Diverse strisce di
Mafalda, la straordinaria bambina filosofica di Quino, ironizzano sul fatto che i mappamondi mostrino l'Argentina nell'emisfero del pianeta rivolto verso il basso. Dunque, commenta il cartoonist sudamericano attraverso la bocca del suo personaggio, gli abitanti del suo Paese dovrebbero vivere a testa in giù. Posso testimoniare che non è vero, perché sono appena tornato da Buenos Aires, e tutti camminavano proprio come noi, quelli del Nord del mondo, che andiamo a testa in su. Insomma, il sopra e il sotto sono soltanto convenzioni. Come tutto il resto dello scibile, del resto. Ho trascorso in Sud America due settimane e mezzo, dal 13 al 30 gennaio 2014, fermandomi nella capitale sul
Rio de la Plata soltanto qualche giorno, di passaggio verso la Patagonia. Il vero scopo del mio viaggio, infatti, era soprattutto quello di visitare
Ushuahia, il capoluogo della
Terra del Fuoco, ed essere lì proprio mentre in Italia usciva in edicola l'albo di Zagor (quello datato febbraio 2014) in cui lo Spirito con la Scure raggiunge proprio quei luoghi. Dell'estremo confine australe parlerò in due altri post che potrete leggere nei prossimi giorni, tutti corredati da quante più foto riuscirò a inserire senza stancarvi e stancarmi, a
Buenos Aires invece sono dedicati gli appunti che seguono, riportati così come li ho scritti sul mio diario di viaggio, senza la pretesa di essere né Borges, né Sepulveda, né
Chatwin, sulle cui orme tuttavia sono partito zaino in spalla.
Sono atterrato a
Buenos Aires alle 4 ora locale e adesso che sono le 6 mi sto godendo l'alba dalle grandi finestre della mia stanza d'albergo, in attesa che alle 7 apra il bar per fare colazione. Il viaggio è stato tranquillissimo, anche se il volo era stipato come un carro bestiame e la classe turistica supereconomica stile Gruppo TNT. Speravo di poter mettere a frutto le quattordici ore di sorvolata vedendo due o tre film scelti fra quelli che mi sono perso al cinema, ma l'aereo era un vecchio modello senza schermi TV sugli schienali dei sedili, per cui mi sono rassegnato a cercare di pisolare senza riuscirci. Temperatura all'arrivo: 23 gradi. Temperatura prevista in giornata: 38.
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Palazzo Sarmiento alle prime luci dell'alba, visto dalle finestre della mia stanza
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La prima impressione è di trovarmi in una città molto europea, da tutti i punti di vista. Sembra Parigi. Ordinata e pulita, ma anche movimentata. Negozi e locali dappertutto, però molto variegati, ognuno con una propria impronta e una propria caratteristica. Estate piena, molto caldo, gente che legge sui prati e sulle panchine dei parchi, saldi estivi nei negozi come da noi a luglio e agosto, prezzi simili a quelli italiani, tutto sommato. Costano meno però il mangiare e soprattutto i taxi (una corsa che a Milano sarebbe costata dieci euro, qui tre euro e mezzo).
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I taxi di Buenos Aires, frequentissimi ed economici. Basta alzare la mano per strada perché se ne fermi uno. |
Passando in taxi ho visto dal finestrino la famosa Plaza de Mayo. Tante librerie, molto belle. Quella dell'Ateneo, spettacolare, si trova addirittura in un enorme ex-teatro. Ho già fatto i primi due acquisti, non ho potuto resistere, un fumetto e un libro di racconti di Borges in lingua originale. Ci sarebbero dei volumi illustrati meravigliosi (uno, per esempio, con la storia dei gatti nella pittura dalla preistoria ai giorni nostri) che non posso prendere perché ho la valigia già fin troppo pesante. La sera, comunque, vado a cenare nel Caffè Tortoni, lo storico locale dove soleva sostare proprio
Jorge Louis Borges, ricordato con un busto di bronzo.
