Ecco il primo articolo di questo blog la cui pubblicazione è stata annunciata con un tweet. Cioè, con uno di quei messaggi di soli 140 caratteri, spazi compresi, che si scrivono su Twitter, dove alla fine anch’io sono incoscientemente approdato. Incoscientemente, dico, in quanto non sapevo di che cosa si trattasse prima di arrivarci (e per adesso ci ho capito poco). Se l’ho fatto, è soltanto perché un amico (posso farne anche il nome, e il cognome: Diego Paolucci, sceneggiatore di Zagor oltre che intraprendente uomo Mondadori) mi ha assicurato che sarebbe stato per me facilissimo gestire il secondo “coso” nello stesso tempo in cui avrei gestito il primo. “Basta collegare Twitter a Facebook, e quando scrivi una messaggio su Facebook, ti compare anche su Twitter”. E io, scettico: “Ma non c’è l’obbligo dei 140 caratteri?”. “Sì, ma, se sono di più, su Twitter compare un link che permettere di leggere il seguito su Facebook”. Dunque, mi cimento nell’impresa, convinto che per Zagor, per la Bonelli e per i fumetti si debba tentare anche questo (è uno sporco lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare).
Insomma, per farla lunga, collego Twitter a Facebook. Risutato: se scrivo un tweet, va sul “coso”. Ma se scrivo sul “coso”, non va su Twitter. Chiedo aiuto. Mi rispondono Patrizia Mandanici e Marco Grasso, super esperti di computer. Prova così, prova cosà, mi dicono. Provo così e provo cosà, ma non ottengo una beata mazza. Non succede niente, come se avessi parlato al muro, invece di dare istruzioni a un computer. Da Twitter vado su Facebook, ma da Facebook non vado su Twitter. Allora cerco in rete, chiedo su Google, vago da un sito all’altro, tento e ritento, mi si pianta il computer, il programma non risponde, il caldo me lo fa spegnere, mi stremo. Sto per rinunciare, convinto che, come dice la TV, ci sia un’app per tutto, ma a me non ne funziona una per cui vai a(pp) pigliarlo in quel posto, quando, alla fine, l’ultimo clic che provo apre una finestra insperata che innesca una reazione a catena che risolve il caso. Il collegamento funziona anche nell’altro senso! Se scrivo su Facebook, vado anche su Twitter. Evviva, evviva, evviva. Non so come ho fatto e se mi si scollegasse tutto non saprei farlo ripartire, ma per ora funziona, finché regge. Risultato: almeno tre ore perse, che se avessi invece di incaponirmi con i “cosi” avessi scritto Zagor mi si sarei pagato quantomeno il pieno, l’autostrada e il pranzo all’autogrill. Però, vuoi mettere la soddisfazione? Adesso posso dirvi che, se volete, potete seguirmi anche su questo indirizzo Twitter: @Morenozagor.
Bene, direte voi, “dunque hai annunciato questo articolo su Twitter, per
la prima volta. Ma di che ci parlerai?”. Tanto per cambiare, di libri.
Mi riallaccio a tutto quel che ho scritto, più o meno un mese fa,
sulla bellezza di leggere a letto prima di addormentarsi, dopocena o a
notte fonda, e dunque ecco le recensioni dei libri che ho letto a letto nel mese di maggio di questo 2012.
