venerdì 11 maggio 2012

IL WESTERN HA LA PELLE DURA

 
Come ho già anticipato dandovi un po’ di appuntamenti per il futuro, dall'11 al 13 maggio sono a Orvieto (Terni) dove, presso il Palazzo del Popolo e il Palazzo dei Sette, si svolge la quarta edizione di Orvieto Comics, quest’anno dedicata al West. La kermesse, infatti, è abbinata al Western Festival: ci saranno mostre, dibattiti, e presenze di ospiti illustri, non solo provenienti dal mondo del fumetto, ma anche da quello del cinema. Per saperne di più vi basterà visitare il sito della manifestazione. Io, comunque, ho in agenda un incontro domenica 13 maggio alle ore11.30 nella Sala dei Quattrocento presso il Palazzo del Popolo: farò da coordinatore e moderatore a una chiacchierata con Paolo Eleuteri Serpieri, Raul e Gianluca Cestaro, Lorenzo Bartoli e Mauro Laurenti. Il titolo del dibattito è “Il western ha la pelle dura”, che è esattamente quello che, qualche mese fa, ho voluto dare al mio saggio introduttivo al volume cartonato “Le frontiere del West”, a cura di Salvatore Taormina (Edizioni Amici del Fumetto, Torino, Febbraio 2012), ricco di immagini spettacolari. In attesa di farvi la cronaca delle giornate orvietane, ecco quel testo.


IL WESTERN HA LA PELLE DURA
Di Moreno Burattini


“C’era una volta il western”:  così, una decina di anni fa, avevo intitolato un mio articolo in cui rimpiangevo la quasi totale scomparsa dalle scene mediatiche di un genere da me molto amato, quello appunto legato alle ambientazioni del Lontano Ovest. Nel lamentare la scarsezza di film, romanzi e fumetti western di nuova produzione, rispetto all’abbondanza del passato, non ero solo. Per citare il più illustre pessimista che mi faceva compagnia, riportavo le parole di Sergio Bonelli che, sull’ Almanacco del West 1996 scriveva: “Con il passare del tempo, si fa sempre più forte in me l’impressione - o, se preferite, la presunzione - che l’Almanacco del West sia diventato l’equivalente reale e tangibile di quella bandiera della vecchia Frontiera americana di cui io come editore e voi come lettori ci sentiamo gli ultimi difensori!”. 
 
Nella stessa pubblicazione, il critico Maurizio Colombo aggiungeva il suo scoraggiante commento: “Inutili farsi illusioni, il western, dopo l’ennesimo finto risveglio, sembra giacere morto sulla collina degli stivali dei generi cinematografici. Abbiamo cantato vittoria troppo presto, abbagliati dagli inaspettati successi dei soliti Balla coi Lupi, Gli spietati e L’ultimo dei Moicani, che davano il cinema di frontiera prossimo alla rinascita. Ci preparavamo a un’abbuffata di film, ma ci siamo fermati solo all’antipasto, senza saziare la nostra fame ormai disperata di amanti dell’Ovest selvaggio”.  
 
