Detesto i meme. Lessi per la prima volta questa parola in un libro di Richard Dawkins, “Il gene egoista”. Dawkins è il biologo evoluzionista reso celebre dal suo saggio “L’illusione di Dio”, ma lo si deve ritenere (e io lo ritengo) un divulgatore affascinante soprattutto quando parla di genetica. Dawkins coniò il termine cercando di descrivere come le convinzioni generate dallo scambio di comunicazioni in ambito culturale (inteso in senso lato, quindi in tutti quei fenomeni di condivisione di informazioni tra membri di gruppi sociali, vere o false che siano) si trasmettano e si modifichino nei vari passaggi, “evolvendosi” come organismi viventi. O almeno, io l’avevo capita (e la ricordo) così. Da qualche tempo ho scoperto che l’accezione stessa del termine si è modificata, al punto che ha finito prima per riguardare i contenuti condivisi tra utenti di Internet (di cui Dawkins non poteva tener conto nel 1976, all’epoca del suo conio del vocabolo), poi per definire specificamente quelle immagini di cui qualcuno si impadronisce piratescamente e fa girare con il commento di una frase spiritosa. Dico “piratescamente” immaginando che nella maggior parte dei casi foto e disegni non siano state realizzate dall’autore del commento umoristico, ma costui le abbia trovate in Rete. Non posso escludere però che qualcuno aggiunga la battuta a immagini di sua proprietà, e in tal caso il “piratescamente” non vale.
Il fenomeno dei meme imperversa. A me ne mandano a tradimento quattro o cinque tutti i giorni sul telefonino. Su Twitter non puoi scansarli. Su Instagram mi premuro di non seguire chi li posta. Per mia fortuna io li evito su Facebook perché su questo deleterio social io gestisco solo una pagina (Moreno “Zagor” Burattini) in cui nessuno può pubblicare niente se non io, e non sono titolare di un profilo come tutti gli altri (alla mia pagina si può mettere un “mi piace” ma non potete chiedermi la famigerata “amicizia”, del resto: chi vi conosce?). Di Facebook continuo a pensare quel che pensavo quando, anni fa (nel 2011), scrissi un post su questo blog spiegando perché non fossi su Facebook. Comunque, a parte me, i meme sembrano piacere a tutti. Persino a “Striscia la Notizia” ne fanno vedere alcuni tutte le sere, e io mi sgomento: ma come, sei il programma più visto, hai autori stellari come Max Greggio e Lorenzo Beccati, e invece di proporre contenuti televisivi inediti vai a rubare meme granati presi da Facebook? Mah. Per forza poi la gente guarda Facebook e non guarda più la TV.
Vengo però a spiegare perché detesto i meme. Perché, anche quando la battuta fosse divertente (qualcuna a volte lo è) se la stessa battuta la disegna un vignettista puoi ammirare il suo stile. Con i meme invece son tutti buoni, anche con foto ignobili, di livello bassissimo, di nessun gusto grafico, con il risultato di togliere visibilità a chi invece talento per disegnare. Io pubblico vignette sul “Vernacoliere”. Scrivo dei testi che il mio sodale James Hogg disegna. James ha il suo stile, che qualcuno apprezza. In ogni caso lo si può confrontare con quello di altri autori, e ce ne sono di strepitosi, da Federico Sardelli ad Andrea Camerini. Per pubblicare le nostre vignette io e James passiamo il vaglio di un direttore, il mitico Mario Cardinali, che a volte ce le boccia o chiede correzioni, in ogni caso filtra e garantisce ai suoi lettori un certo standard e una certa qualità. Ogni vignetta è frutto di lavoro, di ripensamenti, di fatica. Su Internet invece può arrivare chiunque, ruba una foto sgranata (a volte volgare, malfatta, inguardabile), ci mette una battuta e pubblica. Ottiene milioni di visualizzazioni. Oltre la metà propongono battute a corredo di immagini di culi e tette (non ho niente contro i culi e le tette). Mi direte: che te ne frega? Lascia fare agli altri quel che vogliono. Certo che sì. Potrò però dire il mio parere sulla qualità del risultato? E soprattutto, potrò lagnarmi (per sfogo personale, senza alcuna pretesa di cambiare il mondo) del fatto che voi tutti passiate le ore a scorrere su Facebook i meme e non vi comprate più il “Vernacoliere”? Come non vi comprate più "Linus" o qualsivoglia fumetto umoristico. O anche non umoristico.
Peraltro, le vignette frutto del talento dei disegnatori vengono (o possono venire) raccolte in libri e restano nelle nostre biblioteche: libri di Altan, di Bucchi, di Giannelli, di Mannelli, di Forattini, di mille altri maestri, fanno bella mostra sui miei scaffali e posso recuperare e ammirare l’arte di questi vignettisti. I meme spariscono nel nulla. Però i meme ve li guardate tutti e Lupo Alberto non sapete più nemmeno cos’è.
Vogliamo parlare poi delle vignette di fumettisti rubate e trasformate contro ogni legge sul copyright? Circolano immagini dei Peanuts di Schulz con battute modificate che Schulz non ha mai scritto, e lo stesso vale per Mafalda di Quino e per vari altri. Se qualcuno mettesse in bocca a me una frase che non ho mai detto, e questa frase circolasse in stramilioni di visualizzazioni attribuita a me, mi incazzerei come una bestia. Certo, non potrei farci nulla. Come nulla poso fare contro i meme, se non detestarli.