Il "peccato originale" della genesi pulp ha marchiato il fumetto come prodotto di sottocultura fino a tempi molto recenti, e ha portato a una sua immeritata estromissione dagli ambiti accademici e addirittura, in alcune circostanze, alla sua bollatura come veicolo di nocumento per i più giovani, la cui fruizione era da sconsigliarsi se non da condannare. Mi è capitato di ricordarlo in un recente articolo che ho scritto per un catalogo dedicato al cinquantennale di Diabolik, di cui vi parlerò appena sarà stato dato alle stampe. L’occasione mi ha spinto ad andare a rispolverare la mia tesi di laurea, dedicata al fumetto, a cui già altre volte ho accennato. Ho trovato infatti un capitolo che ricordavo non solo di aver scritto, ma di aver discusso con i membri della commissione che (bontà loro) alla fine mi congedarono con il massimo dei voti e persino (mai ci avrei sperato) la lode. Poiché la rilettura mi è sembrata interessante, volentieri ve la ripropongo poco più avanti, dato che si tratta, in fondo, soltanto di un breve estratto.
Nel riesame di quel mio testo, così accademico da avere anche tutto un florilegio di note (le trovate in fondo), mi sono ricordato di un altro episodio. Era l’estate del 2008. Mi trovavo in vacanza in Sicilia ospite di Joevito Nuccio, il disegnatore di Zagor più celebre in rapporto al numero di pagine pubblicate (è stato perfino invitato tre volte all’estero senza mai aver visto tradurre uno solo dei suoi fumetti – chissà che accadrà quando li leggeranno). Mentre io e lui ci godevamo il sole sparapanzati su una spiaggia nei pressi di Selinunte, mi suonò il cellulare (che quando si è sparapanzati, in realtà, andrebbe sempre spento). Era un amico giornalista, Vittorio Macioce, che qualche anno prima aveva voluto dedicare un intero paginone de Il Giornale alla mia storia in cui Zagor incontra il filosofo Tocqueville (accade nel Maxi Zagor n°6, “Agenti segreti”, del 2005), ritenendo che fosse un evento (e molta attenzione ci fu, a onor del vero, anche da parte di molti altri quotidiani, incuriositi dalla faccenda e dalla segnalazione di Macioce). Vittorio mi chiese se volevo e se potev scrivere un articolo al volo, commentando un fatto di cronaca, e cioè sdoganamento di Tex Willer da parte della Chiesa cattolica. Era appena uscita, infatti, la pubblicazione da parte dell’ Osservatore Romano di alcuni lusinghieri commenti riguardanti il più popolare eroe del fumetto italiano, giunto a festeggiare i sessant’anni dalla sua creazione. “Esempio di rettitudine morale, di fedeltà coniugale e di amore paterno – scrive il quotidiano della Santa Sede – Tex è portatore di comportamenti dettati da valori non negoziabili”. Riuscii a farlo solo dopo un paio di giorni, attingendo appunto alla mia tesi: il 23 agosto 2008 uscì su Il Giornale un mio pezzo dal titolo “Tex contro la censura”. Se volete, potete leggerlo cliccando qui a vostra volta.
La Seduzione degli Innocenti
Dalla tesi di laurea
di Moreno Burattini
di Moreno Burattini
“Sottofondo letterario
e linguaggio di comunicazione
nella sceneggiatura
dei fumetti”.
dei fumetti”.
L'isterica caccia alle streghe scatenata negli Stati Uniti da un pamphlet, Seduction of the innocent, di Fredric Wertham (1), datato 1954, portò a roghi di comics in tutta l'America, e alla diffusa convinzione che la lettura di storie d'azione dai contenuti più o meno violenti fosse la causa prima della criminalità giovanile.
Spiega Sergio Brancato nel suo saggio Fumetti - Guida ai comics nel sistema dei media:
Il libro di Wertham proponeva una tesi non nuova, e cioè che i contenuti dei media influissero in maniera decisiva sullo sviluppo psichico delle giovani generazioni. L’equazione conseguente era dunque che alla lettura di fumetti (di per sé diseducativi in quanto esterni alla tradizione letteraria delle istituzioni formative) improntati ad una sistematica esibizione di modelli comportamentali socialmente non conformi, dovesse necessariamente corrispondere l’insorgere di atteggiamenti psicopatologici. Le associazioni di genitori e insegnanti accolsero come vangelo queste tesi, peraltro confermate da criteri sperimentali quanto meno opinabili e vaghi. Si diffuse a macchia d’olio un’isteria collettiva che portò, inevitabilmente, ad una campagna contro l’intero sistema dei comics. (2)
Negli Stati Uniti fu istituita la rigida Comics Code Authority, che imponeva alle case editrici un rigido codice di autocensura. Le case editrici specializzate scesero da trenta a cinque.
