escamotage forzato, un deus ex machina? E’ piuttosto l’inevitabile conseguenza di tutto ciò che lo sceneggiatore aveva preparato. 

Due parole infine su altre due obiezioni (trascurando di rispondere a chi reputa tutto ciò al pari di “scarafaggi” sugli spaghetti: credo che esista una patologia psichiatrica che consiste nel vedere insetti dappertutto, e magari è quella che fa scambiare olive per blatte). La prima: non è piaciuta la forma troppo “moderna” dei cyborg che compaiono nella parte finale del racconto (secondo alcuni Hellingen dovrebbe costruire sempre automi alla Titan). Faccio notare che è ben spiegato come gli automi in questione non sono di origine hellingeniana ma akkroniana. Se Hellingen per alcuni è obbligato a fabbricare solo robot di foggia antiquata, speriamo che almeno gli alieni possano sbizzarrirsi un po’ di più. Qualcun altro ha notato che le idee di eugenetica propugnate da Hellingen negli ambienti universitari avrebbero dovuto trovare riscontro invece di venire disprezzate, perché all’epoca di Zagor il terreno era fertile. Faccio notare che chi lo dice non ha, evidentemente, tenuto ben presente due personaggi: Hawking e Quaritch. Il primo è zoppo e dunque, con l’autorità che dimostra di avere, ha motivo di inalberarsi di fronte alle proposte di un ritorno alla Rupe Tarpea avanzate da Hellingen, il secondo è la dimostrazione che qualcuno, in effetti, può rimanere al contrario affascinato dal Mad Doctor. E vedremo questa cosa che sviluppo avrà nella prossima storia.