La scomparsa di Enzo Jannacci, avvenuta il 29 marzo 2013, mi ha fatto riflettere sulla milanesità che lo caratterizzava, manifestata in tante sue memorabili canzoni in grado di descrivere come poche altre la città in cui era nato. Fra le altre, mi è tornata alla mente El purtava i scarp de tennis. Immediatamente il collegamento di idee è scattato con un articolo da me scritto per una introduzione a un volume della collana Alan Ford Story della Mondadori, in cui mi occupavo di Superciuk, il supercriminale in scarpe da tennis contrapposto da un altro milanesissimo autore, Luciano Secchi (in arte Max Bunker) al suo Gruppo TNT, sulle pagine di Alan Ford. In quel mio pezzo accostavo appunto i versi di Jannacci alla figura dello spazzino (anch’egli, a suo modo, un barbùn) e ci elzeviravo sopra. Da qui, il proposito di mettere insieme le tante cose da me scritte su Superciuk in un unico articolo, che potete leggere qui di seguito.
Come premessa, basterà sapere questo: Superciuk è uno spazzino che ha maturato un vero e proprio odio verso i proletari che insozzano le strade, mentre ammira i ricchi che tengono tutto pulito. In seguito all'esplosione delle cisterne di una azienda vinicola sofisticatrice, il netturbino viene investito da un fiume di vino adulterato. Acquista così il potere della pestilenziale fiatata alcolica, con la quale riesce a stordire chiunque. Nella sua baracca in riva all'Hudson, si cuce un costume fatto di stracci e inizia la sua battaglia: rubare ai poveri per donare ai ricchi. Il Alan Ford e il Gruppo TNT però lo catturano e Mister Lamp, uno scienziato geniale quanto male in arnese, inventa un siero disintossicante che viene iniettato al prigioniero. Il Numero Uno, capo supremo del Gruppo, consegna Superciuk all'ispettore Brok, mentre i miliardari piangono la sconfitta del loro protettore. In seguito, numerosi ritorni sulla scena contrassegneranno lo svilupparsi di una vera e propria saga nella saga, dedicata al personaggio.
SUPERCIUK
IL BANDITO CON LE SCARPE DA TENNIS
Di Moreno Burattini
Max Bunker ha raccontato molte volte come, inizialmente, i dati di vendita di Alan Ford fossero stati tutt’altro che esaltanti. Anzi, i risultati economici erano così deprimenti che l’editore Andrea Corno fu persino tentato di chiudere la serie già con il quarto numero. Poi, lentamente, la china venne risalita fino ad arrivare all’albo intitolato “Superciuk”, il ventiseiesimo della saga, il primo a superare il punto di pareggio. Racconta Bunker in una intervista pubblicata su uno dei volumi dei Classici del fumetto di Repubblica: “Il primo numero di Alan Ford vendette ventottomila copie circa, il secondo ottomila. Voleva dire che a ben ventimila acquirenti non era piaciuto. Un vero disastro. L’editore voleva chiuderlo con il numero quattro, ma lasciò a me la decisione. Io credevo nella novità, ci avevo lavorato sopra per più di due anni, ben conscio che le cose nuove incontrano sempre degli ostacoli”. E ancora sull’argomento, leggiamo nel Supplemento del Venticinquennale pubblicato dalla MBP: “E’ un dato di fatto che Alan Ford abbia rischiato di brutto di terminare con il numero quattro. Sarebbe stata una meteora e non avrebbe lasciato traccia alcuna nella storia del fumetto italiano. Invece... I dati di vendita del tre, seppur negativi, erano un po’ meglio di quelli del due, e così pure quelli del quattro che erano un po’ meglio dei precedenti. Che stava succedendo? A poche centinaia di copie per albo aumentava il numero dei lettori, piano piano, anzi pianissimo, era un lento aumento, ma aumento, accidenti! Così, ci rimboccammo le maniche per trovare qualcosa che desse un bell’impatto alla collana”. Quali furono le iniziative prese da Max Bunker per dare una scossa alla testata? Per prima cosa, fu decisa la sostituzione del copertinista. Le cover, eseguite per i primi dieci numeri con tecnica pittorica da Luigi Corteggi, furono affidate al tratto di Magnus che le rese più in sintonia con i contenuti. Poi, al cast del Gruppo TNT vennero aggiunte prima la fondamentale figura del Numero Uno, poi le due mascotte Squitty e Cirano: sempre di più Alan Ford diventava un fumetto corale. Intanto, anche le storie andavano mettendo a fuoco le caratteristiche di fumetto umoristico con valenza di satira politica e sociale, dotato di una vis comica propria e inconfondibile che cominciava a far breccia nei lettori. Così, come conclude Bunker, “arrivammo al n° 26, ‘Superciuk’, cioè il primo numero attivo della gestione Alan Ford, che deve ringraziare Kriminal e Satanik le cui vendite hanno permesso di coprire la perdita. Ci sono voluti due anni e quattro mesi, poi il boom! Quel numero venne ristampato tre volte. La dura battaglia era stata vinta! Da allora in poi, Alan fu sempre in salita (come vendite) e divenne il fenomeno degli anni Settanta”.