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Cena al Caffé Tortoni, sulle orme di Borges |
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Il busto di Borges nel Caffè Tortoni |
Il secondo giorno a Buenos Aires mi ha permesso di capire che tre giorni non basteranno per vedere neppure un quarto della città, che è immensa e variegata. I quartieri e i viali che sembrano quelli di Parigi sono solo un aspetto di una realtà ben più vasta. Ci sono anche strade molto meno eleganti, case fatiscenti, miseria e povertà. Qua e là, in centro, mi hanno colpito mendicanti abbivaccati radunati per famiglie, intenti a chiedere l'elemosina in gruppo, insomma, non da soli. Ma non c'è certo di più accattonaggio che da noi.
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Le coloratissime case de La Boca |
Ho visitato il Barrio de
La Boca, la zona più tipica (e più tipicamente sudamericana) della capitale, caratterizzata dalle case di lamiera dipinte di mille colori, da ballerini e musicisti che si esibiscono sui marciapiedi e da tante bancarelle per strada: non è facile capire quanto tutto quel caleidoscopio di suoni e visioni sia reale o uno show fatto per i turisti, però mi sono arrischiato in qualche via laterale e ho visto un po' di strade e case sgarrupate e gente a torso nudo affacciata ai balconi a fumare sigarette, cani liberi per strada, fili elettrici intrecciati a ragnatela lungo la via. Il caldo è asfissiante, ma me lo godo.
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Un albero "vestito" all'uncinetto nel quartiere de La Boca.
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Ho fatto acquisti, tra cui una maglietta di Mafalda che mancava alla mia collezione e del mate, con tutta l'attrezzatura per prepararlo (che spero non venga scambiato per droga al mio rientro in Italia). Nelle edicole latitano i fumetti e l'unica fumetteria in cui mi sono imbattuto vende soprattutto manga e supereroi. Le opere della grande scuola argentina, a parte le ristampe in volume di Mafalda e dell'Eternauta, sembrano dimenticate.
Ho trascorso la serata nel quartiere di San Telmo, anch'esso tipico ma in modo diverso, con vie lastricate, in pendenza, piazze piene di tavolini all'aria aperta, localini caratteristici, bettole come a Caracas (in una mi sono infilato a prendere un caffè, rigorosamente seduto perché al banco, giustamente, non te lo danno).
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Una piazza di San Telmo |
Poi mi sono trasferito a
El Viejo Armazen, un piccolo, intimo teatro che mi è stato consigliato per la qualità dello spettacolo: ovviamente, il tango. Ho evitato gli show tipo Moulin Rouge, che pure ci sono, hollywoodiani, per vedere, come preferivo, qualcosa di meno "internazionale" e più legato alla vera tradizione. Il consiglio si è rivelato ottimo. Seduto a un tavolino davanti a una balconata da vecchio cinema sono rimasto per due ore a vedere artisti che suonavano dal vivo, ballavano e cantavano su un piccolo palcoscenico. E' stata una delle più belle esibizioni che abbia visto. Cantanti, danzatori e suonatori sembravano essere gli stessi di anni e anni fa, come se da sempre quello spettacolo si rinnovasse ogni sera e chi si esibiva non invecchiasse mai. Il pianista che suonava pezzi di Astor Piazzolla (difficilissimi, come sa chi si intende un minimo di pianoforte), il contrabbasso e il violino, due fisarmoniche, accompagnavano i tanghi di quattro coppie variamente alternate che mi hanno ipnotizzato per la loro eleganza e la capacità di trasmettere emozioni e coinvolgimento. Davvero il tango è la danza della seduzione per eccellenza. Suggestiva al massimo anche l'esibizione di un quartetto andino.
Non potevo non passare davanti alla
Casa Rosada, sulla Plaza de Mayo, a Buenos Aires: è la sede della Presidenza della Repubblica Argentina, come da noi il Quirinale.Ci sono stato una mattina bagnata da un acquazzone estivo che ha rinfrescato l'aria. Il ricordo va ai tanti avvenimenti storici di cui è stata al centro, da quelli riguardanti Juan ed Evita Peron, alla dittatura e alla protesta delle madri dei desaparecidos. Le ferite, a trent'anni dalla fine del regime militare, si stanno lentamente rimarginando. Sulla Plaza, comunque, c'era accampato un sit in permanente di reduci dalla guerra delle Falkland (per loro, delle Malvinas).
