domenica 4 dicembre 2011

IL CASELLANTE

A Isaac Asimov è capitato una volta di scrivere un poliziesco, Murder at the ABC (ovvero Rompicapo in quattro giornate nella traduzione del Giallo Mondadori) in cui non soltanto lui stesso è uno dei protagonisti, senza essere l’io narrante, ma è persino uno dei possibili assassini. A me, che non mi sono mai inserito in una mia storia, è successo invece di finire protagonista di un racconto scritto da altri. La cosa, per poter essere raccontata come si deve, merita un minimo di approfondimento.

Rispondendo in più occasioni alle domande di qualche intervistatore, mi è capitato di far cenno a ciò che facevo prima di diventare un autore di fumetti a tempo pieno. Anche di recente, parlando della proposta di assunzione fattami una volta da Francesco Coniglio, ho spiegato di averla rifiutata perché all’epoca già lavoravo presso una grande azienda. Si trattava della Società Autostrade. Il motivo per cui ci ero finito era che avevi bisogno di un impiego estivo per pagarmi gli studi, e avevo sentito dire che i gestori di tratte autostradali assumevano esattori stagionali durante l’estate. Feci domanda, fui chiamato per un colloquio, venni inviato a frequentare un corso di quindici giorni a Roma, e fui assunto con un primo contratto a termine nell’estate del 1982.

Va detto che erano anni che mi davo da fare per guadagnare qualche spicciolo durante le vacanze e nei weekend, e avevo fatto il fornaio, il pasticcere, il vendemmiatore, il rilevatore del censimento e il manovale. Per alcuni mesi, dopo la maturità e l’assunzione in Autostrada, venni preso anche in una agenzia di investigazioni: dovevo stilare in bell’italiano i rapporti da mandare ai clienti, basandomi sugli appunti scarabocchiati frettolosamente dagli investigatori sul campo. Con mia grande delusione, si trattava perlopiù di indagini su ditte di cui si doveva stabilire la capacità di pagamento. Quando informai il titolare che me ne andavo per essere impiegato al casello autostradale di Prato Est, lo delusi moltissimo: mi disse che aveva fatto progetti su di me perché gli sembrava che avessi del talento. Chissà, se le cose fossero andate in modo diverso, adesso potrei essere a pedinare i mariti infedeli e chissà come mi divertirei.

Fatto sta che il destino mi ha spedito, invece, a riscuotere pedaggi sulla Firenze Mare, in anni in cui non c’era il Telepass e si dovevano mettere i soldi in mano al casellante. Dopo un’estate da stagionale, visto che non sbagliavo a fare i resti e avevo dato una buona impressione ai superiori, venni assunto a tempo indeterminato dal IV Tronco della Società Autostrade. Ho finito per passare sulla A11 quasi dieci anni.

Naturalmente, durante quel periodo, continuai a frequentare l’Università, a scrivere racconti e commedie, a inventare fanzine e associazioni fumettistiche, a frequentare e organizzare mostre. Non soltanto: non potei fare a meno di disegnare una striscia umoristica chiamata “Costante il casellante”, pubblicata su un giornaletto sindacale. Non ricordo bene come andò, ma qualche mia vignetta parve così divertente anche a Roma che una volta i dirigenti romani vollero conoscermi e, approfittando di una cena ufficiale per il varo di non so più quale progetto, invitarono anche me. Venni accompagnato, sotto scorta del capo del personale e del direttore di Tronco, nella sede centrale della Società Autostrade e presentato ai megadirettori galattici (durante il viaggio temetti che mi portassero per farmi nuotare nella vasca dell’acquario dei dipendenti, ma non fu così).

Con le mie vignette venne anche realizzato un “calendario dell’esattore”. Ne rammento una che prendeva in giro un fatto di cronaca avvenuto negli anni in cui le Autostrade facevano delle grandi campagne pubblicitarie perché si scegliessero le ore e i giorni giusti per partire per le vacanze. Bene, due dirigenti fuggirono all’estero con vari miliardi sottratti alle casse aziendali, e io disegnai una macchina in fuga da cui volavano via biglietti di banca, con la scritta “La partenza intelligente”. In seguito ho usato proprio questo titolo per una storia di Cattivik in cui il Genio del Male cerca di compiere una rapina al casello.

