Chiunque abbia letto Lupo Alberto e non si sia solo
soffermato a sbirciarne l’icona sul merchandising, sa
chi è “Uccello”. “La sconvolgente storia di Uccello”, del resto, è anche il
titolo con cui le dodici tavole dove compare (quelle dalla 47 alla 58) vennero
raccolte nel 1992 in un unico albo uscito allegato al settimanale “Il Sabato”.
Per chi
non sapesse di che cosa stiamo parlando, basterà riassumere così la faccenda:
Uccello è un pulcino (di passero, dice l'autore, di oca, dicono su Wikipedia) rimasto solo, inavvertitamente abbandonato
dalla mamma che è volata al Sud per svernare. Poiché la stagione della caccia
si avvicina, Lupo Alberto adotta il piccolo sperando di insegnargli a volare in
tempo, prima che le doppiette inizino a sparare. Purtroppo, Uccello
non riesce a mettersi in salvo: una fucilata lo abbatte.
Mi sono sempre commosso come
un bambino nel rileggere queste tavole, riguardo alle quali Silver dice:
"Farlo migrare sarebbe stato scontato. Si cerca sempre di fare qualcosa di
nuovo che scuota un po' il lettore e io in passato ero molto più provocatorio
di quanto non lo sia adesso. Il fatto di far entrare la morte nel mio fumetto
ha creato molte reazioni forti: sono stato persino minacciato, perché facessi
rivivere il povero Uccello, ma per me l’importante era proprio far entrare
nella narrazione anche la morte, un elemento sconvolgente, che però fa parte
della nostra vita. Insomma una provocazione, ma a fin di bene, per contrastare
il perbenismo disneyano, da cui ero profondamente infastidito. La morte di
questo passerotto è stata quasi un atto di ribellione a quegli stupidi
stereotipi, anche se più vicina a un atto di cinismo, perché premeditata”.
Perché rievoco questa storia? Perché Anna Teresa Fiori, la maestra elementare
romana che ha coinvolto i suoi alunni in un progetto didattico riguardante Zagor, mi ha raccontato, per lettera, un piccolo aneddoto che le è accaduto
qualche anno addietro. Un aneddoto che vi ripropongo tale e quale, certo che
anche a voi rievocherà la storia di Uccello.
PIGIA
di Anna Teresa Fiori
All'epoca vivevo con i miei genitori, con una gatta e una
cagna. Loro hanno l'appartamento a piano terra e in giardino cadde un merlotto.
Subito la gatta cercò di papparselo ma Diana si mise in mezzo e il pennuto
riuscì a nascondersi dietro i vasi e rimanere lì fino all'arrivo di mia madre,
che lo chiuse in tinello. Arrivata a casa, francescana da sempre, presi io in mano
la situazione.
Pigia, così chiamai il piccolo volatile, avrebbe vissuto
nel tinello, la porta sarebbe stata sempre chiusa e l'avrei nutrita
personalmente. Telefonai alla LIPU e mi spiegarono che i merli mangiano vermi,
che quando il pulcino è piccolo la madre schiaccia la testa del verme e io
avrei dovuto fare lo stesso. Intanto potevo darle (ancora non si sapeva che
sarebbe stata una bellissima merla) un po' di scatoletta di Piccola (la mia
gatta) e pezzetti di mela. Così ho fatto. Il giorno dopo sono andata in un
negozio per pescatori a comprare vermi. Mi ha avuta come cliente per tre
settimane, il tempo che Pigia ha vissuto con noi.
Una volta - mia mamma cuciva
in tinello - scambiò un pezzo di filo per un verme e se lo attorcigliò intorno
alla lingua. Dovetti prendere le forbici e tagliarglielo: ho sudato davvero
freddo! La coda cresceva, il piumaggio cambiava, si cominciò a vedere che era
una femmina. La portavo con me in giardino, sollevavo i vasi e lei beccava le
formiche. Stava imparando a nutrirsi da sola ma doveva imparare a volare.
Qualche svolazzamento lo faceva. Quando entravo nel tinello e la chiamavo mi
volava sulla spalla e cinguettava, oppure volava sulla testa del babbo. Ma non
sapevo come fare per farla volare via dal nido. Telefonai ancora alla LIPU e mi
dissero che i merli buttano i pulcini giù dal nido quando arriva il momento. A
volte lo fanno troppo presto, come forse era accaduto a Pigia. Dovevo buttarla
giù... Mi avevano anche detto che se fosse tornata sarei stata l'umano che si
era presa cura di lei ed avrebbe sempre dipeso da me. Viceversa, sarei stata la
sua mamma, avrebbe lasciato il nido per sempre e avrebbe fatto la vita di una
merla libera. Così è stato. E' volata via, l'ho vista sul un ramo di un albero.
E' tornata indietro sul balcone del tinello (il tinello ha un balcone perché
sotto ci sono i garage) ma poi è volata via. Non l'ho più vista e quando penso a
lei mi piace pensare che abbia fatto una vita felice...