Dell'attuale presidente, una bella donna chiamata
Cristina Kirchner, si dice che sia stata in passato una fiera rivale del cardinale
Bergoglio, essendo poi costretta a far retromarcia dopo l'elezione di quest'ultimo al soglio pontificio. Gli argentini, comunque, sono orgogliosissimi del loro Papa, che adorano. Sulla stessa piazza della Casa Rosada si erge anche la Cattedrale di Buenos Aires. Sulla facciata, brucia la fiamma eterna in ricordo del Milite Ignoto argentino, come da noi a Roma all'Altare della Patria. Lì accanto c'è la palazzina dove, al terzo piano, alloggiava
el Cardinal. Si notano le finestre chiuse dei suoi appartamenti.
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La fiamma perpetua in ricordo dei caduti e del Milite Ignoto argentino sulla facciata della Cattedrale di Buenos Aires. Da notare le finestre chiuse al terzo piano della palazzina sullo sfondo: lì viveva il Cardinale Bergoglio prima di diventare Papa. |
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La foto del Papa argentino all'ingresso della Cattedrale di Buenos Aires |
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L'altare della Cattedrale di Buenos Aires e il pulpito da cui predicava Bergoglio |
All'interno della Cattedrale c'è la tomba del Generale
San Martin, il liberatore del Cile, del Perù e dell'Argentina, vigilata in eterno da due soldati in alta uniforme, impassibili. É il Garibaldi argentino, tutte le località del Paese hanno la via centrale dedicata a lui. Del Libertador ne ho parlato all'inizio della storia di Zagor ambientata in Perù, qualche mese fa.
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La tomba del Libertador San Martin vegliata giorno e notte da due soldati argentini
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A proposito di Evita Peron, nata Duarte, ho scoperto la sua tomba (nella cappella di famiglia) nello storico cimitero della
Recoleta.
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Lo storico cimitero della Recoleta |
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La tomba di Evita Peron
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Lapidi davanti alla cappella della famiglia Duarte |
Altre tappe obbligate:
Puerto Madero, il quartiere dei ricchissimi e dell'alta finanza, con un Casinò aperto ventiquattro ore su ventiquattro, e il Rio de la Plata, un fiume tanto immenso, in questo punto, da poter essere scambiato per un mare. L'acqua è color caffellatte, perché porta la terra dilavata dall'interno, e non si vede l'altra sponda. Dunque non ci sono ponti. Attraversandolo, in battello, dopo diciotto chilometri di navigazione si arriva in Uruguay.
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Il Rio de la Plata è la distesa beige oltre il parapetto. |
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Un Casinò galleggiante a Puerto Madero |
Questo qui sopra invece è il monumento al mitico pilota ferrarista Juan Manuel Fangio, argentino, in una piazza di Buenos Aires. Nella capitale argentina predominano assolutamente i bianchi (latini per lo più, rarissime le persone di colore e gli asiatici): modi di fare, usi e costumi assomigliano decisamente ai nostri, per capirsi non c'è problema (loro parlano spagnolo, io italiano, e ci si intende perfettamente). Belen Rodriguez non sanno chi sia. Violetta sì. Hanno tutti un parente italiano ma fanno il pesto con la noci al posto del pinoli e danno il cucchiaio, insieme alla forchetta, per mangiare gli spaghetti. Comunque sia, volendo variare dal sempiterno bife de chorizo, il piatto nazionale argentino (carne buonissima e a buon mercato) se ne imparano sempre di nuove.
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Colazione con frutta di stagione. La stagione estiva di Buenos Aires mentre da noi siamo in pieno inverno, ovviamente.
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Oggi pranzo al Club de la Milanesa di Buenos Aires e scopro che praticamente cucinano un solo tipo di piatto che consiste in questo: immaginate una fetta di carne alla milanese, grande come un piatto, rotonda, impanata e fritta; questa fa da base come il disco di pasta della pizza per tutti i tipi di guarnizioni che si vogliono, da mettere sopra. Per cui "milanesa" ai quattro formaggi, "milanesa" capricciosa, "milanesa" prosciutto e funghi, con l'uovo, alla cipolla, eccetera eccetera. Sempre carne alla milanese sotto e guarnizioni in più strati sopra. Ce n'è abbastanza per aver voglia di fuggire in Patagonia: il viaggio continua.