Da mercoledì 20 maggio è in edicola la quarta raccolta della serie "I racconti di Darkwood". Se ben ricordate, la prima antologia, apparsa nel settembre 2017 con il Maxi Zagor n.31, vedeva le storie brevi incastonate in una "cornice" avventurosa, illustrata dal veterano Raffaele Della Monica, che era chiamata a presentarle. Con la seconda silloge, nel gennaio del 2019 ("Brividi da Altrove", Maxi n.35), invece, la "cornice" dedicata alla figura di Edgar Allan Poe, incaricato di presentare quell'albo, era piuttosto ridotta, per poter introdurre un episodio in più. Abbiamo, dunque, voluto sperimentare due diverse formule, che potremmo definire "a cornice lunga" e "a cornice breve". "I racconti di Darkwood" del settembre dello scorso anno, "I tamburi della foresta", sono stati di nuovo "a cornice lunga". Facile immaginare, dunque, che stavolta tocchi a quella "breve". Breve, ma non per questo poco interessante: anzi!
Questa volta il titolo è "Lungo il fiume": si tratta di una sintesi evocativa, perché il fiume scorrono come scorrono le narrazioni, perché lungo le rive e sull'acqua scivolano le storie di infiniti viaggiatori, perché sul Pleasant River comincia, nella prima striscia de "La palude degli agguati", la saga di Zagor. Le nuove dialtre sei mini-storie di Zagor avviene nel trading post di Pleasant Point, tappa obbligata per molte delle piste che attraversano la foresta e porto fluviale battuto da canoe, chiatte e battelli. Il saloon di Peabody è un punto di passaggio per trapper, mercanti, soldati e pellerossa che commerciano con i bianchi, e chiunque vi si fermi ha una storia da raccontare. Le tre ragazze che vivono lì attorno, diventate ormai le beniamine dei nostri lettori (Ellie May, Jenny e Sara) sono le prime a narrare un episodio ciascuno. E su Jenny in particolare si concentreranno, immagino, le attenzioni di chi abbia letto la storia con la figlia del mutante.
Come al solito, ai testi e ai disegni si alterneranno autori ospiti e firme abituali dell'universo zagoriano. Tra i primi, salutiamo l'esordio di Bruno Enna e di Stefano Fantelli alle sceneggiature: Enna è stato ideatore della serie Saguaro (e di molti incubi di Dylan Dog), Stefano è noto soprattutto per la splatterosa "Cannibal Family" delle Edizioni Inkiostro. Esordienti su Zagor sono anche i disegnatori Luigi Coppola (Martin Mystère) e Cristiano Spadavecchia (Morgan Lost). Possiamo invece considerare vecchie conoscenze Oskar ed Emanuele Barison fra gli illustratori, come Luca Barbieri e Antonio Zamberletti tra gli scrittori, mentre sicuramente veterani sono da ritenere Alessandro Chiarolla e Walter Venturi per la parte grafica. Stefano Voltolini è stato confermato nel ruolo di illustratore della "cornice", a tutti gli effetti una settima storia a sé stante all'interno dell'antologia.
La "cornice" e due delle short-story sono state sceneggiate da me. Nella "cornice" capita un avvenimento importante nella vita di Peabody. Con "Il delitto impossibile" (disegni di Walter Venturi), invece, mi sono tolto lo sfizio di inventare una mia soluzione per l'enigma della "camera chiusa". "La diga di ghiaccio" (disegni di Alessandro Chiarolla) trasforma in fumetto il racconto in prosa "Disgelo" comparso a puntate in appendice alla seconda serie delle strisce nuova versione (tutte e due le versioni nascono da un soggetto che avevo da tempo nel cassetto).
Sono sempre molto soddisfatto quando una delle antologie de "I racconti di Darkwood" arriva in edicola, sia perché ricevo molti segni di apprezzamento dai lettori, ma anche perché riuscire a realizzare un volume di 286 tavole mettendo insieme una squadra di una quindicina di autori è davvero complicato - ma anche entusiasmante.