La “fame” di West a cui fa riferimento Colombo deriva da una sorta di “educazione sentimentale” che ha plasmato il gusto e l’immaginario di intere generazioni fino ai nati negli Anni Settanta: quelle che hanno potuto godere dei western visti al cinema, e non inscatolati in TV con il telecomando a portata di mano.  “Visti in televisione, quei film sono una lontana favola colorata, come Walt Disney - scrive invece Pino Farinotti - Non c’è più, per esempio, l’identificazione. Chi ha quaranta anni ha fatto in tempo a raccogliere, da bambino, questa emozione. L’esempio di eroismo gratuito, dell’onestà senza discussione fa parte della cultura iniziale di chi vedeva quel cinema. Sì, un po’ come il bambino del Nuovo Cinema Paradiso. Tutto questo prima che arrivassero i nuovi eroi del ‘contromito’”. Il cinema western era un cinema splendido. In realtà il West non è  un luogo della realtà, né designa la particolare epoca storica che tutti conosciamo:  le coordinate geografiche e temporali del western sono solo convenzioni. Il West è  altro: un mito, una leggenda, un sogno. Per qualcuno, il simbolo dell’avventura, per altri  la metafora della vita. Ancora meglio,  il West è  una frontiera fra noto e ignoto, fra realtà e mistero, fra scienza e magia. Un varco fra mondi paralleli. Ed è  un peccato che i giovanissimi non ne possano fruire come facevamo noi, e come prima di noi fecero i nostri genitori. Quando la TV trasmetteva un film, o il parroco ne proiettava uno nell’oratorio, i ragazzi si auguravano che fosse un western. Scrivono Raffaele Mantegazza e Brunetto Salvarani: “Speravamo sempre che fosse un western, possibilmente con lo scontro epico fra il buono (il nostro amico) e una pletora di cattivi di turno. Non ci rendevamo conto, nella estatica contemplazione di cui eravamo preda allora, che stavamo allineando il nostro sguardo con quello di infiniti altri ragazzi e adulti che si sono lasciati affascinare, nei decenni, dal genere più tradizionale del cinema statunitense, che ha saputo rompere i confini e gli argini tra i mezzi di comunicazione, lasciando le sue tracce un po’ ovunque nell’immaginario collettivo” (Io sparo positivo, 1997, Edizioni Unicopli). Negli anni Cinquanta, Sessanta e per molti dei Settanta il West spopolava al cinema e nei fumetti. Di conseguenza, animava i giochi dei bambini e dei ragazzi, che simulavano furibonde sparatorie o cruenti attacchi ai fortini nei loro cortili o manovrando i soldatini rappresentanti indiani, giacche blu o cowboy. Successivamente, il western perse mordente fino al pressoché totale abbandono dei nostri giorni, quando praticamente nessun bambino prova la minima emozione sentendo citare gli Apaches o la sfida all’OK Corral, e i soldatini raffigurano piuttosto tartarughe ninja, robot giapponesi o dinosauri.

Ma, a conti fatti, siamo arrivati nel secondo decennio del Duemila e il western è ancora qui a farci compagnia. Non si è affatto estinto. Ha la pelle dura. Non soltanto Tex Willer cavalca ancora (in compagnia, peraltro, di Zagor) e gode di ottima salute, ma il cinema ha continuato a proporci pellicole ambientate nel Lontano Ovest. L’ultima, contaminata con la fantascienza, è stata “Cowboys & Aliens”, ispirata peraltro da un fumetto. E negli anni precedenti si sono visti parecchi film hollywoodiani di notevole livello, dai bei remake di “El Grinta” e di “Quel treno per Yuma” a inediti di grande impatto come “The missing” e “Appaloosa”. Insomma, abbiamo pianto una dipartita di un malato tutt’altro che spacciato.

Vale la pena, perciò, a beneficio di chi non c’era e di chi ha piacere di ricordare, tracciare un quadro della produzione di fumetti western all’italiana. E parlando di fumetti non si può fare a meno di partire proprio da Tex, che cavalca sulle frontiere del Far West dal 1948, anno in cui fu creato dallo sceneggiatore Gian Luigi Bonelli (padre di Sergio) e dal disegnatore Aurelio Galleppini, in arte Galep. In realtà, il successo di Aquila della Notte non era previsto, né sperato. Gianluigi Bonelli era uso sfornare nuovi personaggi a getto continuo, e in generale il mercato italiano vedeva cambiare collane, serie ed eroi con una certa facilità. Un character  iniziava a comparire in edicola, vi rimaneva finché le vendite ne giustificavano l'uscita, ai primi cenni di stanchezza si provvedeva a sostituirlo con un altro eroe più fresco. Probabilmente, nelle aspettative della casa editrice, Tex avrebbe dovuto seguire questo tipo di iter. Anzi, in casa Bonelli si contava molto di più un altro eroe, sempre realizzato da Aurelio Galleppini: Occhio Cupo. 
 