Continua Brancato:
Nell’arco di due anni, dal 1954 al 1956, i titoli pubblicati si ridussero a duecentocinquanta contro i seicentocinquanta di partenza. Le rigide regole del Comics Code imposero ad autori ed editori il ripiegamento su di una limitatezza espressiva che penalizzava qualsiasi tentativo di far aderire il medium alla dialettica argomentativa praticata, sia pure nel difficile clima del maccartismo, dagli altri settori dell’industria culturale statunitense. (3)
Le misure restrittive nate dalle tesi di Wertham si basavano sul presupposto, falso, che il linguaggio dei comics fosse esclusivamente, o eminentemente, infantile e adolescenziale. Il che costituisce un luogo comune ancora oggi, a distanza di tanti anni, difficile da estirpare presso i profani del medium. Non a caso, ancora negli anni Ottanta, alcune case editrici americane cercavano di promuovere i propri albi presso il pubblico maturo più prevenuto, distribuendo spille e adesivi con lo slogan “comics are not just for kids” (4) . Inutile dire che la censura del Comics Code non ha prodotto alcuna flessione della delinquenza, giovanile o non.
Anche in Italia, proprio in quegli anni, l'atteggiamento delle autorità politiche e religiose e dei benpensanti era profondamente ostile ai fumetti, fatti oggetto di una rigida e agguerrita opposizione, clericale ma anche laica, accusati di essere all'origine di ogni deviazione dell'imberbe gioventù. Nelle parrocchie, negli oratori, nelle scuole circolavano appositi "indici" redatti ad uso e consumo di genitori e educatori nei quali venivano giudicati negativamente persino personaggi come Gim Toro, Mandrake, il Piccolo Sceriffo, Tex, l'Uomo Mascherato e Ridolini.
Datata 1952 è, per esempio, una raccolta di brevi testi teatrali per bambini da mettere in scena sui palchi degli oratori e delle parrocchie, edito dai salesiani, opera di Enrico Grasso e intitolato Mascherine, Teatro fiabesco per piccoli e grandi. Una delle scenette mostra un Orco, personificazione del Fumetto, che vaga per il mondo cercando di rubare i cuori dei bambini e spargere ovunque odio, violenza e ignoranza. L’autore specificava apertis verbis quale fosse lo scopo del copione:
Il lavoro fa parte dell’attuale campagna mossa in tutta Italia da Autorità e famiglie, da giornali e riviste, contro il romanzo a fumetti e la sua influenza deleteria sull’animo infantile. Molte calamità che si abbattono oggi sui giovanissimi derivano appunto dai fumetti e non c’è giorno che la cronaca non registri funesti risultati di fantasie accese. (5)
Ermanno Detti, saggista che si occupa da anni di letteratura popolare e di “carte povere”, in un suo studio sulla crociata contro i fumetti in Italia, riporta un eccezionale documento da lui rinvenuto in un archivio: un giornale propagandistico intitolato Mammina, me lo compri?, distribuito (sempre nel 1952) presso la Parrocchia di Cristo Re, a Roma. I pregiudizi e moralismi assurdi che circolavano con disinvoltura sono efficacemente rappresentati al gran completo. Si invitava alla cautela anche di fronte ad un albo come “Pippo”. E si poteva scrivere così dell’Uomo Mascherato: “Assurdo fino all’impossibile. Disegni brutti; particolari e trame del tutto negativi. Idolatria del superuomo, senza morale e senza uguali”. E di Sciuscià: “Pessimo, non sarebbero pessimi gli intenti, ma il clima di guerra e di lotta partigiana guasta tutto. Violenza, inganno, ribellione, vagabondaggio”. Ossessiva l’idea che gli albi non contengano “freni” morali e pedagogici (come se la buona letteratura fosse quella moraleggiante), ancor più ossessiva la preoccupazione per una immagine della donna “indecente nelle fogge”, e che gli eroi incontrano e salvano “senza sposare”.
Nota Ermanno Detti:
Si diceva male del fumetto in generale, però si finiva col raccomandare la lettura di quegli albi contenenti fumetti della stampa cattolica. Ci si può divertire un po’ anche con i numeri. Su 279 albi citati (tanti erano all’epoca in edicola), 178 erano dichiarati esclusi, per 34 si esprimeva cautela, 43 si riconoscevano leggibili e 24 si consigliavano (e si è detto di quali albi si trattava). (6)
Il clima di quegli anni è del resto efficacemente rievocato da una significativa testimonianza, quella di Sergio Bonelli, titolare della casa editrice che porta il suo nome e dà alle stampe personaggi a fumetti di pluridecennale successo.