PYONGYANG
di Guy Delisle
Fusi Orari, 2006
Proprio dopo aver visto in fumetteria il nuovo libro di Delisle, "Cronache di Gerusalemme", mi sono deciso a tirar fuori dallo scaffale un volume precedente da troppo tempo in lista di attesa, per capire se fosse o non fosse il caso di acquistare la novità. Così, ho iniziato a seguire l'autore nel suo viaggio a Pyongyang, la capitale della Corea del Nord, il paese più isolato del mondo, un luogo davvero ai confini della realtà. Delisle ha vissuto (praticamente guardato a vista) nella città coreana per due mesi, dovendo controllare la lavorazione di una serie di cartoni animati francese affidata agli intercalatori locali, lavoratori particolarmente a basso costo. Gli stranieri sono ammessi con il contagocce dal regime, vengono alloggiati tutti in due o tre alberghi da cui non possono uscire se non sotto scorta. Da questa esperienza, l'autore ha tratto un reportage a tratti esilarante, a tratti drammatico. E' incredibile il grado di alienazione in cui una dittatura (in questo caso, comunista) possa ridurre milioni di persone, costrette a vivere in funzione dello stato e nel culto del "caro leader", la cui immagine campeggia dovunque come l'occhio del Grande Fratello. E se qualcuno non ne spolvera l'icona in cornice obbligatoriamente posta in casa propria, può essere denunciato dal vicino e deportato con tutta la famiglia in un campo di lavoro. Spero proprio che Karl Marx avesse in mente ben altro. Ai nord coreani il regime fa credere che le opere del fondatore dello stato, Kim Il-Sung, vengono studiate nelle università di tutto il mondo e che stanno facendo proseliti in vista del trionfo planetario della sua ideologia. Scrive Delisle (pagina 74): "C'è una domanda che vorrebbero fare tutti gli stranieri che visitano questo paese, una domanda che ci guardiamo bene dal fare a voce alta, una domanda che alla fine ci rivolgiamo in silenzio da soli: ma ci credono veramente a tutte queste stronzate che cercano di propinargli?". Fra le stronzate c'è la convinzione che gli abitanti della Corea del Sud vorrebbero tutti riunirsi entusiasticamente a quelli del Nord e che sono gli Stati Uniti a impedirglielo con la forza. Intanto, a Pyongyang la notte non c'è luce (salvo che quella che illumina la statua del dittatore), nei negozi non c'è merce, nelle autostrade non circolano le macchine, ma l'esercito è potentissimo e si testano continuamente nuovi missili in grado di colpire il Giappone. Un libro divertente ed inquietante che dimostra una volta di più come il fumetto possa servire a raccontare qualunque cosa, anche a fare reportage giornalistici. Ovviamente, mi procurerò prima possibile il volume di Delisle su Israele.
LA POSIZIONE DELLA MISSIONARIA
TEORIA E PRATICA DI MADRE TERESA
di Christopher Hitchens
Minimun Fax, II edizione riveduta e ampliata, 2003
Spero di riuscire a parlare di questo libro senza scatenare travasi di bile soltanto nell'accennare all'argomento, e assicuro che lo farò senza sposare la tesi dell'autore, ma soltanto per illustrarla, per far sapere che esiste, poi ognuno giudicherà da sé. Io, personalmente, dubito delle "icone" così come dubito di Hitchens, per cui non ho problemi ad affiancare al "santino" ufficiale di Madre Teresa il parere opposto di un testimone che l'ha conosciuta di persona e che, soprattutto, ne ha studiato il "fenomeno" (un parere espresso, va detto, in modo mai sguaiato o volgare e sempre sorretto quanto meno da un ragionamento logico e lineare, anche se non sempre esercitato su circostanze davvero clamorose). Questa premessa va fatta, dato che qualcuno ha reagito commentando così: "Se esiste un inferno, Hitchens ci andrà per questo libro. E anche i suoi editori". Peraltro, trovo più grave la seconda delle due maledizioni (anche se chi crede all'inferno dovrebbe sapere che è soltanto Dio a decidere chi ci debba finire e non ci si può arrogare il diritto di stabilirlo in vece sua).
Ho già parlato di Hitchens recensendo il libro "Processo a Dio", scritto con Tony Blair, e in quell'occasione ho citato anche il suo saggio "Dio non è grande", ricordando anche come il celebre giornalista e polemista inglese sia da poco scomparso (per cui il suo destino oltretombale, qualunque sia stato, si è già compiuto). Va anche detto, preliminarmente, che Hitchens ha esercitato la sua vena iconoclasta anche con un libro su Lady Diana e dunque non sia nuovo nella pratica di mettere in crisi i ritratti preconfezionati delle icone venerate praticamente da tutti. Prima di leggere "La posizione della missionaria", non avrei mai creduto che si potesse scrivere qualcosa del genere su un personaggio come Madre Teresa, da tutti portato in palmo di mano (in effetti, un po' troppo portato e un po' troppo da tutti). E appunto per questo ho comprato il libro e l'ho letto nel giro di poche ore, per cercare di capire che cosa potesse contenere.