Questa simpatica immagine è stata pubblicata da qualche parte su Internet da qualcuno dei miei affezionati detrattori. Me l'hanno segnalata e ringrazio il segnalatore perché in effetti è molto divertente e, come vedete, mi torna utilissima per introdurre una nuova puntata di quel genere di miei post che io etichetto come "un po' di sana polemica". Quando su Facebook segnalo un articolo presentandolo con questa frase, ottengo subito centinaia e centinaia di click, quindi sono lieto di aver trovato la formula giusta, nonostante le mie polemiche siano decisamente all'acqua di rose (altrimenti di click ne otterrei a migliaia). Comunque sia, se siete amanti del genere, e se vi fa piacere vedermi battagliare per il poco che so fare, potete cliccare sulla voce "polemiche" nell'elenco delle etichette del blog e avrete di che divertirvi. Altrimenti potete leggervi il mio libro "Io e Zagor", che secondo i critici più illuminati ha l'unico difetto, appunto, del troppo indulgere nelle risposte date ai detrattori. Ma io le ho inserite appunto per far aumentare le vendite: tutti gli haters vorranno vedere se parlo di loro. Ciò detto, vediamo a chi tocca oggi.
Cominciamo con il dato di cronaca di una mia intervista, apparsa sul n° 10 della bella rivista digitale Tew Willer Magazine, scaricabile gratuitamente in Rete. Cliccando qui troverete tutte le informazioni del caso. Filippo Galizia, a un certo punto, mi ha fatto la seguente, elaborata domanda.
La copertina del n° 10 di TW Magazine
D) Con il tuo amico e curatore di Tex, Mauro Boselli, condividi il gusto della sana polemica nella difesa a spada tratta del vostro lavoro. Non vi tirate indietro nel motivare la correttezza delle vostre scelte e nel far notare l’inconsistenza o peggio la gratuità di alcune critiche. Mauro preferisce i forum mentre tu ultimamente rispondi più dalla tua pagina facebook e dal tuo blog. Ho visto un sacco di volte Mauro promettere di non entrare più nel forum all’ennesimo battibecco con il denigratore di turno e poi non riuscire a resistere a tornarci. Nell’era dei social, in cui ognuno crede di poter essere in grado di scrivere una storia a fumetti e pontifica dietro una tastiera è difficile rimanere indifferenti. Sicuramente negli anni Sessanta/settanta, in cui per poter entrare in contatto con un autore dovevi avere almeno la pazienza di scrivere una lettera alla casa editrice, era molto più semplice mantenersi indifferenti. Per quanto ti riguarda cos’è che ti spinge a dare spiegazioni del tuo operato, magari su temi che hai già affrontato esaurientemente in precedenza?
La mia risposta è stata questa:
La pagina di TWM n° 10 dove inizia la mia intervista
R) Bisogna dire che i miei articoli sul blog si sono sempre più andati rarefacendosi e le bordate polemiche su Facebook sono eventi più o meno eccezionali, dato che ho sempre meno tempo da dedicare a questo tipo di cose. Non nego però di aver combattuto aspre battaglie contro i detrattori per partito preso, e quando rileggo certe risposte scritte in passato mi diverto sempre molto perché mi pare di aver assestato parecchie stoccate. Sia in “Io e Zagor” che in “Discorsi sulle nuvole” se ne possono rintracciare diverse. Un tempo ormai lontano avevo un mio spazio su un forum in cui rispondevo alle domande dei lettori, poi, visto che il tono delle critiche virava sempre più verso l’insulto (dei detrattori a me), e considerato il fatto che non sono mai riuscito a convincere nessuno per quanto bene argomentata fosse la mia replica e per quanto ripetessi cento volte la spiegazione, alla fine ho gettato la spugna. Adesso non leggo più nulla di quanto scritto su Internet a commento delle storie, perché altrimenti mi bloccherei su ogni vignetta pensando a come certuni potrebbero commentarla; devo lavorare, non posso perder tempo con gli haters. Però, ogni tanto alcuni amici mi mandano uno screenshot con un commento particolarmente stupidino e mi vien fatto di scherzarci su. Di solito il commentatore si indigna e si inalbera, perché il bello degli haters è che si sentono in diritto di dire qualunque cosa, però pretendono anche che non gli si risponda se no si offendono. Ecco, direi che il motivo che mi spinge ogni tanto a tornare a dire la mia è il tentativo di non farle passare tutte lisce a certa gente.
Dopo aver notato come l'intervistatore paragoni la mia tendenza a controbattere ai detrattori a quella di Mauro Boselli (sicuramente più assiduo di me nel farlo), vorrei fare un esempio di quello che considero un "commento stupidino". In Rete si legge di tutto, chiunque può commentare qualunque cosa in qualsiasi modo potendo godere dell'immunità di gregge (intendendo: gregge di capre), perciò si potranno trovare su ogni questione commenti anche più assurdi di questo, ma peschiamo dal mazzo una carta e vediamo.