Sui miei anni al casello avrei mille aneddoti da raccontare, a cominciare da quello dello scherzo che veniva fatto ai nuovi assunti. Approfittando della pausa di un novellino, gli attaccavamo sotto la finestrella del pedaggio un cartello con su scritto: “esattore sordo – parlare forte”. Dopodiché ci mettevamo a guardare la sua faccia quando, tornato al suo posto, il ragazzo cominciava a sentir gridare a squarciagola tutti gli automobilisti che gli chiedevano il prezzo: “QUANT’EEEE’?”. Oppure: “VADO BENE PER MILANOOOO?”.

Ricordo anche la lista nera dei soliti che di notte, a fari spenti, cercavano di passare al volo senza pagare il pedaggio: qualche casellante, di tanto in tanto, riusciva ad aggiungere sempre un nuovo numero alla targa delle varie Cinquecento nere o Panda bianche segnalate come recidive, finché si arrivava a completarlo. Una volta, un collega dai modi particolarmente spicci (non a caso soprannominato Mazinga) riuscì a colpire al volo con un pesante posacenere il parabrezza di una delle macchine da più tempo ricercate, mentre come al solito quella passava senza fermarsi. Il giorno dopo, sulla lista nera, tutti gli esattori depennarono la vettura scrivendoci sopra: colpita e affondata.

E che dire dell’utente arrivato davanti al distributore automatico di biglietti, dove c’era un pulsantone rosso da premere, che si mette a suonare per richiamare un casellante? “Ma insomma! Ho girato a destra e non viene niente, a sinistra e non viene niente, ho tirato verso di me e non viene niente! Non le mettete le macchinette, se non funzionano!”.

Un altro aneddoto divertente riguarda le divise. Erano i classici completi blu (giacca, cravatta, pantaloni) non molto diversi da quelli dei controllori degli autobus. Ogni tot anni ci venivano cambiati, e allora io passavo l’usato ancora buono a mio padre, che faceva togliere lo stemma delle Autostrade e usava il bel completo per andare in giro tutto elegante per Firenze, quando aveva qualche commissione da sbrigare in centro. Gli sembrava, giustamente, che mettersi la giacca e la cravatta fosse la cosa migliore da fare dovendo attraversare Piazza della Repubblica o Piazza della Signoria. Sennonché per arrivare fin lì da casa nostra doveva cambiare un paio di mezzi pubblici dell’ATAF. Ecco, quando saliva con quella divisa, si meravigliava nel veder scendere tutti. C’era l’autobus pieno, ci montava lui, e assisteva incredulo al fuggi fuggi generale. All''inizio non capiva. Poi fu chiaro che la gente, vedendolo con quel vestito, lo scambiava per un controllore e credeva che si sarebbe messo a fare le multe a quelli senza biglietto.

A proposito di mio padre, il lavoro presso la Società Autostrade era considerato da tutti, e dunque anche da lui, il classico posto sicuro. Era anche remunerativo come poteva esserlo fare il cassiere in banca. Per lui rappresentava motivo di grande soddisfazione: ero sistemato, e facevo un lavoro migliore di quello (il fornaio) che era toccato in sorte a lui. Così, quando gli dissi che mi sarei licenziato per mettermi a scrivere fumetti, per lui fu un brutto colpo. Se gli avessi detto che mi garbavano i maschi, sarebbe stato meno traumatizzato. Però, dopo che avevo cominciato a sceneggiare al ritmo di venti, trenta, quaranta tavole al mese, Decio Canzio insisteva perché arrivassi a cento. “Sei bravo – mi diceva – devi lasciare le Autostrade e lavorare a tempo pieno per noi”. Per un po’ traccheggiai, poi mi decisi a fare il grande passo.

C’è da dire che all’epoca (primissimi anni Novanta), Zagor usciva da un periodo non felicissimo, nel giudizio del pubblico, quanto a sceneggiature. Sergio Bonelli stesso, intervistato sul numero speciale dedicato allo Spirito con la Scure dalla fanzine Collezionare, esprimeva dubbi sul futuro del personaggio: secondo lui, ormai, aveva fatto il suo tempo e non aveva più granché da dire. Per fortuna, qualcuno dice grazie all’arrivo combinato di Mauro Boselli coadiuvato dal sottoscritto, vennero poi i tempi del cosiddetto (la definizione non è mia) “rinascimento zagoriano”.