Devo dire che, in realtà, un paio di avvisaglie sul fatto che perfino sull'operato di Madre Teresa si potessero esprimere delle riserve, l'avevo già avuto. Pochi settimane fa, sempre in questo spazio, ho citato il libro-intervista a Paolo Villaggio "Non mi fido dei santi", in cui il comico genovese ricorda un suo soggiorno in Algeria per le riprese di "Brancaleone", e dice: "Nella località dove era stato allestito il set, un giorno incontro una signora belga che stava attraversando il deserto in pullman. Era stata l'assistente di Albert Schweitzer, quel medico che fece il famoso ospedale a Lambarenè, in Gabon. Io, incuriosito da questo personaggio molto famoso le chiedo: 'Com'era lui?'. Risposta: 'Non lo dica in giro, ma Schweitzer era cattivissimo'. Ma ne racconto un'altra. Vado a Calcutta con mia moglie. Il console onorario italiano ci porta, su mia richiesta, a vedere l'ospedale di Madre Teresa. Durante questa visita, dove tutto è ordinato e pulito, chiedo a suor Angela, una italiana che ci fa vedere il lebbrosario: 'Mi dica la verità, com'è Madre Teresa?'. La suora si guarda attorno e sottovoce mi dice: 'La verità? Una carogna!'. Madre Teresa ha ottenuto una delle più rapide beatificazioni mai viste. Non mi fido dei santi". Sul caratteraccio di Madre Teresa esistono comunque altre testimonianze (ma certo sono tanti i santi dai modi bruschi e magari qualcuno avrà pure avuto ragione). La seconda avvisaglia: in TV, comunque, qualche giorno fa, ho visto un documentario (realizzato da Roberto Giacobbo) in cui si accennava alla lunga crisi di fede della religiosa confidata al padre spirituale e di cui si è saputo di recente, grazie alla pubblicazione delle sue lettere. Madre Teresa, pare, era disperata di fronte al silenzio di Dio, al fatto che non riusciva più a sentirlo. Lavorava ugualmente esortando gli ammalati ad avere fede, ma lei questa fede non l'aveva più. La si può capire: di fronte al dolore non è facile convincersi che lassù qualcuno ci ama, e anche i deportati di Auschwitz si chiedevano dove fosse Dio in quel momento.
Chiusa la parentesi, torniamo a Hitchens. Abbiamo accennato al rapidissimo processo di beatificazione di Madre Teresa. Ecco, il giornalista inglese vi ha preso parte. E' stato infatti convocato dal Vaticano per fare, in qualche modo, l' "avvocato del diavolo" e testimoniare contro la candidata agli altari. Il che dimostra come sia legittimo anche in questi casi, e anzi, soprattutto in questi casi, cercare di appurare la fondatezza delle voci contrarie alla canonizzazione. Dunque, proprio la Chiesa ha ritenuto Hitchens un testimone abbastanza attendibile da mettere a verbale la sua testimonianza, avendo il polemista conosciuto personalmente la futura santa e realizzato su di lei un documentario, oltre che scritto molti articoli, riassunti poi ne "La posizione della missionaria", i cui argomenti sono basati sul proposito dell'autore di voler giudicare Madre Teresa dai fatti e non sulla base dell'immagine propagandata acriticamente dai media. Quali sono, in buona sostanza, le accuse di Hitchens? La principale è quella di non voler lenire il dolore o sconfiggere la povertà, ma soltanto voler convincere i malati e i poveri a sopportare la loro condizione in nome di un fondamentalismo cattolico ultraconservatore. Negli ospedali di Madre Teresa sarebbero banditi macchinari e strutture mediche moderne, analgesici e terapia del dolore e perfino i letti comodi, al punto che interi edifici avuti in donazione sono stati spogliati delle suppellettili (gettate per strada a partire dal linoleum, con meraviglia di tutti) per puro disprezzo di ogni parvenza di comodità, scambiata per "lusso". Alcune suore che avevano fatto della conserva con i pomodori ricevuti in dono furono maltrattate perché bisognava aver fiducia nella Provvidenza e non mettere da parte niente per il futuro. In molti aneddoti (sempre rigorosamente documentati) si intravede in effetti un po' di fanatismo. Scrive il giornalista, facendo un esempio riguardante una struttura chiamata 'La Casa dei Moribondi': "Le entrate complessive di Madre Teresa bastano e avanzano per attrezzare svariati ambulatori di prim'ordine nel Bengala. La decisione di non farlo, e