domenica 4 febbraio 2018

SPIEGAZIONI SPIEGAZIONISTE




Nel numero speciale di SCLS Magazine a me interamente dedicato (dicembre 2017), compare una intervista al sottoscritto, in cui mi viene fatta, a pagina 126,  questa domanda: “La continua critica sullo spiegazionismo ha modificato il tuo modo di scrivere?”. Prima di rispondere, ci sarebbe da chiedersi che cosa significhi, esattamente, “spiegazionismo”, una parola misteriosa che mi lascia sempre molto perplesso.  Non riesco bene a capire di che cosa si tratti.  

Forse chi etichetta come spiegazionista un autore ritiene che i misteri e i nodi di una storia non dovrebbero essere sciolti, risolti e chiariti (e dunque spiegati)? Si dovrebbero lasciare delle domande senza risposta? Si dovrebbero scrivere storie in cui le motivazioni delle azioni dei personaggi siano indecifrabili o si prestino a più interpretazioni lasciate all’arbitrio del lettore, senza che all’autore sia consentito dare degli indizi? Dovrebbero essere banditi i balloon di pensiero da collane a fumetti come Zagor, che ne fanno uso da sempre per consolidata tradizione? E questo solo perché uno di questi balloon potrebbe dare una informazione giudicata superflua da qualcuno? C’è un tribunale del popolo che emette sentenze sulle spiegazioni che vanno o non vanno date, e fa ritrovare il cadavere degli autori che ne danno troppe nella bauliera di una macchina?  L’argomento è paradossale, tuttavia mi propongo di affrontarlo qui di seguito, per il gusto di analizzare la fenomenologia della psiche dei detrattori, uno sport molto divertente in cui mi sono dilettato spesso in questo spazio. La cosa buffa è che per difendermi dall’accusa di spiegazionismo dovrò argomentare molte spiegazioni.

Parole sante

Il più sacrosanto dei pareri sull’argomento viene fornito da Jacopo Rauch a pagina 90 dello stesso numero di SCLS Magazine citato all’inizio. Alla domanda “Qual è la tua opinione sullo spiegazionismo?”, Rauch risponde così: “Penso che sia una solenne cavolata”. Il che potrebbe bastare. La discussione è chiusa, arrivederci a tutti. Rauch, chiamato a esprimersi, in pratica ha detto delle accuse di spiegazionismo quello che l'indimenticabile Fantozzi dice della Corazzata Kotiomkin. Condivido. Novantadue minuti di applausi. 

Ma leggiamo, per amor di discussione, che cosa aggiunge Jacopo: “Con il simpatico neologismo di spiegazionismo  si imputa a Moreno Burattini di eccedere nelle spiegazioni, nelle sue storie. Ma questo non è affatto vero. Moreno spiega sempre quello che va spiegato, né più, né meno. Del resto le spiegazioni ci vogliono. E’ una regola sine qua non dello scrivere non lasciare buchi narrativi. Se uno sceneggiatore lo fa, pensando che la spiegazione sia sottintesa, commette un errore da circoletto rosso. Provate infatti a vedere cosa succede se uno lascia qualcosa di non spiegato all’interno di una storia: andate sui social e leggete le reazioni”.

Il caso del pozzo

Giusto: andiamo a leggere le reazioni, prendendo per esempio un caso fra i tanti. E’ il caso del pozzo che compare nella storia "Oscure presenze" (Zagor 473, del dicembre 2004). Ne ho parlato anche in una intervista fattami da Luca Raffaelli per commentare le storie a mia firma ristampate nella Collezione Storica a Colori di Repubblica. I fatti sono questi: a storia pubblicata, mi trovai a dover difendere l'idea del pozzo in cui i cajun avevano gettato i cadaveri degli abitanti del villaggio di Nuova Sulina, di cui avevano fatto strage. Secondo me, una "fossa comune" del genere avrebbe potuto essere apprezzata come un elemento horror spaventoso a vedersi. Nei fumetti cerchiamo sempre di inserire scene che colpiscano l'immaginazione dei lettori, "belle da vedere" anche se orride (come, nella stessa storia, la sconvolgente vignetta con il prete impiccato). Invece, con mia grande sorpresa, in Rete ci fu chi si prese la briga di sbizzarrirsi nel contestare il fatto che i miasmi dei corpi in decomposizione avrebbero dovuto rendere l'aria talmente irrespirabile da far scoprire subito la sorte dei primi abitatori del villaggio. Su questo particolare fu imbastita una polemica che non finiva più, cosa che a pensarci bene è persino divertente.  