Prima del 1948, comunque, gli eroi di casa Bonelli non erano affatto tutti personaggi western. Anzi, ebbero caratteristiche piuttosto varie: Ipnos (testi di Gin Luigi Bonelli e disegni di Cossio, Piffarerio e Da Passano), tanto per fare solo qualche esempio, è un illusionista ricalcato sul Mandrake di Lee Falk e Phil Davis; Capitan Fortuna (testi e disegni di Rino Albertarelli) un eroe marinaro di stampo salgariano fatto muovere su sfondi esotici del XVII secolo; Frisco Bill (testi di Franco Baglioni e disegni di Guido Zamperoni) uno scanzonato giornalista; Occhio Cupo (testi di Gian Luigi Bonelli e disegni di Galep) una riuscita commistione fra Zorro e Robin Hood che vive le sue avventure nella regione dei Grandi Laghi durante la guerra franco-inglese per il possesso del Canada. Il 30 settembre 1948, però, Bonelli e Galleppini mandano in edicola la prima striscia di Tex, "Il Totem Misterioso" e il successo è tale che l'intera casa editrice si trasferì per parecchio tempo sulle frontiere del Far West. Per tutti gli Anni Cinquanta, vedono la luce in casa Bonelli (ma lo stesso accade presso gli altri editori) una dopo l'altra una miriade di testate western: un rapido e non esaustivo elenco consente di inventariare collane come Mani in Alto! (1949); I Tre Bill (1952); Il Cavaliere Nero (1953); Rio Kid e Za La Mort (entrambi del '53); Il Sergente York (1954); El Kid (1956); Hondo (1956). Nel 1957 i western si moltiplicano: troviamo Big Davy, Kociss, La Pattuglia dei Bufali, Yado, Rocky Star. A questo elenco potrebbero aggiungersi serie non propriamente western ma molto simili, come Gordon Jim (1952) ambientata nel nord-est degli Stati Uniti alla fine del XVIII secolo; Terry (1956), che narra le vicende di due cow-boy in trasferta in Africa; Silver Squick (1957), dove un assortito gruppo di simpatici personaggi viene fatto muovere sullo sfondo delle colonie americane appena liberate dal giogo inglese.

Due sono i fatti salienti del 1958: il primo è la nascita de Il Piccolo Ranger, un personaggio creato da Andrea Lavezzolo sulla falsariga del Capitan Miki della EsseGesse e affidato alla realizzazione grafica di Francesco Gamba. Dopo l'immarcescibile Tex, Il Piccolo Ranger è il primo esempio di serie bonelliana destinata a resistere a lungo nel tempo: la chiusura avverrà solo dopo 27 anni, nel 1985. Il secondo avvenimento degno di nota è l'esordio come sceneggiatore di un certo Guido Nolitta, pseudonimo sotto il quale si nasconde il giovane Sergio, figlio di Gian Luigi Bonelli, costretto a cambiare nome per far sì che di Bonelli autore di testi ce ne fosse solo uno e non si generasse confusione nei lettori. All'epoca Sergio Bonelli era solo ventiseienne, ma già da un anno era subentrato alla madre Tea nella direzione della casa editrice. Il suo primo personaggio si chiama Tim Carter, meglio noto come Un Ragazzo nel Far West. E' sempre alla sua penna che dobbiamo la nascita di Zagor, personaggio datato 1961 creato graficamente da Gallieno Ferri: un eroe destinato a un grandissimo successo, testimoniato da oltre quarant'anni di ininterrotta pubblicazione, nelle cui avventure il western si contamina con i più disparati generi narrativi, dal comico all'horror, dal fantasy alla fantascienza.
 
Il western imperversò anche per tutti gli anni Sessanta. Guido Nolitta ricomparve come autore de Il Giudice Bean (1963), Gian Luigi Bonelli sfornò Lobo Kid (1964) per i disegni di Loredano Ugolini, Gino D'Antonio dette il via alla saga dei Mac Donald con la sua Storia del West (1967). Vale la pena di sottolineare quest’ultima serie, originariamente inserita all’interno della Collana Rodeo e poi ristampata più volte: si tratta di settantacinque episodi che, raccontando le vicende di una famiglia americana nell’arco di quasi un secolo, ripercorrono tutte la vicende della conquista del West attraverso avventure tanto avvincenti quanto estremamente documentate. Lo stesso tipo di esperimento, ma condotto con volumi monografici, ciascuno dedicato a un personaggio storico del West la cui biografia veniva raccontata a fumetti sulla base di una precisa ricostruzione degli eventi che l’aveva contrassegnata, fu realizzato con i dieci volumi della collana I Protagonisti (1974), scritti e disegnati da Rino Albertarelli. Dunque, insieme al West della fantasia si cominciava a parlare del West della realtà, così come accadeva peraltro anche al cinema western, quando, negli anni Settanta, le pellicole hollywoodiane iniziavano a narrare storie basate su fatti e personaggi realistici, cambiando perfino approccio e punto di vista riguardo alla tradizionale divisione tra “buoni” e “cattivi”: film come Soldato Blu, di Ralph Nelson (Soldier Blue, 1970), o Il Piccolo Grande Uomo, di Arthur Penn (Little Big Man, 1969), ne sono degli esempi.