Nel 1951 due deputati democristiani, Federici e Migliori, presentarono alla Camera un progetto di legge che istituiva un controllo preventivo sulla stampa a fumetti. Il progetto non fu approvato dal Senato, ma proposte analoghe (anch'esse mai approvate) vennero ripresentate nel 1955 e nel '58. Tanto per dare un’idea, significava che, nel caso in cui una legge simile fosse entrata in vigore, ogni pagina doveva essere mostrata a una "commissione di censura governativa" prima di essere approvata. In altre parole, sarebbe stata la paralisi dell'editoria a fumetti per ragazzi. Perciò io e tutti gli altri editori del settore vivevamo nel panico, e non potevamo aspettare che quella spada di Damocle cadesse. Dunque, corremmo ai ripari, usando le stesse «armi» del «nemico»: istituimmo cioè una nostra «commissione di autocensura», con tanto di marchio che appariva sulle pubblicazioni ('MG', Garanzia Morale). (7)
Si giunse così a degli autentici paradossi: nelle ristampe di Tex vennero modificate intere sequenze allo scopo di eliminare "immorali" scene di violenza, sacrificando addirittura la logica della storia. Le cosce nude della squaw salvata nelle prime tavole de "La mano rossa" vennero pudicamente coperte, i pugnali sostituiti con randelli, le pistole cancellate.Allo stesso modo furono impietosamente rimaneggiate le scene di combattimento, si ebbero nuove versioni dei dialoghi con l'eliminazione di tutte le espressioni giudicate troppo colorite e la cancellazione dei particolari "raccapriccianti".Né si deve pensare che gli attacchi al fumetto giungessero solo dalle sponde cattoliche o comunque reazionarie della società italiana.
Scrive ancora Sergio Brancato:
Tra gli anni Quaranta e Cinquanta ci fu in Italia una vera e propria crociata volta alla distruzione dei comics. Una crociata che partiva da destra e da lontano, ma anche da sinistra. La politica culturale del PCI sulla cultura di massa e sui suoi fenomeni, infatti, era improntata a un sotterraneo conservatorismo, più vicino a Croce che a Gramsci. (8)
Assai emblematiche sono le dichiarazioni che si leggono consultando documenti dello stesso periodo quali gli atti del Congresso Internazionale del Libro per la Gioventù del 1958. Tra le varie relazioni stupisce quella della delegazione turca. Certamente la Turchia era allora un paese con problemi di alfabetizzazione, tuttavia invece di comprendere le enormi potenzialità pedagogiche e didattiche del fumetto (che avrebbe potuto stimolare all’apprendimento e alla lettura), lo si ritiene a dir poco pericoloso per la formazione giovanile. Gli attacchi al fumetto di Vedat Nedim Toer della delegazione turca sono durissimi e non vengono affatto controbattuti dagli altri membri del congresso, che evidentemente approvano senza riserve.
Così comincia la relazione turca:
Vengo da un paese, la Turchia, in cui gli analfabeti rappresentano ancora il 65% della pololazione (...) Da quindici anni dirigo a Istanbul un'editrice per ragazzi (...). Possiamo tranquillamente sostenere che la nostra Casa ha introdotto in Turchia i primi buoni libri e giornali per ragazzi (...), noi siamo impegnati in una lotta senza quartiere contro le importazioni di comics e storie americane di gangsters (...) la letteratura di scarto, a fumetti, esercita un irresistibile fascino su ragazzi e giovani (...). E’ stato matematicamente accertato, mediante domande indagini, statistiche, che questa letteratura nera sprona alla crudeltà e al banditismo, diminuisce la resistenza alle tentazioni, aizza la fantasia verso comportamenti malsani, suggerisce tutti i crimini possibili e impossibili, insegna tutti i dettagli tecnici dell'assassinio, dà esempi che servono da modello per gli atti violenti spontanei, come percuotere, trafiggere, sparare; si beffa di ogni autorità; idealizza tipi antisociali; rinfocola gli antagonismi razziali; diffonde erotismo patologico; in breve, alleva una gioventù malaticcia, senza cuore, rozza, indifferente. (9)
Per fortuna, nel giro di poco più di un decennio, le cose avrebbero cominciato a cambiare.
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(1)Pubblicato a Holt, Alabama (USA) da Rinehart and Winston nel 1954
(2) SERGIO BRANCATO, Fumetti - Guida ai comics nel sistema dei media, Roma, Datanews, 1994, p.48.
(3) SERGIO BRANCATO, op.cit., p.48
(4) Si può tradurre come “I fumetti non sono solo per bambini”.
(5) ENRICO GRASSO, Mascherine, Teatro fiabesco per piccoli e grandi, Roma, Liberia Editrice Salesiana, 1952, p.2.
(6) Ermanno Detti, “Quando la disubbidienza diventa virtù”, su Il Fumetto n° 10 (Terza Serie) Marzo 1987, Roma, Associazione Nazionale Amici del Fumetto, p. 24.
(7) Sergio Bonelli, “La Posta di TuttoTex”, su TuttoTex n° 4, Milano, Daim Press, 1986, p.2.
(8) Sergio Brancato, “Il magnifico bastardo. Critica e fumetto, connubio perfetto” in Gulp! 100 anni di fumetto, a cura di FERRUCCIO GIROMINI, MARILÙ MARTELLI, ELISA PAVESI e LORENZO VITALONE, Milano, Electa, 1996, p. 34.
(9) Relazione della delegazione turca, di Vedat Nedim Toer, al V congresso U.I.L.G. (Unione Internazionale per il Libro per la Gioventù) in Schedario n.46, Firenze, 1960, pp. 200-201.