di gestire invece un centro improvvisato e inefficiente che rischierebbe denunce e proteste se fosse diretto da qualsiasi branca della professione medica, è deliberata. Lo scopo non è quello di dare un'onesta assistenza ai sofferenti, bensì di promulgare un culto basato sulla morte, la sofferenza e la sottomissione". Non sfugge all'analisi di Hitchens il discorso pronunciato dalla futura santa durante la cerimonia della consegna del Nobel per la Pace (l'autore, peraltro, si chiede che cosa, in effetti e praticamente, abbia fatto Madre Teresa per la pace): prendendo la parola, la religiosa paragonò lo sterminio per fame all'aborto, ritenendo anzi l'aborto e la contraccezione i principali mali del mondo. Dunque, colpevolizzando in primo luogo le donne che, spesso, ad abortire sono costrette dalla necessità (e lo fanno con dolore) e non rendendosi conto che una politica di controllo delle nascite limiterebbe di molto lo sterminio per fame.
Inoltre, è interessante l'analisi che Hitchens fa sui rapporti di Madre Teresa con dittatori, truffatori, criminali di mezzo mondo, tutti fotografati con lei e da cui lei mai avrebbe preso le distanze. Ovviamente, quando la religiosa è stata invitata a restituire ai legittimi proprietari donazioni avute in dono da gente che le ha dato denaro rubato, lei non lo ha fatto (e del resto, sulla sorte di milioni e milioni di dollari ricevuti in anni e anni di apostolato, non è mai stata fatta chiarezza e non si sa come i fondi vengano utilizzati). Così come colpisce la si disamina del giornalista su come la fama della futura santa sia stata costruita con un sapiente uso dei media, a partire dalla pubblicità data a dei miracoli che le sono stati attribuiti e che in realtà non sono mai avvenuti. Un'altra accusa è quella di non fornire un'assistenza umanitaria disinteressata, ma finalizzata al proselitismo, e ci sono anche testimonianze precise di battesimi impartiti in punto di morte su indù e musulmani, prendendo come un assenso la risposta "sì" data alla domanda: "vuoi andare in Paradiso?". Per finire, è significativo un aneddoto: un povero sta per morire straziato dal cancro, rantola e si contorce ripreso da una telecamera; Madre Teresa gli dice: "Stai soffrendo come Cristo sulla croce, sicuramente è Gesù che ti sta baciando". E il moribondo: "Allora, per favore, digli di smettere di baciarmi".
SWEET SALGARI
di Paolo Bacilieri
Coconino Press, 2012
Si tratta di un graphic novel, dedicato "a Sergio Bonelli", iniziato nel 2009 (questa l'anno indicato dall'autore nella prima tavola) e concluso tre anni dopo. La prima cosa da dire che mi viene in mente è che il motivo per cui Bacilieri ha scritto e disegnato questo volume è lo stesso per cui io l'ho comprato prima ancora di leggere in suo nome in copertina, soltanto per il titolo e per l'illustrazione: l'amore verso Salgari, che evidentemente ci accomuna. E, alla fine, questa verità è risultata evidente nelle tavole, bellissime, che mostrano il momento in cui la notizia del suicidio del grande scrittore passa di bocca in bocca tra la gente, gli studenti, gli operai, le massaie, e tutti interrompono le loro attività per correre a vederne il corpo, composto in una camera ardente, e poi ne seguono il feretro, in un lunghissimo corteo commentato da Bacilieri con una citazione dal ciclo dei Caraibi, che finisce così: "Guarda lassù: il Corsaro Nero piange!". La biografia dell'uomo che ha fatto sognare intere generazioni di lettori è condotta dall'autore in un continuo alternarsi fra il presente narrativo (quello della preparazione e dell'esecuzione del tremendo seppuku con cui Salgari si sventrò, il 25 aprile 1911) e il passato, procedendo per episodi a sparsi, a partire dall'infanzia del protagonista. Non si tratta di una cronaca biografica esaustiva, ma fatta procedendo per "loci selecti", flash, suggestioni, spostamenti da una città all'altra, fino alla terribile lettera agli editori: "A voi che vi siete arricchiti colla mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria o anche più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna". Vi saluto spezzando la penna! Una frase degna di Sandokan. Bacilieri narratore e disegnatore è il grande di sempre.