Vi faccio vedere questa carrellata di pagine di giornali (su carta e digitali):
Queste intere paginate sono state pubblicate, in edicola e in Rete, lo scorso dicembre su il Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport, due fra i quotidiani più venduti in Italia. La Casa editrice di entrambi, la RCS, ha fatto un importante investimento per garantirsi la pubblicazione delle più belle avventure di Zagor a beneficio dei suoi lettori, nell'ambito delle iniziative editoriali definite "collaterali", fatte da molti giornali italiani (come fu lo Zagor di Repubblica). La collana RCS prevede una serie di volumi cartonati le cui costoline, affiancate, formano un disegno di Gallieno Ferri, e al cui interno vengono proposte figurine da incollare su un album allegato gratuitamente alla seconda uscita. Qui di seguito la dimostrazione fotografica.
A me tutto ciò pare una gran bella cosa, indipendentemente dal fatto che io mi occupi di un paio di rubriche all'interno dei volumi. Peraltro, i risultati sono stati lusinghieri e chi ha cominciato la collezione ne è soddisfatto. Ecco qui sotto una video recensione.
Si potrebbe pensare che tutti concordino sul fatto che, almeno, non ci sia niente di male nel proporre questa collana in edicola. Sarebbe da immaginare che tutti gli zagoriani siano felici quantomeno della visibilità data al personaggio anche al di fuori della normale cerchia dei fedeli lettori. Pia illusione. Data la notizia, si sono scatenati i bastian contrari. Decine di commenti sull'inutilità di una nuova ristampa, e frasi inacidite del tipo: "io queste storie ce l'ho già, che le ripubblicano a fare?".
Sono stato costretto a pubblicare questo post su Facebook.
"Zagor ottiene l’attenzione del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport che investono in una iniziativa importante per i loro lettori: mi pare una gran bella cosa. Il format del best of con storie a seguire è lo stesso della collana gemella dedicata a Tex, che ha avuto e sta avendo un grande successo. Dopodiché ognuno scelga se la cosa gli interessa o no, e lasci liberi gli altri di comportarsi come credono. Da quando esiste la stampa le opere migliori vengono stampate e ristampate. Chi ritiene che qualcosa non debba essere ristampato perché lui ha già la prima e magari la seconda edizione sostiene una tesi bizzarra; è evidente che ogni nuova ristampa è indirizzata a chi l’opera non ce l’ha e non a lui".
Mi ha fatto molto ridere leggere quelli che siccome loro hanno già hanno queste storie nella versione della collana Zenith, in quella di TuttoZagor e a colori con la cronologica di Repubblica, allora non si dovrebbero più ristampare. Non viene loro neanche il sospetto che ci siano altri che magari possono essere interessati, come ci sono stati gli interessati a una analoga ristampa di Tex. Non importa: “Zagor racconta” (per dire un titolo) loro già ce l’hanno, perciò fine delle ristampe. Mi viene da ridere perché immagino la scena di uno di costoro che con gli amici si lamenta dicendo: “ma pensa te, bastava che mi telefonassero, gli dicevo che gli Zagor ce li ho tutti e così si risparmiavano tutto quel popó di lavoro”.
Ecco: aver scherzato su questa cosa, rispondendo alle critiche più acide, mi ha fatto guadagnare l'odio imperituro dei criticoni. Secondo loro, li avrei offesi. Come oso rispondere così a dei lettori? Ora, fermo restando che non mi sembra di aver offeso nessuno, perché al massimo ho scherzato e casomai sono loro i permalosi, il ragionamento dei detrattori sarebbe questo: io scrivo quel che voglio e tu non devi contraddirmi. Se io contraddico, portando degli argomenti, li offendo. Faccio notare che gli haters vengono a fare i loro commenti nella mia pagina Facebook: ci sono tanti bei posti su Internet dove dir male di tutto e di tutti, e voi volete venire a commentare nel mio spazio pretendendo che io non risponda? Peraltro, rispondo davvero di rado, come chiunque può verificare. Questa cosa mi ricorda un po' quel tale che, sempre sulla mia pagina FB, fece non so quale critica. Io risposi argomentando quel che mi pareva di poter rispondere, e quello si inalberò dicendo qualcosa del tipo: ma insomma, perché invece di rispondere non ammetti che hai torto? Cioè, se a me non pare di aver torto e spiego il mio punto di vista, devo ammettere che ho torto lo stesso. Questo il livello della detrazione.