Ricordo che, un po' perplesso, mi affannai a rispondere punto per punto tirando in ballo il fatto che in una palude piena di miasmi per conto suo non era come sentire odore di marcio in un salotto di casa, che in ogni caso il tempo trascorso dalle uccisioni poteva aver mummificato i cadaveri, oppure che, al contrario, l'umidità del delta del Mississippi (chissà quale ne è la composizione chimica) poteva aver decomposto i corpi in modo diverso e più veloce, oppure che la particolare conformazione del pozzo non favoriva le esalazioni che potevano essersi sfogate in altri modi. La cosa buffa è che in una storia basata sui fantasmi e i fenomeni di poltergeist (accettati senza battere ciglio) si andasse a contestare una faccenda di cattivi odori, e su quella venisse ingaggiata una battaglia fra lettori pro e contro. Naturalmente le mie puntualizzazioni, per quanto garbate e articolate, non convinsero nessuno dei detrattori, com'era inevitabile visto che si trattava di questioni di lana caprina. 

Dichiarai a Raffaelli: “C'è da notare che spesso i detrattori contestano quello che viene definito lo spiegazionismo, cioè la tendenza (che deriva da una precisa scelta di Sergio Bonelli, da lui persino rivendicata con orgoglio) a fornire spiegazioni tese a non lasciare punti oscuri in modo che il lettore non debba faticare per venire a capo dei perché e dei percome, mentre in altri casi gli stessi ipercritici contestano la mancanza di spiegazioni su particolari che, tutto sommato, su cui si potrebbe benissimo sorvolare. In fin dei conti, in un passaggio come quello incriminato il dato di fatto era che dei morti nel pozzo in un primo momento nessuno si era accorto: è davvero necessario spiegare perché? Ecco, ai tempi di Guido Nolitta certamente queste discussioni non si facevano, e altrettanto certamente se al vaglio del medesimo spirito ipercritico di certi forum fossero state passati i capolavoro dell'epoca d'oro zagoriana non ne sarebbero usciti indenni neppure quelli”. Dunque, se si spiega, scatta l’accusa di spiegazionismo, se non si spiega, scatta l’accusa di non aver fornito le necessarie spiegazioni. Insomma, ha ragione Jacopo Rauch.


Il parere di Sergio Bonelli

Ho scritto che la tendenza a fornire spiegazioni tese a non lasciare punti oscuri “deriva da una precisa scelta di Sergio Bonelli, da lui persino rivendicata con orgoglio”. Ora, i detrattori in preda al delirio  anti-spiegazionista sono ben identificabili in una sorta di ristretta, seppur rumorosa e schiamazzante, consorteria; tuttavia, se qualcuno dei soliti noti  volesse contestare questo dato di fatto, può andare a leggersi le dichiarazioni di Bonelli rilasciate a Franco Busatta, nel libro-intervista “Come Tex non c’è nessuno”. Secondo Busatta, lo stile narrativo di Nolitta può essere definito “didascalico”. Cioè, che intende accompagnare per mano il lettore all’interno della storia. Commenta Sergio: “E’ vero. Nel racconto bonelliano lo svolgimento della vicenda deve sempre essere molto chiaro e ben spiegato. Anche perché le nostre pubblicazioni sono pensate non tanto per l’intenditore, per il cultore del fumetto, ma soprattutto per il lettore, appassionato o occasionale, per il fruitore distratto, che magari vuole da un fumetto soltanto mezz’ora di spensierata, distensiva lettura”. In un’a intervista, Sergio confessa: “Le mie ultime esperienze di editore mi hanno insegnato che il fumetto come lo intendevo io ha fatto il suo tempo. Oggi c’è un modo di sceneggiare diverso, le storie sono più complicate e richiedono una complicità maggiore con il lettore”. Cioè, il lettore è chiamato a scervellarsi di più per seguire una storia. Nolitta stava bene attento che non succedesse: la storia doveva essere chiara al fruitore in modo tale che lui arrivasse alla fine con la sensazione di aver capito tutto, non avendo trovato nulla che non torni. Se ci sono lettori a cui questo non va bene, forse hanno sbagliato fumetto. Noi su Zagor cerchiamo di essere lineari e quindi spiegare il perché delle varie cose. 