Ma che cosa sarebbe successo se io, anziché mollare il posto fisso e il lavoro sicuro, fossi rimasto al casello di Prato Est? Probabilmente nulla, sarebbe arrivato qualche altro sceneggiatore bravo quanto me o forse addirittura di più. Però, così come Stephen King prova a immaginare scenari alternativi e catastrofici nel caso JFK non fosse stato ucciso a Dallas da Lee Oswald (lo fa nel suo ultimo romanzo “22/11/'63”), c’è stato chi ha ipotizzato un futuro diverso sulla base di un diverso passato. Prima di vedere quale, restano da chiarire altri due particolari. Il primo, riguarda una mia vecchia battuta fatta a proposito di chi, parlando di Zagor, dice: “Ah, sì… lo leggevo da ragazzo! Ma esce ancora?”. La risposta è: “No, lo tenevano aperto soltanto per te e quando tu hai smesso di leggerlo, lo hanno chiuso”. Il secondo particolare è quello della mia presunta somiglianza con il dottor House, certo più probabile quando, dieci anni fa, pesavo venti chili meno. Su questo fatto si è scherzato anche sui forum.

Ciò premesso, avete tutti gli elementi per apprezzare (come ho fatto io), o non apprezzare (come può fare chiunque altro), questo breve racconto, un vero e proprio “What If”, a me dedicato dal massese Massimo Manfredi e pubblicato sul forum SCLS qualche giorno fa.

IL CASELLANTE
Di Massimo Manfredi


L'A15 era un delirio di turisti, in quell'estate 2011. Partito da Milano cinque ore prima, un automobilista arrivò al casello di Massa smadonnando contro le code. Però gli bastò rivedere da lontano il mare di casa sua e già sentiva passargli tutto.
- Sono 18 euro e 90 - disse il casellante.
L'automobilista lo guardò incuriosito. Gli sembrava una faccia nota, ma non si ricordava chi. Un po' assomigliava al dottor House, d'accordo, ma non era solo quello.
I suoi sforzi di memoria furono però interrotti dallo stesso casellante, che mentre porgeva il resto notò un fumetto che stava sul sedile.
- Ah, ma quello è Zagor! - esclamò.
- E già. Anche lei appassionato di fumetti?
- Sì, e di Zagor in particolare. A casa ho la collezione completa.
- Veramente? Io pure. Peccato che poi l'hanno chiuso, vero?
- Sì, peccato. Anzi, sa che io ne ho scritto anche un paio di stor...
Improvvisamente, una macchina da dietro aveva preso a clacsonare:
- Allora, ci muoviamo lì?
L'automobilista mise la prima, salutò e corse verso il suo mare. Il paesaggio della sua infanzia e la malinconia furono tutt'uno, mentre ripensava a quei pomeriggi di sole o quelle sere d'inverno in compagnia del suo eroe con la scure, che ora non c'era più.
- Che poi, ora che ci penso, proprio quest'anno avrebbe compiuto 50 anni. Allora auguri, vecchio amico! - disse tra sé e sé - Davvero peccato che hanno chiuso la serie. Mi ricordo che poco prima era anche arrivato quello sceneggiatore toscano che prometteva bene... Poi è sparito, chissà che fine ha fatto!
Nel frattempo, anche il casellante era rimasto assorto nei suoi ricordi, quando arrivò un collega a chiamarlo:
- Oh! Moreno! Che stai a fare? Dai che ti devo dare il cambio!
- Sì, è che... ho parlato ora di Zagor con un tipo e...
- Te sempre con 'sti giornalini stai! Ma li scrivevi pure tanti anni fa, vero? E poi?
- Eh, sai com'è... i fumetti erano un po' un'incognita, mentre questo qua alle Autostrade era un lavoro sicuro... e quindi la famiglia, l'affitto, eccetera... Però sono contento di avere scritto almeno un paio di Zagor. Ma senti, ma te Zagor l'hai mai letto?
- Sì, da bambino. Era quello con la scure e la maglietta rossa, giusto? Ma lo fanno ancora?
Il casellante rimase un attimo in silenzio, poi sospirò malinconico:
- No.