martedì 8 dicembre 2015

FINALE DI PARTITA



E' in edicola  “Finale di partita”, l’albo di Zagor n° 605 (Zenith 656). I testi (che proseguono una storia iniziata ad agosto) sono miei,  la copertina di Gallieno Ferri.  All'interno, i disegni di Gianni Sedioli (matite) e di Marco Verni (chine) concludono la lunga avventura del ritorno di Hellingen (in tutto, 426 tavole, contando le 150 illustrate da Ferri).  

A pagina 55 del volume inizia una nuova avventura, intitolata "Uno studio in nero", testi sempre del sottoscritto che riportano sulle scene Edgar Allan Poe, disegni del bravo Fabrizio Russo (alla sua prima esperienza zagoriana). Almeno otto tavole di questo nuovo racconto servono da appendice alla storia precedente, per cui è come se gli eventi hellingeniani occupino in tutto 434 pagine: una lunghezza più che rispettabile, se non proprio eccezionale (un aspetto di cui torneremo a parlare tra poco). Tutte le precedenti puntate della vicenda (da "L'eredità di Hellingen" a "Mad Doctor") sono state da me commentate in questo blog nei mesi precedenti e potete,  volendo, andare a vedere che cosa ho scritto. Proseguendo la lettura di questo articolo potreste trovarvi di fronte ad alcune rivelazioni sul contenuto del racconto che forse non volete conoscere prima di aver letto il fumetto: perciò, occhio allo spoiler. 



Ai tanti che, contattandomi su Twitter o su Facebook o scrivendomi in privato, mi hanno fatto giungere il loro apprezzamento, ho poco da dire se non grazie. Posso soltanto aggiungere che per tutta la durata della saga, nel corso di cinque mesi, mi sono giunti quasi soltanto echi positivi: per cui se un autore riesce a interessare i suoi lettori per quattro puntate mensili mi sembrerebbe strano vederlo crocifiggere soltanto per le ultime venti pagine di una storia che, mi sembra abbia tenuto abbastanza con il fiato sospeso. Perciò sono fiducioso sul fatto che questo nuovo ritorno di Hellingen possa aver ottenuto almeno la sufficienza facendo la media dei giudizi del pubblico. Tuttavia, poiché l'esperienza mi permette di prevedere perfettamente le obiezioni dei soliti, immancabili detrattori, ecco quel che mi pare di poter rispondere.

1) La storia si conclude troppo presto.

Strana opinione, considerando le 434 tavole di durata: facendo un sondaggio fra cento persone scelte a caso per strada a cui chiedere se oltre 400 pagine di un racconto a fumetti sono tante o sono poche, immagino che quasi tutti risponderebbero che sono tante, anzi forse troppe. Per di più, e qui viene il bello, la storia non si conclude affatto. Chiunque l'abbia letta comprendendo quel che si racconta, è chiaro che ci sarà un seguito. Seguito che è stato rimandato proprio perché non si poteva tirare per le lunghe una saga già fin troppo estesa.

2) Non ci doveva essere un finale di tipo magico.

Strana opinione, considerando che proprio Guido Nolitta intitolò "Magia senza tempo" in finale della sua ultima storia con Hellingen. Siamo alle solite: i fuori dello Zagor senza magia non si ricordano mai che fu Sergio Bonelli a scrivere decine e decine di storie "magiche". Gli stessi smemorati, però, chiedono che le avventure dello Spirito con la Scure debbano essere il più possibile nolittiane. In pratica: se io ricorro, come sono ricorso, alle armi magiche di Rakum per sconfiggere Hellingen, non va bene. Però Nolitta ricorse alle armi magiche di Rakum per sconfiggere Hellingen, e in quel caso andava bene. Mi rendo conto che combattere contro la nostalgia verso Nolitta è improbo e praticamente impossibile. Ho già scritto su questo argomento o stesso ho la stessa malinconia pensando alle vecchie storie. Però Sergio Bonelli abbandonò Zagor  nel 1980, per sua scelta: sono 35 anni che altri autori cercano, come sanno e come gli riesce, di portare avanti il personaggio seguendo la sua lezione e il suo esempio. Se siamo ancora qui (mentre altri eroi hanno chiuso i battenti da tempo), e se ancora c'è dell'entusiasmo attorno a noi, è perché ci impegniamo mettendocela tutta. Se poi c'è chi avrebbe voluto veder chiudere Zagor dopo "Magia senza tempo" e non vede niente di bello e di buono in quel che è stato fatto dopo, mi dispiace per lui. Uno di costoro, figuriamoci, dopo un post precedente in cui riportavo i dati di una sorta di referendum in rete teso a stabilire quale fosse la mia storia meglio riuscita (e o ho tenuto a dire: o la meno peggio) ha voluto subito commentare, con malcelato rancore, di non illudermi: il "torneo" era solo fra le avventure scritte da me e se ci fosse stato Nolitta in gara non avrei vinto niente. Per carità: chi ha mai detto il contrario? La gara non l'ho organizzata io e ho spiegato le intenzioni degli organizzatori (che hanno fatto le cose a mia insaputa). Dunque perché voler fare una puntualizzazione del genere? Mah.