CUORE DI TERRA
di Lorenzo Bartoli e Walter Venturi
Edizioni BD, 2011
Mi trovo abbastanza d'accordo con la recensione del sito Mangaforever. Potrei perciò cavarmela rimandandovi a quel commento.In realtà, chiacchierone e grafomane come sono, non riesco a trattenermi dall'aggiungere qualche annotazione personale.
1) Senza voler sminuire il resto, la parte più interessante è la postfazione di Faraci, scritta con il solito garbo e acume dal Tito nazionale, in cui si spiega come il progetto di "Cuore di Terra" non nasca da una idea primigenia dello sceneggiatore, ma dai disegni estemporanei di Venturi, che avrebbe buttato giù pagine di schizzi con un misterioso "indianino" e con le caratteristiche del suo mondo fantastico, senza avere neppure un canovaccio da seguire ma soltanto assecondando il suo istinto. Solo in seguito, Bartoli è intervenuto per dare un senso a quanto era stato già cominciato a illustrare. Mi si perdoni il riferimento personale, ma anch'io ho fatto qualcosa del genere quando ho realizzato con Lola Airaghi "Occhi di Cielo" (guarda caso, c'era sempre di mezzo uno scenario western), per scrivere un racconto che partiva da alcuni disegni di una sexy indianina realizzati da Lola e mostratami da Antonio Vianovi che mi disse: perché non provi a tirarci fuori una storia?
2) Il secondo motivo di interesse sono i deliziosi disegni di Walter Venturi, un autore talentuoso e versatile di cui andrebbe sfruttato il lato umoristico oltre che quello realistico-avventuroso, in cui lo abbiamo visto alla prova in ambito bonelliano.
3) La recensione di Mangaforever mi fa venire in mente che, forse, le difficoltà che io ho avuto nel seguire la vicenda, capire che cosa stesse succedendo, perché nel West ci fossero un fuoristrada e un cacciatore con un fucile futuribile, dipendono dal fatto che gli autori fanno riferimento a un tipo di narrazione manga-oriented della quale non possiedo i rudimenti.
4) Sono partito dal presupposto che si trattasse di un western, e in invece western non è, quanto piuttosto un fantasy-horror-umoristico ambientato in un mondo fantastico che solo per gioco ha una predominanza di scenari con i pellerossa - che si comportano però come ninja o samurai e combattono con tecniche di arti marziali, probabilmente ispirate ai combattimenti dei cartoni animati giapponesi: tenetene conto se cercare invece un buon, sano fumetto ambientato nel Lontano Ovest. Qui siamo, quanto a ispirazione e matrice, nel Lontano Est.
5) Fa sempre piacere, in ogni caso, leggere fumetti a colori fatti da italiani lasciati liberi di sbizzarrire la propria fantasia e le proprie inclinazioni: ben vengano altri volumi così!
ENDURANCE
di Luis Bustos
Planeta De Agostini, 2009
Si tratta di un graphic novel cartonato, 180 pagine in bianco e nero, che racconta a fumetti la storia della più famosa avventura di Ernest Shakleton. Una grande storia, va detto. Prima di parlare di questo volume, però, è il caso di ricordare che della nave "Endurance" stritolata dai ghiacci dell'Antartide nell'ottobre 1915 ho scritto un articolo sull'Almanacco dell'Avventura di due anni fa, recensendo il libro "Sud", scritto dallo stesso Shakleton e da poco ripubblicato in Italia dalla casa editrice Nutrimenti (libro che è, chiaramente, alla base dell'opera d Bustos). Il riassunto dei fatti che ho buttato giù nella mia recensione mi pare abbastanza accattivante da poter essere riproposto qui di seguito.