Quale miglior periodo di quello cupo e tetro che stiamo vivendo a causa del coronavirus, per presentare un libro assolutamente ilare e giulivo come “Io sono Cico”? Si tratta di un corposo cartonato di ben 448 pagine a colori (simile per impostazione al precedente, di grande successo, “Io sono Zagor”), uscito il 23 gennaio in libreria e in fumetteria con il marchio della Sergio Bonelli Editore, curato dal sottoscritto e destinato, ne sono sicuro, a divertirvi moltissimo. Infatti, per la prima volta sono state raccolti in volume i migliori sketch del messicano più simpatico del mondo, sceneggiati da Guido Nolitta e inseriti nelle avventure di Zagor della serie regolare tra il 1961 e il 1971. In tutto, ben trenta “comiche” autoconclusive, perfettamente godibili anche al di fuori del contesto da cui sono state tratte, tutte precedute da un commento e corredate da un lungo saggio iniziale che sviscera i perché e i percome della comicità cichiana. Selezionando le gag mi sono fatto delle gran risate, riscoprendo chicche e perle di umorismo davvero strepitose. Se il libro dovesse riscontrare il vostro favore, chissà, potrebbe perfino essere il primo di una serie: gli sketch di Cico sono centinaia!
Quando si citano i personaggi creati da Sergio Bonelli con lo pseudonimo di Guido Nolitta, di solito ci si limita ai due più famosi: Zagor (1961) e Mister No (1975). Volendo essere più esaustivi si aggiungono alla lista il Ragazzo nel Far West (1958), il Giudice Bean (1959), il Ribelle (1959), River Bill (1990). Ma, secondo me, all’elenco andrebbe aggiunto anche Felipe Cayetano Lopez Martinez y Gonzales - per gli amici semplicemente e più brevemente Cico. Un character con uno spessore (in senso sia lato che reale) in grado di tener testa a qualunque altro.
In teoria, si tratta del compagno di avventure di Zagor: di una spalla, se vogliamo. In realtà, la saga dello Spirito con la Scure inizia a venirci raccontata soltanto a partire dall’incontro con il messicano (qualunque avventura Zagor abbia vissuto prima, non sembra aver avuto grande importanza fino al racconto del suo passato, narrato soltanto diversi anni dopo). Non solo: Cico compare già nella prima pagina de “La foresta degli agguati”, protagonista di una brillante gag prima e di una drammatica sequenza di combattimento poi, mentre per veder entrare in scena il Re di Darkwood si deve aspettare ancora un po’. Insomma: non c’è Zagor senza Cico. Di contro, c’è Cico senza Zagor. Proprio Sergio Bonelli ha firmato ben cinque albi speciali di 128 tavole ciascuno dedicati alle avventure in solitaria del pancione, a cui poi se ne sono aggiunte altri ventidue (per un totale di ventisette) scritti da altri sceneggiatori (tra cui diciannove miei). Nel 2017 c’è stata di una nuova miniserie tutta cichiana di sei nuovi albi a colori, “Cico a spasso nel tempo”, scritta da Tito Faraci: insomma, il messicano vive di vita propria! Mi pare giusto, dunque, che a “Io sono Zagor” si affianchi “Io sono Cico”.
Se ci sono all'ascolto dei cultori dei miei racconti, magari convinti dai 26 contenuti in "Dall'altra parte" (Cut-Up), sappiano che uno inedito è stato pubblicato nell'antologia "Sicilia Dime Novels" (il libro che tengo in mano nella foto qua sopra), del quale ho scritto anche la prefazione. A parte la mia, sono belle (se non di più) anche tutte le altre 31 storie.
Di che cosa si tratta? Due parole per spiegarlo. Le mie frequenti visite Sicilia in occasione di Etna Comics mi hanno guadagnato l'amicizia (salda come la roccia effusiva) di un buon numero di catanesi. Tra questi, l'infaticabile Giuseppe Reina, animatore di mille attività in Rete e sul suo territorio. In particolare, da un po' di tempo a questa parte, Giuseppe è presidente dell'associazione culturale Mascalucia Doc, dal nome della località etnea dove ha sede. Proprio questa associazione ha dato vita, nel corso del 2019, a un contest letterario intitolato "Sicilia Dime Novels", ovvero un concorso per storie brevi scritte da non professionisti, quindi fresche e spontanee, legate al territorio siciliano (ma non necessariamente). Mi venne chiesto di far parte della giuria, seppur distante, cosa che ho accettato di buon grado, trovandomi peraltro in eccellente compagnia.
