Il n° 645 di Zagor (Zenith 696), datato aprile 2019 e intitolato "Il feticcio di fuoco" propone, nelle prime trentadue pagine, il finale della storia iniziata in gennaio e ambientata nei deserti del Sud Ovest: i testi sono miei, i disegni di Bane Kerac. Nella restante parte dell'albo comincia invece una nuova avventura, scritta da me e illustrata da Nando e Denisio Esposito. Di questa, parleremo il prossimo mese.
Qualche parola invece sulla conclusione della vicenda imperniata sulla controversa figura di Julia Schulz, studiosa dell'Università di Harvard, artefice di un piano criminale e responsabile della strage dei componenti della spedizione archeologica di cui faceva parte. C'è stato persino un recensore che l'ha ritenuta dalla parte della ragione, mossa da principi condivisibili, e dunque non riusciva a considerarla una "cattiva". In effetti alla base delle azioni di miss Schulz c'è il senso di rivalsa di una donna che sente di non poter avere, proprio per la differenza di genere, le stesse possibilità di carriera dei colleghi uomini, si sente emarginata o poco tenuta in considerazione, nonostante la sua preparazione e suoi meriti, in un ambiente quasi del tutto maschile. Proprio per questo crede di poter ottenere i riconoscimenti desiderati facendo del tutto propria l'incredibile scoperta dello staff del professor Stone, di cui entra a far parte. La scoperta in questione consiste in un carico di papiri della Biblioteca di Alessandria giunto in modo fortunoso, nell'antichità (nel V secolo dopo Cristo), sul continente americano.
Per quanto la battaglia per i pari diritti delle donne (cominciata da Olympe De Gouges durante la Rivoluzione Francese, e approdata negli Stati uniti negli anni Quaranta del XIX secolo, dunque in epoca zagoriana, con Elizabeth Cady Stanton) sia sacrosanta, Julia Schulz però la conduce per il proprio personale tornaconto e non facendosi scrupolo di uccidere. Inevitabilmente deve considerarsi una "cattiva". Peraltro, a giudicare dai commenti letti, una "cattiva" che ha particolarmente colpito i lettori, per merito anche della efficace caratterizzazione di Bane Kerac.
Il rischio, su cui ho riflettuto a lungo mentre pensavo e scrivevo la storia, era quello di sembrare sessista senza volerlo essere. Cioè, mi dicevo, non parrà mica che raccontano di una criminale "femminista" (anche se sono l'ambizione e il desiderio di successo a muoverla, più che le istanze ideologiche) possa essere accusato di dipingere come "cattive" le donne che rivendicano le stesse opportunità degli uomini?
La soluzione a questo dubbio mi è parsa evidente allorché ho contrapposto a Julia un'altra, potente, figura femminile: la filosofa Ipazia. Ipazia è il contraltare di miss Schulz. Della filosofa abbiamo parlato nei precedenti articoli dedicati su questo blog alle scorse puntate della storia, e il personaggio compare in varie scene ambientate ad Alessandria d'Egitto, là dove Ipazia visse tra il 350 e il 415 dopo Cristo (a cui è stato dedicato il bel film "Agora"). Chi ha constato il presunto didascalismo del racconto della vita e della morte della filosofa non ha evidentemente capito che era fondamentale spiegare chi fosse stata Ipazia per dimostrare l'errore di Julia Schulz: la studiosa greco-alessandrina si può davvero considerare una paladina dell'emancipazione femminile, avendo dimostrato come una donna possa dimostrarsi valente al pari e di più degli uomini; Julia cerca invece la sua emancipazione comportandosi da uomo, cioè con l'arroganza e la violenza. Dal confronto fra queste due figure femminili scaturisce la "morale" della storia, se una morale proprio ci deve essere. Il destino di Julia si compie quando anche lei lo capisce.