Per ricapitolare che cos’è questa rubrica, basterà dire che fin dai tempi del liceo, ogni volta che ho letto un libro mi sono appuntato le mie impressioni a caldo scrivendo una piccola recensione che servisse a ricordarmi meglio il contenuto del volume. Con il tempo ho ricopiato sul computer i fogli scritti a mano, e ho cercato di coltivare questa abitudine. Così, ho finito per accumulare centinaia e centinaia di mini-recensioni, alcune troppo brevi e frettolose per essere pubblicate, altre invece decisamente più elaborate. "La biblioteca di Babele" mette a disposizioni di tutti proprio queste ultime, sperando di fare cosa gradita ai più e magari suggerire a qualcuno il recupero di qualche libro del passato. Avevo promesso (o minacciato) di pubblicare delle puntate mensili, ma l’ultima risale al 24 marzo. Così, questa volta presento due recensioni insieme, unite dal fatto che si tratta di due romanzi che raccontano due passioni al limite o oltre il limite dell’insania: "Non ti muovere", di Margaret Mazzantini, e "Follia", di Patrick McGrath.
I libri già recensiti (in ordine alfabetico):
L'arte di ottenere ragione, di Arthur Schopenauer (febbraio 2012)
Il codice da Vinci, di Dan Brown (gennaio 2012)
Il diario di Eva, di Mark Twain (marzo 2011)
I ponti di Madison County, di Robert James Walker (marzo 2012)
Storia delle mie disgrazie, di Pietro Abelardo (dicembre 2011)
Margaret Mazzantini
NON TI MUOVERE
Romanzo – Mondadori
cartonato - 298 pagine - Euro 16,53
In genere, diffido dei libri che vincono i Premi Letterari italiani, come dei film che vincono quelli cinematografici. E’ un vecchio pregiudizio che ha come unica eccezione il Bancarella, dato che lì votano i librai e non i critici (ammesso che sia vero). E’ stato dunque vincendo diffidenze e pregiudizi che mi sono accostato a “Non ti muovere”, il libro che ha vinto l’edizione 2002 del Premio Strega. E mi è piaciuto parecchio, ho persino versato qualche lacrimuccia sul finale, mi ha messo angoscia all'inizio e mi sono ritrovato molto nel protagonista, meravigliandomi che una donna avesse potuto scegliere di scrivere un libro parlando in prima persona nei panni di un uomo, e indovinando così tanto. L'autrice, Margaret Mazzantini, è nata a Dublino, vive a Roma, e ha esordito nel 1994 con "Il catino di zinco", pubblicato da Marsilio.
"Non ti muovere" sono le parole che un padre dice alla figlia, sdraiata sul lettino d'ospedale dopo un grave intervento per trauma cranico. Lui, il padre, Timoteo, è chirurgo in quello stesso ospedale in cui sua figlia Angela è stata portata d'urgenza, dopo l'incidente con il motorino. E mentre la figlia è in camera operatoria, sotto i ferri, anche l’anima del padre viene sezionata da un implacabile bisturi, quello con cui il protagonista mette a nudo sé stesso di fronte alla propria coscienza. Timoteo sviscera un ricordo custodito gelosamente per anni, il ricordo di una passione e di una morte, rievocato da un’altra morte incombente. Il ricordo di una storia d'amore durata un anno, finita quindici anni prima. Quindici come gli anni di Angela, visto che lui non aveva lasciato la moglie perché lei era incinta. L’altra era una donna estremamente diversa dalla moglie perennemente assente, sempre impegnata altrove, donna di classe ma forse proprio per questa prevedibile, ordinaria, inquadrabile, etichettabile, dunque banale, dunque simbolo della gabbia dorata di un matrimonio accettato per convenzione. Tutt’altra cosa la relazione iniziata per caso, quasi con violenza e brutalità. Per questo non si era rallegrato abbastanza per l'arrivo della figlia, anzi, era scappato via dall'ospedale lasciando mamma e bambina per raggiungere l'altra. L’altra che invece aveva convinto ad abortire e che per le conseguenze di quell’aborto (ogni nostra azione genera conseguenze), era morta. E lui, Timoteo, era tornato a casa, aveva fatto il padre, ma tenendosi sempre in disparte, sempre un poco assente dietro un ricordo impossibile. Mentre l’uomo ricorda, la moglie, una giornalista brillante, è assente, come al solito (sono sempre assenti le mogli che non si accorgono dei tradimenti, e preferiscono non accorgersene), e anche se si affretta a ritornare, le lunghe ore davanti alla sala operatoria sono vissute dal Timoteo in solitudine, metafora della sua solitudine interiore, di uomo che nessuno davvero conosce. Difficile, del resto, conoscere davvero qualcuno, così come conoscersi. Del resto, Timoteo si meraviglia di sé stesso e delle sue reazioni. Ma forse la vera protagonista del romanzo è Italia, la sua amante. Poco attraente, volgare nel trucco e nella miseria dei vestiti aveva però, fin dal primo casuale incontro, suscitato in lui un'attrazione fisica inspiegabile, una specie di ossessione che aveva finito per sublimarsi in una forma di autentico amore. Ma è un sentimento a cui il chirurgo non permette di incidere nella serenità del suo quotidiano benessere.
