E’ in edicola da qualche giorno il n°613 della collana Zenith, corrispondente allo Zagor gigante n° 562. E’ intitolato “La mummia delle Ande”, e contiene il finale di una storia (che finisce a pagina 42) e l’inizio di un’altra (che comincia a pagina 43, proseguendo per altre 56). Il racconto che giunge a conclusione è quello ambientato a Panama, scritto da Jacopo Rauch e illustrato dai fratelli Di Vitto. Il racconto che si inaugura, invece, porta la firma del sottoscritto e di Giuseppe (“Pino”) Prisco, un autentico fuoriclasse del disegno. Sono giunto alla terza storia illustrata da Pino, e ne ho da pochissimo iniziata una quarta, e si è trattato di avventure una realizzata meglio dell’altra. E’ sicuramente il disegnatore con cui più sono in sintonia, nel senso che, magicamente, riesce a trasferire su carta le scene esattamente come io le avevo immaginate. “La mummia delle Ande” è un episodio di una certa importanza nel contesto della serie, per cui suggerisco a tutti gli zagoriani di non perderselo. Ma si tratta, almeno secondo me, di un racconto che potrebbe piacere anche a chi non ha mai letto niente dello Spirito con la Scure, dato che non siamo a Darkwood ma in un contesto storico e geografico ricostruito sulla base di una precisa documentazione, con addentellati a miti e leggende, tradizioni, usi e costumi, e dunque in grado di interessare a prescindere. In attesa di parlarne più diffusamente in agosto, quando la storia si sarà conclusa e non ci sarà il rischio di fornire troppe anticipazioni, ci sono alcuni aneddoti da raccontare.
Però, prima, lasciatemi spiegare qua è il motivo principale per cui ritengo particolarmente importante nell’ambito della saga lo Zagor n° 562: lo è perché si tratta dello sbarco di Zagor nel porto del Callao, a poche miglia da Lima, e dunque in Perù. E’ da parecchio che si parla, in ogni incontro con il pubblico, sui forum e nelle interviste, della trasferta del re di Darkwood in Sud America. Qualcuno potrebbe ritenere che il viaggio sia già iniziato con la storia di Mauro Boselli e Michele Rubini “Lo scettro di Tin-Hinan”, cominciata subito dopo l’albo del cinquantennale (quello a colori del giugno 2011, “Lo scrigno di Manito”). In effetti, nella parte finale di quel lungo racconto lo Spirito con la Scure lascia la sua foresta per mettersi sulle tracce dell’archeologo Dexter Green, da cui è stato vigliaccamente tradito. Green è entrato in possesso di alcuni antichissimi oggetti, fabbricati da una civiltà sconosciuta in un’epoca antidiluviana, in grado di farlo accedere ai segreti di Atlantide: una chimera irresistibile per uno studioso assetato di conoscenza come lui. Ma, fra quei segreti, ci sono anche quelli che riguardano armi di distruzione di massa, di alcune delle quali lo Spirito con la Scure ha già visto gli effetti (per esempio, quelle da lui recuperate nella storia “Il segreto dell’Unicorno”). Perciò, il nostro eroe intende fermare l’archeologo e il suo servo Yambo.
Nell’avventura successiva a quella di Boselli, abbiamo visto Zagor e Cico discendere prima il fiume Ohio, poi il Mississippi, e giungere a New Orleans, trovandosi invischiati loro malgrado in una missione al fianco di un amico nelle paludi della Louisiana (accade nell’episodio “Alligator Bayou”, scritto da Diego Paolucci e Mirko Perniola e illustrato da Marcello Mangiantini). Di poi, Rauch e i Di Vitto hanno fatto navigare lo Spirito con la Scure fino all’istmo di Panama: Dexter Green, infatti, è riuscito a imbarcarsi verso Portobello prima di poter essere fermato. L’attraversamento del collo di bottiglia tra l’Atlantico e il Pacifico era, all’epoca di Zagor, la via più breve per raggiungere il Perù, dove l’archeologo e il suo servo sono diretti. Lo Spirito con la Scure non esita a proseguire l’inseguimento. Però, sia a New Orleans che in America Centrale, l’eroe di Darkwood c’era già stato (l’ultima volta è successo in una mia avventura ambientata nello Yucatan, “Piramide di sangue”). Cico, poi, è addirittura messicano! Dunque, finora, non ci sono state vere novità dal punto di vista degli scenari e delle ambientazioni. Ma con l’arrivo in Perù, le cose cambiano. Finalmente, Zagor è arrivato davvero in Sud America. E si vede, fin dalle prime scene: fisionomie, architetture, costumi, paesaggi, non possono in nessun modo essere confusi con quelli nordamericani. Si sente il cambiamento d’aria. O, almeno, io e Prisco abbiamo fatto il possibile per farlo sentire. Sono state decine e decine le fotografie su cui ci siamo basati, e tanti anche i filmati visti su YouTube per ricostruire i luoghi in cui far muovere i nostri personaggi. La discesa di Dexter Greeen e Yambo nelle catacombe dell’Iglesia di San Francisco, per esempio, è assolutamente realistica. Basterà guardare, per convincersene, il video amatoriale qui sotto.