3) Non doveva tornare il Wendigo.

Strana opinione, visto che il Wendigo (che compare in una sola vignetta in "Finale di partita") fa parte integrante della saga di Hellingen dopo la precedente avventura scritta da Mauro Boselli.  Delle due l'una: o si finge che Boselli, e prima di lui Sclavi, non abbiamo scritto niente (e si censurano, non si sa perché, le storie di due fra i più grandi sceneggiatori del fumetto italiano fortunatamente facenti parte anche della storia zagoriana) o se ne tiene conto. Quale tra le due scelte sarebbe stata la più criticabile? La risposta è insita nella domanda, ed è di puro buonsenso. Peraltro, io ho trovato (o mi sono sforzato di trovare) una via di mezzo: ho condotto per oltre 400 tavole la mia storia senza Wendigo (personaggio boselliano) e senza Kiki Manito (personaggi sclaviano), riportando Hellingen a quello che era ai tempi di Nolitta (aspettandomi la gratitudine dei tradizionalisti per questo), e soltanto in un rapidissimo passaggio ho riallacciato la mia vicenda alle storie precedenti di Sclavi e Boselli. La presunta "brevità" del finale va a tutto vantaggio della "nolittianità" dell'avventura. Ma poi, perché non avrebbe dovuto tornare il Wendigo? Il mio Hellingen è un clone: il vero Hellingen è prigioniero del demone ultraterreno. Dunque ci sono due scienziati pazzi e non si poteva non tenerne conto: se il clone non si fosse domandato che fine avesse fatto l'originale, sarebbe stato un idiota. La reazione più logica del "mad dottor" una volta saputo del Wendigo è proprio quella di voler liberare l'Hellingen originale. In conclusione: il Wendigo doveva tornare per forza, i detrattori del demone dovrebbero essere contenti che la sua apparizione si limiti a una vignetta. Un lettore fra i soliti critici ha scritto che se l'Hellingen originale era stato mandato in esilio nell'iperuranio bisognava lasciarlo slì e non riesumarlo. Una obiezione davvero sconcertante, visto che l'Hellingen originale nella mia storia (quella di cui stiamo parlando) non si vede mai. Quando e dove è stato riesumato? Chi lo ha visto? Nella mia storia l'unico Hellingen che si vede è il clone tornato esattamente come lo aveva lasciato Nolitta. A volte i detrattori sembrano leggere cose diverse da quelle che io scrivo. Un fenomeno, questo, contro cui è difficile combattere, se ne converrà.


4) La base di Altrove non ci doveva essere.

Strana opinione, visto di c'era già si è vista molte volte nella serie e non si può immaginare che i macchinari degli Akkroniani possano esercitati portati in altri luoghi se non lì (se no, quante basi che studiano i reperti extraterrestri ci sono, negli Stati Uniti del 1830?).  Ho saputo di qualcuno che ha avuto da ridire su un particolare: va bene Altrove, ma Altrove non si occupa di far lavorare i suoi scienziati a progetti come quelli del Golem, il robot prototipo di Titan, costruito da Hellingen in un hangar della base. 

A parte il fatto che non spetta a un lettore stabilire che cosa potessero aver deciso di fare i dirigenti di Altrove di quegli anni (e men che mai riguardo alle iniziative di un genio folle come Hellingen), vorrei precisare che in una chiara didascalia viene detto come la tecnologia a cui lavorano gli scienziati della base dell'epoca riguarda i macchinari rinvenuti in siti atlantidei: dunque Hellingen non parte da zero nell'ideare apparecchi elettrici e onde radio ma sfrutta conoscenze giunte ad Altrove dalle antiche civiltà antidiluviane: esattamente il tipo di interesse stabilito da Alfredo Castelli fin dalle prime storie di Martin Mystère. Il quale, in un suo racconto, ha appunto a che fare con un robottone che risale ai tempi della guerra fra Atlantide e Mu: si veda l'avventura "Il mostro di acciaio".

E adesso?Adesso c'è il seguito della storia da raccontare. Sedioli e Verni si metteranno presto a lavorare sulla saga che racconterà il seguito del finale di partita: i tempi supplementari, o forse lo spareggio.