Ho letto qualche giorno fa una notizia, rimbalzata poi anche in televisione, che mi ha fatto cascare le braccia. Niente di nuovo sotto il sole, per carità. Però, l'impressione è che le cose stiano prendendo una piega sconfortante. I fatti sono questi.
Una ragazza passeggia per Central Park e l'obiettivo del fotografo la coglie mentre tira su il vestito nero quel poco che basta a scoprire uno scorcio di fondoschiena. Si tratta di uno scatto artistico del grande Terry Richardson, realizzato per collezione Primavera/Estate 2011 del marchio Silvian Heach. In apparenza, una pubblicità come tante altre. Anzi, forse più castigata di tante altre.
Ma ecco insorgere genitori e insegnanti di una scuola elementare davanti alla quale è stato affisso un manifesto con quella immagine. "Non siamo moralisti - spiega una insegnante di italiano, tale Elena Miglietta - Diciamo solo che sarebbe meglio che quella foto non stesse davanti a una scuola. Si tratta solo di buon gusto".
Si potrebbe cominciare con il rispondere che Freud insegnava come quando qualcuno comincia una frase premettendo il "non", in realtà per interpretarla correttamente bisogna leggerla senza la negazione iniziale. Dunque, "non voglio fare il polemico, ma" si deve intendere, come tutti infatti intendono, "voglio fare il polemico, e". Quindi, traducendo, "non siamo moralisti" è uguale a "siamo moralisti". Del resto, per averne una conferma basta valutare il senso della dichiarazione. Perché "quella foto" non dovrebbe stare davanti a una scuola? Qual è il danno che potrebbero averne i ragazzi? Sinceramente, mi sfugge.
Si tratta di una bellissima foto, scattata da un maestro della fotografia in un posto del mondo molto bello, e raffigura una ragazza molto bella che non fa niente che non sia bello. Male che vada, la foto educa il gusto estetico. Cosa che non fanno mille altre pubblicità molto brutte, ma che ai moralisti non interessa far togliere, come le facce dei politici durante le campagne elettorali. Nessun ragazzo delle elementari troverà niente di deleterio in quell'immagine. Del resto, omnia munda mundis: tutto è puro per i puri. La malizia è negli occhi di chi guarda. La perversione è nella mente del pervertito. Sono i genitori e gli educatori scandalizzati, ad avere qualcosa che non va nella loro percezione della cose. I bambini, al contrario, sorridono di fronte al nudo artistico come di fronte a un bello spettacolo. Del resto, Dio ci ha creati nudi, e sono stati i moralisti a farci indossare le foglie di fico.
Dov'è il cattivo gusto, nello scatto di Terry Richardson? Nel fatto che ci sia una porzione di corpo femminile scoperto? Ma non ci abbiamo messo secoli, per far guadagnare alla donna la libertà e il diritto di potersi spogliare? Vogliamo tornare agli abiti lunghi dei puritani? Dobbiamo riprendere a censurare i fumetti di Tex coprendo le gambe all'indianina Tesah e il decolleté della maliarda Mary Gold? Vogliamo prendere esempio dai talebani e costringere le donne a indossare il burqa? Ce lo dicano, Elena Miglietta e i di lei compagni di crociata, che evidentemente preferiscono che i loro figli crescano con la morbosità scandalizzata di chi vede il peccato in ogni centimetro di pelle nuda oltre il volto e le mani.
Forse il cattivo gusto è nella solare sensualità della modella? E perché mai la sensualità, espressione naturale e poetica della sessualità, dovrebbe essere qualcosa da censurare? Non c'è forse bellezza in un gesto sensuale come quello, per esempio, di un passo di danza? O nella posa di una statua greca o della Maya Desnuda di Goya? Oppure siamo alle solite ed è il sesso a venire bollato come peccato in ogni sua forma e manifestazione? E i ragazzi non devono fin dalle elementari essere educati, invece, alla sessualità anche e soprattutto per dotarli prima possibile degli strumenti per giudicare e valutare il mondo che li circonda, e interpretarne correttamente i messaggi? Il quasi impercettibile nudo di Terry Richardson andrebbe censurato: e tutti gli altri nudi proposti dal resto della società? Non è forse compito degli educatori (genitori e insegnanti) prendere spunto da ciò che ci circonda per spiegare la realtà ai più piccoli?
Il vero educatore dovrebbe mostrare ai ragazzi il cartellone davanti alla scuola e allenarli a riconoscere il bello e il buono, la poesia di un gesto, la bellezza di un sorriso, l'armonia di una forma, la composizione di una immagine. Che cosa ci viene proposto, invece? Di mettere i mutandoni alla modella, di voltare gli sguardi scandalizzati, di far percepire ai bambini il senso dell'indignazione farisaica e del peccato. Mamma mia, che miseria spirituale e che squallore. Stiamo attenti, perché questi qui faranno cambiare percorso alle scolaresche anche davanti alla Venere del Botticelli, durante la visita agli Uffizi. In ogni caso, anche di fronte ai brutti spettacoli (che pure ci sono) il buon maestro dovrebbe essere un Virgilio che fa da guida allo smarrito Dante attraverso l'inferno, restituendolo puro e disposto a salire alle stelle.