Non a caso, nello stesso periodo (i primi anni Settanta), Sergio Bonelli propone, accanto ai suoi fumetti, una serie di veri e propri libri, saggi storici scelti e tradotti, oltre che estremamente curati nella grafica: si tratta della Collana America (1972), nel quale vengono pubblicati testi riguardanti non solo l’approfondimento delle tematiche legate alla storia del West ma in generale la divulgazione storiografica circa la realtà dei più classici scenari dei racconti d’avventura, dall’esplorazione dell’Africa alla pirateria nel Mar delle Antille. E un’altra collana bonelliana sempre di quegli anni, Un Uomo Un’Avventura (1976), presentava avventure a fumetti firmate da grandi disegnatori, pubblicate cartonate, a colori e in grande formato, ciascuna autoconclusiva e riguardante un personaggio immaginario calato però di volta in volta in un diverso contesto storico ricostruito su una rigorosa base documentaria, tra cui il West, ma non solo. In questa collana lo stesso Nolitta sceneggia, nel 1977, per Aurelio Galleppini il volume L'Uomo del Texas, ma altri titoli di ambientazione western furono realizzati da Sergio Toppi, Dino Battaglia e Hugo Pratt, E’ evidente, insomma, lo sforzo di Bonelli come editore (ma anche come autore, essendo egli stesso sceneggiatore di molte storie) di non limitarsi a dare alle stampe storie avventurose di pura evasione ma di fornire anche strumenti di approfondimento e di analisi della realtà storica e antropologica. Una maggiore attenzione alla storia e all’antropologia è comunque evidente anche nelle sceneggiatura delle storie di Tex e di Zagor, e viene incontro alle esigenze di un pubblico sempre più attento e documentato.

Uno sforzo del genere, oltre al tentativo di uscire da un genere che al cinema cominciava a dare segni di stanchezza, è sicuramente anche alla base della nascita di Mister No (1975), il primo personaggio non western creato da Nolitta/Bonelli.  L'intuizione vincente di Nolitta fu quella di immaginare per le avventure di Mister No una collocazione spazio-temporale del tutto originale: quella dell'Amazzonia degli Anni Cinquanta, quando ancora il continente verde era  terra di frontiera in gran parte  inesplorata, dove i primi contatti fra indios e uomini bianchi riproponevano gli stessi problemi di cento o duecento anni prima tra visi pallidi e pellerossa. Mister No è il primo personaggio di casa Bonelli a misurarsi fin dall'inizio, in maniera sistematica e non occasionale, con la realtà storica e  i reali problemi di una terra  affascinante e selvaggia, riuscendo a immergere i lettori nelle sue atmosfere e nei suoi ritmi di vita così diversi dai nostri, e a darne una rappresentazione non solo plausibile ma talvolta addirittura probabile. 
 
Ma se l’avvento di Mister No prelude a tutta una serie di personaggi lontani dalle frontiere del Far West (di cui qui non ci occuperemo), occorre dire che il western non viene mai del tutto abbandonato. Un altro personaggio uscito sotto l’egida di casa Bonelli in quello stesso periodo,  Ken Parker, creato nel 1977 da Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo, non è un western nel senso tradizionale del termine, o non lo è soltanto: trascende i confini del genere. L'ovest americano che fa da sfondo alle vicende umane del protagonista è  visto con occhi nuovi. Chiunque si trovi a fare i conti con il western deve necessariamente sottostare alla regola dell' Im Westen Nichts Neues: all'Ovest niente di nuovo. Migliaia di film, romanzi e fumetti hanno sfruttato ogni situazione in tutte le possibili salse. Berardi si è reso conto dell'impossibilità di dire qualcosa di più in un contesto in cui si è detto tutto. Appunto per questo, il suo approccio verso gli ingredienti più tradizionali del genere (gli attacchi degli indiani, le rapine alle banche, i ladri di bestiame e così via) è di sostanziale accettazione. Ciò che si modifica è  l'ottica attraverso la quale queste situazioni vengono presentate al lettore. Non più la tradizionale divisione in "buoni" e "cattivi", ma il tentativo di esporre le ragioni degli uni e degli altri; non più eroi a tutto tondo, ma personaggi problematici, spesso tormentati da dubbi, angosce e incertezze. Inoltre, Ken spazia in una dimensione più ampia di quella del western tradizionale: lo vediamo cacciatore di balene tra gli iceberg e investigatore tra i palazzi di città. Infine, le avventure di "Lungo Fucile" sono caratterizzate da una costante contaminazione tra più generi: dal cinema alla letteratura, dalla musica al fumetto.