Può sembrare strano, se non incredibile, ma cinquant’anni fa (o giù di lì), andare in giro in scarpe da ginnastica era da barboni. A testimoniarlo, resta una celebre canzone di Jannacci: El purtava i scarp de tennis. Oggi, le scarpe da tennis sono supertecnologici oggetti di culto da sfoggiare in ogni circostanza con il marchio di fabbrica in bella evidenza. Ma nel 1964, quando il brano fu pubblicato nell'album "La Milano di Enzo Jannacci", le calzature di quel tipo non identificavano un look o uno style o un trend. Persino il tennis non era così diffuso come adesso. Le scarpe da ginnastica non solo erano di tela e dunque non proteggevano dal freddo, ma erano anche le più economiche; si usavano in palestra, ma per le strade della città le calzavano soltanto i meno abbienti. Così, dipingendo un altro povero cristo nella galleria delle sue canzoni, Jannacci poteva descrivere il suo clochard dagli occhi buoni, dicendo: “el purtava i scarp de tennis, el parlava de per lu / el purtava i scarp de tennis, perché l'era un barbun.”. Cioè: “Lui portava le scarpe da tennis e parlava da solo, lui portava le scarpe da tennis perché era un barbone”. Alla fine, lo trovarono cadavere sotto un mucchio di cartone. “L'an tuca che'l pareva che'l durmiva / lasa sta che l'e' roba de barbun”: qualcuno l’ha toccato per vedere se dormiva, ma gli hanno detto di lasciare stare, “è roba di barboni”. Indubbiamente la canzone è una straordinaria fotografia di una umanità disperata, in una Milano diversa da quella delle cartoline o degli spot pubblicitari. Esattamente come molte sequenze di Alan Ford, milanesi al punto da venire dialogate con parole prese in prestito dal dialetto meneghino (come “ciuk”, che significa “sbronzo”), ma perfettamente universali nella denuncia delle diseguaglianze e delle contrapposizioni tra le classi sociali.