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Lo zoologo britannico Apsley Cherry-Gerrard, biologo di fiducia di Robert Falcon Scott, scrisse: “Per una spedizione scientifica e geografica, datemi Scott; per una puntata al polo e niente più, Amundsen. Ma se sono in un dannato guaio e voglio tirarmene fuori, allora datemi Shackleton”. Lo stesso concetto fu espresso da un altro esploratore dell’Antartide, il geografo Raymond Edward Priestley: “Quando siete nell'avversità e non intravedete via d'uscita, inginocchiatevi e pregate Dio che vi mandi Ernest Shackleton”. Se siete curiosi di saperne di più su questo leggendario personaggio, non vi resta che procurarvi il libro che egli stesso pubblicò in Inghilterra nel 1919: South. The story of Shackleton’s last expedition, uno dei capisaldi della diaristica d’esplorazione, ma anche un capolavoro della letteratura d’avventura. Infatti, non ci si può immergere in quelle pagine senza avere la sensazione di leggere un avvincente romanzo, mentre si tratta del racconto di fatti reali, di cui l’autore ci comunica la grande tensione emotiva. Tanto sono vere tutte le vicende che ci vengono narrate, da essere anche documentate da foto e filmati di straordinaria e drammatica bellezza. A bordo della nave Endurance, con cui nell’agosto 1914 gli esploratori salparono verso l’Antartide, c’era infatti anche l’australiano Frank Hurley, destinato a diventare uno dei più grandi fotografi di guerra e di viaggi. Con i suoi scatti e le sue riprese cinematografiche, Hurley ha fornito un eccezionale reportage della spedizione, da cui è nato un documentario di recente restaurato per una edizione in DVD del Brithis Film Institute. La Casa editrice Nutrimenti ha reso di nuovo disponibile sul mercato italiano il libro di Ernest Shackleton, ripubblicandolo con il titolo “Sud. La spedizione dell’Endurance”, corredato da molte foto. Nato in Irlanda nel 1874 da padre inglese, Shackleton abbandonò ben presto gli studi di medicina per imbarcarsi come mozzo su un mercantile. In breve, divenne prima nostromo e poi comandante. Nel 1900, si aggregò alla spedizione antartica della Discovery di Falcon Scott. Da quel momento in poi, dedicò all’esplorazione dell’Antartide tutta la sua vita e fu per ben tre anni l’uomo che si era avvicinato di più al Polo Sud, prima che nel 1911 Amundsen lo raggiungesse e Scott perdesse la vita nel tentativo. Shackleton progettò allora una spedizione scientifica che attraversasse tutto il continente più meridionale del mondo. Con una nave attrezzata per la navigazione tra i ghiacci, l’Endurance, e con ventisette uomini di equipaggio, l’esploratore si inoltrò nel mare di Weddell, a sud di Capo Horn, nel gennaio 1915. Le avverse condizioni meteorologiche e l’insolita solidità del pack estivo impedirono alla nave di raggiungere, com’era nei piani, la Terra di Coats, là dove avrebbero dovuto essere installati i quartieri invernali, punto di partenza per la traversata continentale prevista per l’estate successiva. L’Endurance rimase incastrata fra i ghiacci e fu costretta a svernare nella morsa del mare gelato. I sommovimenti del disgelo, in primavera, dopo una lunga deriva, stritolarono la nave nel mese di novembre. L’equipaggio, trainandosi dietro tre scialuppe di salvataggio, iniziò una durissima marcia sul pack in disfacimento. Shackleton riuscì a condurre i suoi uomini fino all’Isola dell’Elefante, all’estremità settentrionale della Terra di Graham, raggiunta nell’aprile 1916. Le probabilità di essere soccorsi in tempo erano nulle, perciò il comandante decise di partire con cinque uomini a bordo di una scialuppa per cercare aiuto nella Georgia del Sud, un’isola distante ottocento miglia marine. Quando, dopo quindici, terribili giorni di lotta contro l’Atlantico, i naufraghi riuscirono a raggiungere la meta, sbarcarono sul lato disabitato: furono necessari altri due giorni attraverso trenta miglia di montagne e ghiacciai inesplorati per arrivare a Stromness, una stazione di balenieri. I ventidue uomini rimasti sulla Elephant Island furono salvati il 30 agosto 1916. I naufraghi erano allo stremo, ma furono riportati a casa tutti vivi.