Ma anche la biblioteca del convento esiste realmente ed è davvero così come la si vede nel fumetto (vedi l'immagine sottostante). Allo stesso modo è stato ricostruito il porto del Callao. Perfino la mummia che compare in copertina e in alcune sequenze dell’interno è stata immaginata sulla base di un corpo mummificato di cui esistono foto agghiaccianti (ne vedete una in apertura).
Dello stesso sforzo di documentazione vedrete i risultati nei prossimi albi, che saranno tre: “Sulle tracce di Dexter Green”, “Cuzco” e “La città sulla cordigliera”. Non si deve credere, tuttavia, che il didascalismo vada a scapito dell’azione. Già il prologo del racconto dovrebbe far capire che lo spirito avventuroso tipico delle storie di Zagor è stato rispettato.
Il fatto che “La mummia delle Ande” sia un albo diviso a metà fra due storie, così come albi simili si sono avuti nel passaggio fra il racconto di Boselli e quello di Perniola, e tra quello di Perniola e quello di Rauch (mentre in passato era da tempo invalsa l’abitudine a concludere le avventure in fondo a un albo), dimostra come la saga sudamericana sia in stretta continuity, per la gioia di chi ama la narrazione concatenata e i continui rimandi. Ma, ovviamente, non ci sarà mai niente che non possa essere compreso da chi non conosce i precedenti. E di addentellati con i precedenti, in effetti, ce ne sono parecchi. Il viaggio nell’America del Sud è destinato a portare finalmente a conclusione una sottotrama, quella atlantidea, che si è dipanata per anni lungo varie storie apparse occasionalmente nell’arco della serie, e di cui adesso si tirano le fila. Ma non basta: poiché l’avventura immediatamente precedente al numero del cinquantennale, “La progenie del male”, aveva messo in collegamento le avventure che sarebbero seguite con il mistero dell’ “abisso verde” lasciato in sospeso da Giovanni Luigi Bonelli in uno dei primi numeri della saga, si può intuire quanto il ciclo sudamericano sia importante e che ricchezza di agganci, addentellati, suggestioni, spunti, argomenti, echi e rimandi racchiuda al suo interno.
Per finire, due parole su Barranco. Si tratta del primo, grande super-nemico che Zagor incontra nella trasferta sudamericana. Bastano le poche pagine del suo esordio per farlo odiare a chiunque le legga. Per dargli l’aspetto che ha, ho chiesto degli studi non a Prisco, ma a Mauro Laurenti, descrivendogli un tipo che doveva essere un peruviano di etnia caucasia (di origini spagnole, insomma), dalla faccia particolarmente patibolare. Laurenti, abituato a pescare modelli tra i suoi parenti e amici (non avete idea di quanti zii, cugini e conoscenti abbia ficcato nelle sue vignette), ha immediatamente trovato il tipo giusto nella figura di un comune amico (suo, mio e di tutti quelli che bazzicano l’ambiente dei fan zagoriani): Giancarlo Orazi, grande collezionista e organizzatore di eventi, uomo di rare umanità e simpatia. Giancarlo si è prestato volentieri al gioco, ha acconsentito a mettere a nostra disposizione numerose sue fotografie, e Prisco è riuscito a ritrarlo con efficacia. Forse persino troppa, perché adesso Orazi rischia di non vedersi più rivolgere la parola da tutti quei lettori che gli addebitino i crimini che, nel corso della storia, commetterà Barranco. Non confondete la finzione con la realtà, mi raccomando.