Dichiara Max Bunker in una intervista rilasciata a Paolo Ferriani: “Il mio mondo è Milano. Ci sono nato, lì ho vissuto per tanti anni, nella Milano proletaria: non sono nato conte. La Milano che ho conosciuto io, soprattutto da ragazzo, il periodo nel quale si immagazzina molto di più e rimangono impresse certe cose, è quella del dopoguerra, quella in cui era un problema unire il pasto con la cena. In Italia, fino all’altro ieri, o forse anche adesso (bisognerà vedere, perché le riflessioni si fanno sempre a posteriori e mentre si vive si fotografa, solo in seguito si può analizzare la fotografia) c’era proprio una disparità. C’era davvero una contrapposizione netta tra i due blocchi sociali”. Il testo del brano di Jannacci comincia così: “Che scuse', ma mi vori cuntav d'un me amis”, scusatemi, ma vorrei raccontarvi di un mio amico. C’è da credere che il cantautore l’abbia davvero conosciuto, il barbone con le scarpe da tennis. E stando a quel che dice Bunker, sempre nella stessa intervista, anche lo sceneggiatore si è ispirato a un personaggio vero, per creare il suo Superciuk: “L’ispirazione mi venne da un portinaio che era sempre sbronzo, e che aveva un alito terrificante. Io entravo, e lui mi salutava. Poi tornavo giù due ore dopo, e lui di nuovo a salutarmi, credendo di non vedermi da un sacco di tempo. ‘Ah, signor Secchi, come sta?’. Non si ricordava più che due ore prima mi aveva già visto. Aveva i bottoni abbottonati uno su e uno giù...”. L’aneddoto sul portiere perennemente ubriaco, a cui Bunker dice di essersi ispirato per creare Superciuk, è raccontato con dovizia di particolari in una intervista in un volume dei Classici del Fumetto di Repubblica. Dichiara lo sceneggiatore: “A quei tempi vivevo a Città Studi. D’estate lavoravo di notte: scrivevo dalle undici di sera alle sei del mattino, ininterrottamente. Alle sei apriva il bar sotto casa, così scendevo per prendere un caffè quando il portinaio apriva il portone. E’ stato proprio lui a ispirarmi Superciuk. Magro, sorridente, coi pomelli del viso arrossati, barcollava e aveva una fiatata che lasciava pensare che invece di prendere caffè e latte facesse la prima colazione con barbera corretto con grappa. La sua fiatata stendeva e teneva lontane le zanzare. Ciò avveniva ogni mattina, così lo soprannominai ‘semper-ciuk’, e per ‘Superciuk’ il passo è breve. Poi ho pescato nell’oceano della mia fantasia e ho costruito un farsesco supereroe, un Robin Hood al contrario”.
Non sappiamo se il portinaio perennemente ubriaco indossasse le scarpe da tennis, ma Superciuk le porta non per caso, ma perché è un poveraccio. Vive in una baracca sulla riva dell’Hudson (anche se frequenta osterie degne della riva del Lambro) e odia i poveracci come lui, mentre ammira i benestanti. Così, quando per caso acquista degli incredibili superpoteri (una forza sovrumana, come quella degli ubriachi durante le risse, e una fiatata mortale, con cui stende gli avversari e gonfia dei palloni che lo sollevano in volo), si dedica a rubare ai poveri per dare ai ricchi. Sarebbe però uno sbaglio vedere in questo rovesciamento del mito di Robin Hood soltanto la parodia del genere supereroistico, con la messa in caricatura dei costumi e delle facoltà sovrumane di Superman, dei suoi colleghi e dei loro supernemici. Superciuk è anche questo, ma è molto di più. Ci se ne rende conto esaminando le sue motivazioni, spiegate alla fine di “Un fiasco spezzato” e approfondite ancora di più in seguito, negli episodi in cui lo vedremo ritornare: è evidente che il personaggio di Max Bunker, entrato nella leggenda come il nemico per antonomasia del Gruppo TNT, non usa i suoi superpoteri per arricchirsi. E’ un idealista, votato a una sacra missione (per quanto paradossale). Compie quello che ritiene il suo dovere, ma lo fa gratuitamente. Non accetta ricompense (se non una simbolica botticella di rhum a novantotto gradi alcoolici offerta dai miliardari membri del suo Fans Club), non trattiene niente per sé. In un universo come quello alanfordiano, specchio deformante (ma specchio) della realtà, dove trionfano il cinismo e l’opportunismo, e dove i “buoni” sono senza mezzi di sostentamento e la vita è una lotta per la sopravvivenza, è un “cattivo” a coltivare degli ideali. “El g'aveva du occ de bun”, canta Jannacci del suo barbone: aveva gli occhi da buono. Anche di Superciuk, alla fine, si potrebbe dire lo stesso.