Non so se mi spiego

Pensando che ci sarà sempre qualcuno che criticherà lo spiegazionismo, cerco di essere il meno spiegazionista possibile. Cioè mi pongo il problema. Però talvolta le spiegazioni vanno pur date (ci sono dei misteri da chiarire) ma soprattutto mi è stato sempre chiesto dalla casa editrice di fornirle. Quante volte mi è successo nella far leggere certe storie a Decio Canzio o a Mauro Marcheselli di sentirli chiedermi spiegazioni sul perché Zagor faceva una cosa e non un'altra! E quando io replicavo che dalle tavole si capiva, mi sentivo dire che bisognava spiegarlo a vantaggio di chi non avrebbe capito, perché questo era il nostro modo di fare, per cui magari dovevo aggiungere una frase (per poi sentirmi dire dai lettori che c'era troppo spiegazionismo).  

Quante volte Sergio mi ha fatto aggiungere balloon a delle vignette mute! Se facevo una vignetta muta, mi diceva che su Zagor si usa mettere il pensiero, perché fa parte dello stile della serie, come l’uso della gabbia o il minimo ricorso alle scontornate (una volta Bonelli mandò addirittura una circolare per vietarle). Nell’immagine che vedete qui sotto potete leggere una pagina della sceneggiatura della mia prima storia di Zagor, “Pericolo mortale” (1991) con le annotazioni a penna rossa dell’editor dell’epoca, Renato Quierolo, quello che per incarico di Sergio Bonelli e di Decio Canzio mi addestrò e mi face da maestro. 



Ebbene, in un dialogo, un trapper di nome Jeremy dice, davanti a un cadavere straziato: “Con ogni probabilità è quanto resta di Frank”. Al che Renato chiede: “Come fa a dirlo? Come lo riconosce? Brandelli di vestiti? Cartucciera o cosa?”. In altre parole mi viene chiesto di spiegare. In qualche modo il lettore doveva essere informato su come sia possibile per Jeremy riconoscere Frank. Magari aggiungendo una frase del tipo: “riconosco il suo vestito” o “riconosco la sua cartucciera”. Queste sono le indicazioni che venivano date sulla base di quanto richiedeva Sergio, che poi avrebbe letto a sua volta la storia aggiungendo altre richieste di chiarimenti.

Zitti e muti

Le vignette mute, senza frasi dette e senza pensieri, non sono state vietare, solo non ce ne devono essere troppe. Un'intera pagina di vignette mute ad esempio non sarebbe stata accettata da Bonelli. A parte il fatto che io, come è facilissimo constatare, ho sempre usato più vignette mute di Sergio, però l’usanza che abbiamo ereditato è che Zagor pensa. Che dia tanto fastidio questo fatto mi sembra strano. Se deve accendere il fuoco per i messaggi di fumo, pensa: “Ecco il punto adatto per  i messaggi di fumo”. Ai detrattori questo dà fastidio. Vorrebbero che facesse i segnali senza pensare nulla. Ma anche il fare delle tavole del tutto mute, alla maniera di Ken Parker, disturba un certo tipo di lettore, che non ne capisce il perché. Ricordo che Sergio Bonelli, quando scrissi la scena finale della storia della spedizione alpinistica sul “gigante di pietra” (Gli indiani delle praterie, Zenith 557-560),  lesse la scerna in cui  Zagor cade in un crepaccio insieme a un altro alpinista. L’amico muore e Zagor cade in ginocchio disperato e china la testa. Sergio ironicamente mi chiese perché non dicesse niente, se stava bisbigliando delle preghire per il defunto o che cosa. Io quella scena l'ho difesa e lasciata senza balloon. Insomma, su Zagor le storie si raccontano spiegando e facendo ricorso ai pensieri. Poi dà tanta noia? È una cosa così insopportabile? E perché quelli a cui dà noia devono dettare legge e pretendere di aver ragione loro?