Mentre al cinema il western stava scomparendo, e nei fumetti i generi andavano sempre più diversificandosi, Sergio Bonelli non rinunciava comunque alle sperimentazioni sulle frontiere del Far West. Del resto aveva l’esempio vincente di un Tex che continuava ad andare a gonfie vele; e di uno Zagor che dimostrava una invidiabile vitalità (due testate in cui, nel corso degli anni, la parola d’ordine è sempre stato: rinnovarsi nel rigoroso rispetto della tradizione). Così, furono fatti altri tentativi di rilanciare il western, e gli esperimenti lasciarono sul terreno tre vittime. Le prime due, Judas, agente della Pinkerton in un West crepuscolare, e Gil, cowboy metropolitano che gira a cavallo per le città dei giorni nostri, collane opera entrambi dei fratelli Ennio e Vladimiro Missaglia, chiuse una nel 1980 e l’altra nel 1983 dopo pochissimi numeri. Poi, nel 1985,  Bella e Bronco, serie ideata da Gino D’Antonio.

La chiusura di queste tre testate non blocca la via del West, tant’è vero che nel 1987 Sergio Bonellu vara TuttoWest, una collana antologica in cui ripropone il meglio dei western minori della sua casa editrice degli anni Cinquanta e vi inserisce anche la miniserie inedita River Bill, da lui stesso ideata per i disegni da Francesco Gamba. E nel 1997 ecco un nuovo eroe western, Magico Vento, creato da Gianfranco Manfredi che immagina un West magico e nello stesso tempo crudo e realistico, estremamente documentato e nello stesso tempo cupo e fascinoso.

Non c’è soltanto la Bonelli, nel western all’italiana. Anzi, soprattutto negli anni Quaranta e Cinquanta ci furono moltissimi altri personaggi con la colt in pugno. E anche senza colt, come Pecos Bill, il cowboy armato soltanto di lazo, creato el 1949 da Guido Martina e Raffaele Paparella. E western sono anche le avventure del Piccolo Sceriffo di Tristano Torelli e Camillo Zuffi (1948),di Capitan Miki della EsseGEsse (1951), o di Maschera Nera, di Max Bunker e Piffarerio (1961). Italiani erano poi gli staff creativi di molte serie americane di ambientazione western, come per esempio Turok, realizzato a Roma negli anni Cinquanta e Sessanta da Giovanni Giolitti e Giovanni Ticci. Ovviamente, abbiamo citato soltanto alcuni nomi, su ognuno dei quali ci sarebbero da scrivere dei libri interi. A proposito di libri, uno che dà un quadro rapido ma esaustivo della produzione wester mondiale è stato curato da Graziano Frediani per essere allegato a un albo di Tex celebrativo dei cinquant’anni del personaggio, nel 1998, e si intitola “Le frontiere di carta”. Sottotitolo quanto mai esplicativo: “Piccola storia del West a fumetti”. Vale la pena di procurarselo, per i testi ma anche per le illustrazioni: l’apparato iconografico è infatti una gioia per gli occhi e per il cuore. Per finire, e dimostrare la vitalità di un genere che davvero non vuol saperne di andare in pensione, anche nel campo delle autoproduzioni nate dall’impegno e dall’entusiasmo di giovani autori, va citata la serie (ormai divenuta una vera e propria saga) di Than Dai, pubblicata da quell’editore per passione che risponde al nome di Salvatore Taormina. L’avventura continua.