La saga di Supoerciuk comincia nella bettola in cui Alan Ford si rifugia per affogare nel vino una delusiona amorosa: il nome del locale è “Osteria del Povero diavolo”. Come al solito, il luogo non ha niente di newyorkese, dato che la New York di Max Bunker è come la terra delle origini dove Elio Vittorini ambienta la sua “Conversazione in Sicilia”, che “è solo per avventura Sicilia; perché il nome Sicilia suona meglio di Persia o Venezuela”. Anche il nome New York suona meglio di Cinisello Balsamo o Zagarolo, e il viaggio di Max Bunker nell’Italia delle proprie radici, quella delle contrapposizioni sociali, è a suo modo una denuncia del male nel “mondo offeso” vittoriniano. Nel tugurio dove giunge sperando di ubriacarsi, Alan Ford assiste alla discussione fra lo scalcagnato proprietario e un riccastro desideroso di acquistare l'immobile per abbatterlo e costruire al suo posto un condominio. L'oste non intende vendere, e dunque ecco giungere in soccorso del palazzinaro una stramba figura in costume: Superciuk! Il supercriminale dà immediata dimostrazione del suo potere: alita una micidiale fiatata alcoolica in grado di stendere qualsiasi avversario. Poi, dà fuoco alla bicocca in modo che l'oste sia costretto a cedere il terreno, e prima di andarsene lascia sul muro una strana scritta: "Superciuk ruba ai poveri per donare ai ricchi". Nei giorni che seguono, il supercriminale continua a colpire a vantaggio dei bene abbienti: anche la sede del Gruppo TNT viene razziata e addirittura Bob Rock si vede spogliare della sua amata mantellina.
In occasione dell’avvento di Superciuk, sui n° 26, 27 e 28 di Alan Ford, per la prima volta una storia del Gruppo TNT si snoda su tre albi consecutivi, anziché essere autoconclusiva. Superciuk in realtà si chiama Ezechiele Bluff e fa lo spazzino per scelta, non per necessità, essendo stato educato per questa sacra missione dai due genitori Marta e Orazio, netturbini pure loro, morti prematuramente dopo essere stati travolti dalle auto mentre spazzavano l'autostrada di notte (un retroscena, questo, che verrà raccontato soltanto in seguito). Con il tempo, il loro figlio ha accumulato un vero e proprio odio verso i proletari che insozzano le strade. I poveri sono maleducati e sporcaccioni, e imbrattano quelle vie che poi lui, come spazzino, è costretto a ramazzare. I ricchi invece, lindi ed educati, hanno il culto dell'igiene e della pulizia. In seguito all'esplosione delle cisterne di una azienda sofisticatrice, Ezechiele viene investito da un fiume di vino adulterato. Acquista così il potere della pestilenziale fiatata alcoolica, con la quale riesce a stordire ogni essere vivente. Nella sua baracca in riva all'Hudson, si cuce un costume fatto di stracci e dà vita a Superciuk, vendicatore dei ceti abbienti contro il lerciume dei proletari. E' un Robin Hood alla rovescia: ruba ai poveri per donare ai ricchi. Le motivazioni che muovono Superciuk sottolineano il netto dualismo fra miserabili e benestanti che contraddistingue la poetica a fumetti di Max Bunker. L'umana solidarietà non esiste, l'unica legge è quella dell' homo homini lupus: l'ottica deformante dell'umorismo bunkeriano porta alle estreme conseguenze la divisione fra le classi.
L'incidente che ha permesso a Superciuk di acquistare i suoi superpoteri è una divertente parodia delle modalità con cui i supereroi Marvel (e la maggior parte dei loro supernemici) hanno ottenuto i propri. I Fantastici Quattro subiscono gli effetti di un bombardamento di raggi cosmici, Devil viene travolto da un fusto radioattivo, Hulk assorbe le radiazioni di una bomba gamma, il dottor Octopus ugualmente rimane vittima di uno scoppio in un laboratorio, eccetera. Va notato che, come direttore della Editoriale Corno e con il suo vero nome di Luciano Secchi, Max Bunker da poco più di un anno aveva cominciato a pubblicare in Italia i principali personaggi di Stan Lee, cominciando con Spiderman e Daredevil. Qualche anno più tardi, sul numero 171 di Eureka dato settembre 1977, Max Bunker svela i retroscena dell’esplosione delle cisterne della “Multata Fabbrica di Vini Sofisticati” (così recita un cartello sul muro di cinta) con una breve storia fuori-serie di otto tavole intitolata "Le origini di Superciuk", disegnata da Paolo Chiarini. Di questo raccontino extra esistono comunque due versioni: inizialmente Bunker e Chiarini ne avevano realizzata una in formato strip (otto strisce di quattro vignette ciascuna) destinata alla pubblicazione su un quotidiano. Naufragato il progetto (per un cambio di direttore della testata), la storia fu adattata per Eureka. Sia la prima che la seconda versione compaiono, per i più curiosi, nel Supplemento del Venticinquennale edito nel 1994 dalla MBP, ma in ogni caso tutto il resoconto del travagliato passato di Ezechiele Bluff è contenuto nell’albo n° 144, intitolato “La fiatata mortale”, datato giugno 1991, che contestualizza e perfeziona l’intera vicenda.