Margaret Mazzantini è riuscita a penetrare nei meandri di una coscienza maschile, ha saputo anche interpretare, con grande sensibilità, la sconvolgente caduta di difese, l'uscita dall'ipocrisia, la nuova consapevolezza che, da un trauma, un individuo può conquistare. E, senza operare giudizi, se non quelli che lo stesso protagonista dà di sé, emerge una pietà infinita per tutti coloro che vivono e amano, che si dibattono tra menzogna e verità, che non possono sfuggire ai momenti cruciali, discriminanti, della vita. Italia muore, ma anche Timoteo è una vittima. Tornando a fare il bravo maritino, dopo la morte dell’amante, non ha guadagnato niente. Si è scontrato con la difficoltà di essere davvero se stessi e di comunicare con gli altri, ed ha perso. Terribili e insormontabili le difficoltà interiori imposte dalle regole della società che ingabbia. La storia fra lui e Gramigna, fuori dalle etichette e dalle convenzioni, assurda e inconfessabile, è intensa e commuove.
Patrick McGrath
FOLLIA
Romanzo - Adelphi
Diciottesima edizione novembre 1999
Collana Fabula
Titolo originale: “Asylum”
Traduzione di Matteo Codignola
brossurato - 304 pagine - lire 32.000
"Le storie d’amore catastrofiche contraddistinte da ossessione sessuale sono un mio interesse professionale ormai da molti anni. La storia di Stella Raphael è una delle più tristi che io conosca". Queste sono le parole con cui comincia il bel romanzo di Patrick McGrath con pratogonista appunto Stella, moglie del vicedirettore di un manicomio, Max, uomo fondamentalmente inetto, tanto preso dalle sue ambizioni professionali e di carriera quanto succube di una madre ricca e altezzosa quanto, soprattutto, distratto nei confronti della consorte.
“Stella era una donna profondamente frustrata, che subì le prevedibili conseguenze di una lunga negazione e crollò di fronte a una tentazione improvvisa e soverchiante – scrive Mc Grath nei panni dell’io narrante, l’anziano psichiatra Peter Cleave - Come se non bastasse, era una romantica. Traspose la sua esperienza con Edgar Stark sul piano del molodramma, facendone la storia di due amanti maledetti che sfidano il disprezzo del mondo in nome di una grande passione”. Stella Raphael, vivendo con il marito all’interno del manicomio dove questi lavora, conosce uno dei pazienti lì ricoverati, che sta abbastanza bene da poter godere di una certa libertà fra le mura dell’ospedale e viene addirittura impiegato dal marito Max per restaurare una vecchia serra del giardino, visto che l’uomo, Edgar Stark, è un artista. Egdar è dentro per aver ucciso la moglie, vittima della sua folle gelosia. E’ attraente e interessante, e Stella ne subisce il fascino. Fra i due nasce una storia d’amore e di passione, ma dai risvolti indubbiamente patologici. Il pazzo, ché di pazzo si tratta, evade dal manicomio e di lì a poco Stella lo raggiunge, fugge dal marito e dal figlio e comincia a vivere una vita abbrutita nei sobborghi più squallidi di Londra, senza alcuna prospettiva e senza alcuna attesa per il futuro, paga solo del rapporto totalizzante con lui, in un drammatico crescendo di degrado fisico e psichico. Edgar peraltro, pur riprendendo a esprimersi da grande artista qual è, comincia a manifestare di nuovo i segni del suo squilibrio, al punto che Stella se ne spaventa e alla fine fugge, senza però riuscire al troncare un legame psichico deviato.
Quando Stella torna da Max, la cui carriera è rovinata, per un intero inverno vive con lui, che cerca inutilmente di recuperarla alla “normalità” della sua mediocrità, in stato quasi catatonico, finché una tragedia la porta a essere internata a sua volta nel manicomio di Peter Cleave: il figlio Charlie cade in uno stagno e lei non fa nulla per salvarlo. Le cure di Peter sembrano recuperarla all’equilibrio mentale, e il vecchio amico pensa addirittura di prenderla a vivere con sé, ma solo quando è ormai troppo tardi si rende conto che la donna sta fingendo la sua guarigione, mentre in realtà è ancora Stark che vagheggia, e non potendolo riavere (Edgar è stato riacciuffato ed chiuso a sua volta nello stesso manicomio) preferisce suicidarsi. Il romanzo è molto coinvolgente e a tratti inquietante (l’unico punto debole è, a mio avviso, il proposito di Cleave di sposare Stella) e serve a gettare una luce sinistra sull’aspetto “patologico” dell’amore, dimostrando come l’innamoramento non sia sempre (anzi, secondo alcuni psicologi non lo è mai) segno di salute e di gioia, ma anzi possa assumere a volte (anzi, secondo alcuni, sempre) le valenze della follia e dell’insania.