Non restare chiuso qui, pensiero

Se io penso che devo andare al lavoro, penso "è ora di andare al lavoro". E se un fumetto dovesse descrivere i miei pensieri, in una nuvoletta che esce dalla mia testa andrebbe scritto: "è ora di andare al lavoro”. Dov’è lo scandalo? Nella vita reale capita a tutti di pensare: “meglio che faccia così” o “meglio che faccia cosà”, e di ripassare mentalmente il perché si  è deciso di farlo. Dunque, perché su Zagor non ci può essere un balloon di pensiero che esprime il momento della scelta del soggetto di fare una certa cosa?  E perché non accettare che questi pensieri servano a farci entrare nella psicologia di un personaggio, a dimostrarci che ragiona sulle cose, che fa delle scelte, che cerca di fare la cosa giusta, che agisce secondo un piano, che è propositivo? E’ davvero un mistero. Sono pronto a prendermi tutte le colpe per aver fatto pensare a Zagor "è un buon posto per fare i segnali di fumo" (una colpa senza dubbio gravissima), ma non mi si dica che su Zagor è prassi fin dai tempi di Nolitta fare lunghe sequenze mute e che io ho rotto improvvisamente la tradizione, perché è esattamente il contrario. La tradizione è quella dei pensieri e non sono per niente frequenti le scene mute. E' qualcosa che contraddistingue il modo di raccontare di Zagor. 

Una volta (in occasione della storia del ritorno di Robert Gray) sono stato criticato dal detrattore di turno per questa scena: un tale ha massacrato di botte Zagor e sta per ucciderlo, e c'è Cico con la pistola a portata di mano che non interviene. Ho fatto pensare al pancione la spiegazione del perché sia meglio non interviene. Secondo un tale, non doveva pensare nulla. Al che, qualcun altro si sarebbe chiesto: e perché non interviene? Il mancato intervento senza spiegazione sembra assurdo. Ma tant'è: gli spiegazionofobi preferiscono che qualcuno si comporti in modo assurdo piuttosto che un semplice pensiero giustifichi quel comportamento. Peraltro, non è che un pensiero rallenti l'azione: pensare è immediato, per cui non è che c'è da fermarsi per ascoltare un lungo discorso. Lunghi discorsi che sono sempre stati tipici dello Zagor di Nolitta. Non starò a ricordare tutto il bellissimo, ma retorico, discorso al principe Minamoto, ma quante volte abbiamo sentito lo Spirito con la Scure arringare agli indiani cercando di convincerli delle sue ragioni nel modo che è loro caro (e quindi anche retoricamente, o con certo modo di argomentare)? Per gli anti-spiegazionisti ecco che Zagor non deve parlare più perché se una una frase di più scatta l'accusa di spiegazionismo, e gli indiani devono adattarsi ai ritmi da videoclip. Se poi, come accade talvolta, il parlare serve a guadagnare tempo ed è indice di astuzia, niente da fare: per i detrattori più piccati, non bisogna farlo parlare. 

L’etichettatura

Potremmo addirittura fare un’analisi delle sceneggiature di Nolitta e scopriremmo come questi fosse assai più spiegazionista del sottoscritto  nei balloon e soprattutto nelle didascalie (che io ho quasi abolito senza che, a quanto pare, nessuno se ne sia accorto). Ma altrettanto sicuramente più spiegazionista di me è l’ottimo Jacopo Rauch, a cui, come editor, cancello la metà dei discorsi dei balloon perché non se la prendano anche con lui. Tuttavia l’etichetta di spiegazionista è stata data a me e temo che sia diventato a tal punto un luogo comune che non me la toglierò più di dosso, neanche se scrivessi d’ora in poi soltanto storie mute. Le etichette sono impossibili da togliere. Ci sono, peraltro, in letteratura, scrittori oltremodo spiegazionisti che godono di grande successo: per esempio, in ordine alfabetico, Isaac Asimov, Agatha Christie o Stephen King. E' il loro stile. Chi non apprezza il lento incedere analitico della prosa di King, semplicemente non lo legge - ma nessuno gli contesta il diritto di scrivere con gli pare. 