Il nudo di donna è uno dei grandi temi dell'Arte fin dall'antichità. Le prime sculture di cui abbiamo notizia sono le Veneri preistoriche simbolo di fecondità e abbondanza. I pittori di tutto il mondo imparano a dipingere esercitandosi sul corpo delle modelle, e la fotografia, una fra le moderne forme artistiche, gioca fin dai dagherrotipi con le luci e le ombre che si arrotondano sui glutei e sui seni. Quando chiesero in una intervista al fotografo Dahmane (il mentore di Chloe des Lysses) come facesse a convincere le ragazze a spogliarsi per lui, lui rispose: "I'm able to persuade", sono bravo a persuaderle. Personalmente, quando ho fatto qualche scatto audace ho usato questo argomento: sei bella come un tramonto, e come davanti a un tramonto devo farti una foto, adesso, per non perdere quest'attimo.
Davanti alla foto di Richardson (qui accanto al lavoro), la prima cosa che ho pensato è stato: grazie. Grazie a quella modella, che si è fatta fotografare così anche per me, spandendo la sua bellezza nel mondo. Perché se la vita può avere un senso in ogni caso, anche non avendolo, è per permetterci di guardarci intorno e riconoscere il bello, dovunque su trovi. Ricordate la scena del sacchetto di cellophane fatto volare dal vento in "American Beauty"? Ricky, "ragazzo strano" interpretato da Wes Bentley, lo filma con la telecamera e lo guarda e riguarda per ore: c'è della bellezza anche lì. Sento parlare sempre più spesso di gente scandalizzata per la cosiddetta "mercificazione del corpo femminile" anche riguardo al lavoro delle modelle o delle ballerine. Non capisco. Forse si vorrebbe che le donne stessero tutte a casa, a fare e accudire i figli, come ai vecchi tempi? Perché il talento di chi sa mettersi in posa, recitare, danzare, o anche semplicemente sorridere non dovrebbe essere espresso?
Mi è capitato di parlare, pochi giorni fa, con un addetto ai lavori e di proporgli un'idea. "Perché non realizzare una collana di allegati da edicola dedicata alle 'favole erotiche' a fumetti degli anni Settanta? Le primissime non erano affatto porno, soltanto sexy". "Sei matto?" mi è stato risposto. Pare che le redazioni dei giornali oggi siano piene di bacchettoni e non ci sia una sola testata che voglia rischiare di essere tacciata di fare mercimonio della bellezza femminile. Allibisco, pensando alle belle serie di volumi sui grandi fotografi erotici allegati all'Espresso alcuni anni fa, o alle collane dedicate a Manara e a Valentina di tempi più recenti. Oggi, in ossequio a un rigurgito di moralismo, tutti si muovono con i piedi di piombo. Il che è molto triste.
Ripenso a Marilyn Monroe fotografata nudanella famosa foto di Tom Kelley del 1949, resa poi celebre dal fatto di essere stata riprodotta su calendari tirati in milioni di copie nel 1951 e nel 1953 e più che mai per essere contenuta sul primo, mitico numero di Playboy del novembre 1953. Marilyn è immortalata dall'alto, distesa su un drappo rosso, busto frontale a seno nudo ma gambe laterali e accavallate a coprire il pube. Una posa passata alla leggenda.
Norma Jean Baker bussò alla porta del fotografo alle nove di sera del 27 maggio 1949. Kelley le aveva chiesto se voleva posare nuda per un calendario, lei aveva esitato un po' poi aveva detto di sì. La moglie di Kelley aveva preparato per terra il drappo di velluto scarlatto. Per rendere meno tesa l'atmosfera, Kelley mise su un disco di Artie Shaw che suonava "Beguin the Beguine". Marilyn andò nello spogliatoio e ne uscì nuda, con solo un paio di ciabatte rosse ai piedi. Kelley la fece distendere sul velluto scarlatto e salì su una scala a pioli per fotografarla dall'alto. Era un'idea geniale, quella della foto dall'alto. Sembrava che la ragazza si offrisse, un po' giocosa (il seno mostrato alzando il braccio) un po' pudica (le gambe accavallate), al desiderio dell'osservatore sospeso come in procinto di gettarsi su di lei, almeno con lo sguardo. Per quella seduta con Kelley, Marilyn guadagnò 50 dollari. La foto sul drappo rosso è un' icona.
C'è un'altra foto celebre di Marilyn Monroe, scattata da un fotografo il cui nome non è dato sapere: un soldato, un fante di marina durante la guerra di Corea. Marilyn era andata a far visita alle truppe, nel febbraio 1954, la foto la mostra in piedi davanti a un microfono, circondata dai militari estasiati, occhi brillanti. Lei ha un vestito nero leggermente scollato, sorride imbarazzata ma seduttrice. Mi chiedo quanti soldati siano morti con una foto di Marilyn in tasca o dopo aver lasciato un suo calendario o una sua pin up nella loro tenda o nella loro baracca. Più in generale mi chiedo quanti uomini soli, in circostanze drammatiche e difficili, abbiano avuto il buio della loro angoscia rischiarato dal raggio di sole di una ragazza nuda che sorride da una fotografia. Una ragazza di carta, irraggiungibile, che però serve a dimostrare che nonostante la vita è bella perché c'è la bellezza. Una piccola cosa, ma pur qualcosa. Grazie Marilyn, per esserti spogliata.