Gli organizzatori credevano di ricevere un piccolo numero di adesioni, dato che il concorso era alla sua prima edizione, e considerando come Mascalucia non sia (ed è un vero peccato) al centro del mondo. Invece, inopinatamente, i racconti in lizza sono stati numerosissimi. Tra i premi in palio, la pubblicazione dei testi piazzati ai primi posti in classifica in un libro pubblicato a carico dell'associazione. Alla fine il libro è uscito raccogliendo 32 racconti, tra cui uno mio. Non perché abbia partecipato alla gara (essendo uno dei giudici), ma perché mi è stato chiesto di aggiungerne uno. Ho scritto una short story intitolata "L'esploratore", con protagonista un astronauta approdato su pianeta ostile. Non c'entra molto con la Sicilia, ma mi hanno detto che andava bene lo stesso. Immagino che se un giorno scriverò un seguito di "Dall'altra parte", anche questo racconto potrà entrarvi a far parte. Per "Sicilia Dime Novels" ho scritto una prefazione, che riporto in fondo a questo articolo, dato che serve a inquadrare meglio che cosa si intende per "dime novel".
Gli altri 31 racconti sono, quasi tutti, invece, legati alla Sicilia, tutti in modo diverso. Talvolta si tratta di ricordi d'infanzia, in altri di racconti di famiglia risalenti a molto tempo fa e quindi riferibili a una terra che sembra non esserci più ma che continua a esserci appunto nelle memorie. Talvolta si sente una struggente nostalgia di sapori, odori, profumi, rumori, paesaggi. Ci sono poi le storie di fantasmi, le rievocazioni storiche, gli incontri immaginari con famosi scrittori siciliani. Davvero insospettabile il talento di scrittrici (in maggioranza) e scrittori non professionisti, ma con tanta voglia di raccontare. Carta, copertina, rilegatura, grafica e stampa del libro sono inappuntabili.
L'Associazione Mascalucia DOC, che ha pubblicato il libro (frutto di un contest letterario) senza scopo di lucro, mi ha comunicato una serie di link a siti in cui è possibile acquistare l’antologia online:
Perché il titolo “Sicilia Dime Novel” dato al contest da cui nasce questa antologia? Sulla parola “Sicilia” non ci sono dubbi, dato che il torneo fra scrittori è stato organizzato a Mascalucia, ridente borgo sulle pendici dell’Etna. Ma “Dime Novel”? Letteralmente, il termine significa “romanzi da dieci centesimi”. Furono un fenomeno editoriale diffuso negli Stati Uniti a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, che però trova le sue radici in una analoga e precedente produzione inglese, quella dei “penny dreadful”, cioè “orrore da uno spicciolo”. Si trattò di un tipo di narrativa che, a partire dagli anni Trenta del diciannovesimo secolo, proponeva storie a puntate, con periodicità perlopiù settimanale, al costo di un penny per fascicolo. La definizione comprende una grande varietà di pubblicazioni, specializzate in romanzi avventurosi, a volte molto truculenti, sempre comunque scritti in tono sensazionalistico, puntando a sorprendere, inorridire, commuovere o comunque turbare il pubblico, composto soprattutto da acquirenti delle classi povere. Gli agili opuscoli potevano essere venduti a buon mercato anche perché venivano stampati su carta molto scadente, ricavata dalla cosiddetta “polpa” di cellulosa, la stessa da cui deriva il termine “pulp”, che indica la produzione artistica più popolare.
La risposta americana ai “penny dreadful” furono appunto i “dime novel”. Le caratteristiche erano molto simili, ma le tematiche furono adattate ai gusti dei lettori del Nuovo Mondo. In particolare, si inaugurò un filone di storie avventurose e drammatiche ambientate nelle terre di frontiera, e in particolare fra i pellerossa. Quello che viene considerato il primo esempio di “dime novel”, datato 1860, si intitolò “Malaeska: la moglie indiana del cacciatore bianco”. Si tendeva a rivolgersi a lettori giovani e facilmente impressionabili e si narrava l’eterna lotta del bene contro il male, condita con truci elementi orrorifici. Questi racconti finirono presto per essere seriali, cioè per proporre sempre nuove avventure di uno stesso eroe, come Buffalo Bill o Davy Crockett. Ovviamente la produzione non riguardò soltanto tematiche western, ma anche quelle poliziesche, e molti titoli riguardavano ambientazioni da bassifondi urbani.