Personalmente apprezzo le storie in cui capitano dei fatti misteriosi su cui si deve indagare, e mi piace scoprire poi il perché e il percome, svelare i retroscena, accorgermi di come stavano veramente le cose. Mi piace lo svelamento in flashback di episodi del passato che sembravano inspiegabili. E dunque, come autore, cerco di scrivere le storie che poi mi piacerebbe leggere come lettore. Se spiegazionismo significa fornire spiegazioni sui misteri su cui si e indagato, mi sembra che sia peggio non fornirle, queste spiegazioni. Si dovrebbe contestare la mancanza di spiegazioni, non che vengano date. Forse quel che mi si obietta e l'eccesso di spiegazioni, ma anche in questo caso la cosa e opinabile. Chi stabilisce che cosa e in eccesso e che cosa no? Mi trovo a pensarci e ripensarci ogni volta che scrivo un dialogo. "E' necessario spiegare questo e quest'altro?" mi chiedo. Se lascio la spiegazione significa che mi rispondo di si. Sono convinto che se non spiegassi poi qualcuno mi accuserebbe di non aver spiegato. Quando mi sembra il caso di spiegare, cerco di farlo nel modo più accattivante possibile in modo da non stancare troppo, certo che qualunque cosa abbia fatto non riuscirò mai ad accontentare tutti.  Può darsi che lo che spiegazionismo corrisponda a una mia esigenza interiore di razionalità, di chiarezza, di ordine mentale che fa parte del mio carattere, che rifugge l'irrazionalità. Sento il bisogno di trovare risposte ai tanti perché della vita, e visto che non ho la minima idea di chi sono, da dove vengo e dove sono diretto, lasciatemi almeno spiegare nei miei fumetti chi sono, da dove vengono e dove sono diretti i miei personaggi.

Così è se vi pare

A un certo punto poi bisogna anche considerare che esiste quella che si chiama la “calligrafia dell'autore”. Un certo autore scrive in un certo modo, ha un suo modo di fare; così come Mignacco scrive alla Mignacco, e Boselli alla Boselli, Burattini scriverà alla Burattini. Se non ti piace, non leggerli. Non è che posso scrivere sotto dettatura. Siccome c'è  Tizio che non vuole che Zagor pensi, io dovrei sceneggiare come piace a lui. No, io scrivo come, secondo me, va scritto. Se a lui non piace, ha due soluzioni: o se lo fa piacere, nel senso che rispetto ai tanti pregi quel difetto si può anche tollerare; oppure, se è così insopportabile, non legge le storie di Burattini. 

Concludo facendo notare che io non scrivo e non ho scritto soltanto Zagor. Quando sceneggio Tex o Dampyr uso lo stile di sceneggiatura tipico di Tex e di Dampyr. Dunque rivendico il diritto, quando sceneggio Zagor, di usare lo stile di sceneggiatura tipico di Zagor. Di recente ho pubblicato una raccolta di racconti intitolata “Dall’altra parte”. Sono tutti racconti molto brevi perché non so scrivere racconti lunghi. Non ho mai pensato di scrivere un romanzo. Persino quello intitolato “Le mura di Jericho”, che potrebbe essere definito romanzo (è una storia di Zagor in prosa) non supera le cento pagine.  Sono essenziale, conciso, non mi perdo in descrizioni, racconto una storia senza fronzoli. E dunque? Dov’è lo spiegazionismo? E vogliamo parlare della mia produzione di aforismi? Due antologie, la seconda delle quali si intitola “Sarà bre”. Un titolo che è tutto un programma. Gli aforismi si basano sull’estrema sintesi nell’esprimere un concetto. Dunque si potrebbe dire che ho la battuta fulminante nel DNA. Però, per i detrattori, resterò sempre Moreno Burattini, lo spiegazionista.