Tra i vari colpi di Superciuk, assolutamente indimenticabili sono i due messi a segno in rapida successione subito dopo la distruzione dell’osteria. Il primo è ai danni di una famiglia proletaria (affollata infatti di bambini, con il padre in canottiera e la madre precocemente invecchiata), abbagliata dal consumismo e decisa a comprare un frigorifero anche senza avere niente da metterci dentro. La seconda ha come vittima un bambino povero che possiede un unico soldatino di piombo, rubato da Superciuk e prontamente donato a uno ricco al quale quel pezzo mancava per completare la sua collezione. Inutile il dire che il pargolo benestante non si sente ugualmente appagato, e si dichiara mortalmente infelice mettendosi subito a desiderare qualcos’altro.
Mentre Superciuk imperversa per le strade di New York, i popolani insorgono contro l'Ispettore Brok, capo della polizia cittadina, accusato di bolsaggine e inefficienza: il poliziotto si reca così da tre maggiorenti dell'Amministrazione Comunale chiedendo congrui rinforzi per assicurare il criminale alcoolico alla giustizia. Ma i tre politici non sembrano dare importanza alla minaccia dello sbevazzone mascherato, e non solo mettono l’ispettore alla porta senza dare seguito alle sue richieste, ma addirittura subito dopo brindano a Superciuk e alla sua benemerita azione contro il proletariato. Brok e i tre Amministratori Comunali sono qui alla loro prima apparizione. Come suggerisce il nome, Brok è un poliziotto incompetente e buono a nulla: perciò, deve ricorrere spesso all'aiuto del Numero Uno. E’ proprio la sua intelligenza non troppo acuta, però, a conservargli il posto, in quanto risulta facilmente manovrabile dai potenti. Solitamente pavido e vigliacco, portato all'autocommiserazione tipica del povero diavolo alle prese con problemi più grandi di lui, Brok incarna alla perfezione, come una maschera della commedia dell’arte, quello che il comune cittadino, di fronte al dilagare della delinquenza, pensa solitamente dei tutori dell’ordine: che siano inadeguati.
I tre Amministratori, ugualmente, sono eterni simboli della burocrazia e del potere corrotto. Prototipo, archetipo e paradigma dell'uomo politico, dei tre non è mai stato rivelato il nome. Il soprannome di Tre Suini con cui a volte si identificano, deriva dall'aspetto fisico che li accomuna. Tutti e tre pensano alla stessa maniera e replicano gli stessi gesti: il Potere, infatti, si manifesta sempre nel medesimo modo, chiunque ne sia il rappresentante. E’ del tutto indifferente il partito di appartenenza: gli amministratori sono ladri e corrotti per definizione, intenti ad abbuffarsi al trogolo del proprio tornaconto (da qui la metafora suina), e la vox populi vuole che i politici al potere siano tutti uguali (da qui l'assoluta somiglianza d'aspetto). Il trio non esita a macchiarsi di ogni nefandezza pur di conservare poltrona e privilegi. Li vediamo viscidi e servili davanti a ricchi e potenti; invece trattano come pezze da piedi i sottoposti. Il loro peggior nemico è il Numero Uno, che, come vedremo, sa tutto di una misteriosa pratica "Lacrima Christi" relativa a una losca vicenda che li vede coinvolti, con cui riesce a ricattarli.