Venendo ad anni più recenti, con la definizione di “pulp magazine” si sono identificate alcune riviste di genere americane come “Weird Tales”, pubblicata a Chicago a partire dal 1923 e destinata a contenere racconti horror e fantastici: vi scrissero sopra autori come Robert Ervin Howard, Howard Phillips Lovecraft e Clark Ashton Smith. Già in precedenza, nel 1920, era nata però “Black Mask”, una rivista prevalentemente poliziesca ma che in realtà presentava, come recitava una pubblicità dell’epoca, "le migliori storie di avventura, i migliori mystery, le migliori storie romantiche e dell’occulto”. Data 1926 è invece “Amazing Stories”, con racconti di genere fantascientifico. Queste e (molte) altre testate del genere diedero il via anche a una vastissima produzione di fumetti “weird” (cioè, “bizzarri”) pubblicati su riviste come “Teles fron the crypt” (1950) o “Creepy” (1964), per citare soltanto due fra le più illustri. Insomma, stiamo parlando di una incredibilmente vasta produzione di racconti brevi, per lo più horror e con un finale a sorpresa: un genere che può vantare perfino Edgar Allan Poe tra i suoi precursori.
A rigor di termine, “novel” non significa “novella”, ma “romanzo”. Tuttavia, i dieci centesimo della parola “dime” rimandano alla brevità del racconto. Personalmente ho sempre avuto una autentica passione per i racconti brevi (con una preferenza per quelli fulminanti) di scrittori come Isaac Asimov, Ray Bradbury o Roald Dahl, ma anche Jack London, Ambrose Bierce, Giorgio Scerbanenco o più accademicamente quotati quali Raymond Carver. Esiste tutta una produzione letteraria di novelle e short stories ingiustamente meno considerata di quella dei romanzi. Io stesso sono autore di molti racconti scritti nel corso degli anni, una trentina dei quali sono stati raccolti di recente in una antologia intitolata “Dall’altra parte”.
Il motivo per cui, in Italia, le antologie di racconti sono meno vendute dei romanzi, non sono mai riuscito a capirlo fino in fondo. Le short stories sono come le ciliegie, una tira l’altra, si adattano alla lettura in treno, si possono gustare durante le attese nelle sale d’aspetto, si riesce ad assaporarle in ordine sparso e quando se me ha voglia. Per di più, scrivere bene racconti belli è difficile, perché il dono della sintesi è raro come quello dell’affabulazione. Un racconto è tanto più è bello quanto più è breve, nel senso che ogni parola è pesata, misurata, calibrata, e quindi scelta o scartata. “Essere brevi richiede tempo”, scrisse una volta John Dufresne.
La narrativa nasce con le prime tecniche affabulatorie evolute insieme prime manifestazioni del linguaggio: di ritorno da una battuta di caccia, i nostri progenitori si narravano l’un l’altro l’accaduto e, probabilmente, ognuno ci aggiungeva del proprio. I più bravi a raccontare (con i gesti, oltre che con i versi gutturali) finivano per essere, allora come ai giorni nostri, i più ascoltati. La tradizione delle novelle raccontate durante le veglie serali attorno al fuoco (nei millenni passati in cui non c’era la televisione) ha dato vita alle favole e a tutte quelle storie di cui il “Decamerone” o il “Novellino” (antologie rispettivamente del Trecento e del Quattrocento) ci hanno tramandato la testimonianza. Novelle spesso legate alla vita popolare, alle leggende del territorio.
La Sicilia ha una fortissima tradizione di novellatori, e basterà citare i nomi di Verga, Pirandello e Camilleri (autori di straordinari racconti) per convincersene senza bisogno di dire altro – perché anche in una prefazione si deve cercare di essere brevi. Resta da segnalare la partecipazione davvero straordinaria al contest di Mascalucia, tanto più sorprendente se ci considera che la manifestazione, di cui questo libro è il degno prodotto, ha avuto finora una sola edizione e non ha goduto di particolari forme di promozione. Le tante opere giunte testimoniano la voglia di raccontare e raccontarsi che c’è in giro, e l’amore verso la parola scritta e letta che ancora resiste in tempi di “flash fiction” proposta sui social. I racconti raccolti in questa antologia, selezionati da una attenta giuria che ha lavorato per tutta l’estate del 2019, dimostrano anche il talento dei non professionisti, che nasce da un dono naturale esercitato attraverso tante letture. Perché non si riesce a scrivere, se non si sa leggere.