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Di tutto ciò, dà ragione anche Luis Bustos in "Endurance". Si potrebbe parlare di una puntuale trasposizione fumettistica del diario di Shakleton. Tuttavia, qualcosa di nuovo c'è: per esempio, si dà ampio spazio ai contrasti nati tra gli uomini dell'equipaggio e tra alcuni di loro e lo stesso comandante. Il modo con cui Shakleton, con il polso del vero leader, riesce a tenere unito il gruppo è ben evidenziato dal fumettista. Il capo, insomma, è visto dall'esterno e non dal suo stesso punto di vista, come capita in "Sud". I disegni, opera di un autore più versato per il fumetto umoristico, sono scarni, aspri, graffianti, essenziali ma efficaci, funzionali al tipo di racconto che parte nel modo giusto e procede con una narrazione costantemente avvincente. Certo, personalmente preferisco segni grafici più eleganti e misurati, ma ho trovato Bustos all'altezza della situazione e le sue tavole funzionali al racconto. La lettura è filata via intrigante e coinvolgente nonostante conoscessi tutta la storia per filo e per segno. Non a caso, tempo fa, ho proposto io stesso (prima di conoscere l'opera dell'autore spagnolo), un romanzo a fumetti Bonelli che raccontasse di Shakleton, ma per ora non ho trovato incoraggiamenti, forse proprio perché sono stato preceduto, chissà.
HO FREDDO
di Gianfranco Manfredi
Gargoyle Books, 2008.
L'autore, ovviamente, è proprio lo stesso di Magico Vento e Volto Nascosto, giusto per dirlo subito e non tornarci su. Alla base del romanzo (un applauso al grafico della copertina) ci sono le lunghe ricerche condotte da Manfredi su alcuni casi di morti misteriose e di ancora più misteriosi risvegli (o presunti tali) nella tomba, davvero accaduti nella seconda metà del Settecento, l'epoca in cui sono ambientate le vicende narrate nel libro, nel Rhode Island. Protagonisti del lungo e complicato racconto, sono tre forti personaggi destinati a colpire il lettore: Valcour e Aline de Valmont, due gemelli, appassionati e antesignani ricercatori scientifici in campo medico, e il reverendo battista Jan Vos, indagatore a suo modo della fenomenologia post mortem e delle credenze che si ingenerano a questo proposito nella popolazione. La prima metà del romanzo è davvero strepitosa. Valcour e Aline (soprattutto il primo) studiano il decorso di una particolare forma di tubercolosi denominata "consunzione" e scoprono come sia questa malattia a provocare attacchi di follia che portano le vittime a desiderare di nutrirsi di sangue. Il fatto che si tratti di una malattia infettiva che si trasmette fra i membri di una stessa famiglia, fa pensare che il primo defunto "chiami" gli altri nella tomba. Sono diversi i casi esaminati e risolti dopo che i misteri si erano sommati ai misteri, scatenando superstizioni e reazioni irrazionali nelle comunità colpite dal susseguirsi di tragici eventi. La tensione della prima parte non regge poi fino alle ultime pagine, quando gli avvenimenti tendono a ripetersi oppure a disperdersi verso altre direzioni non tutte ugualmente avvincenti. Formidabili comunque la documentazione e la ricostruzione di epoche e ambienti. Senz'altro un libro da non perdere.
IL TROIO 5
L'IDEA FISSA
di Andrea Camerini
Edizioni del Vernacoliere, 2010
Le scritte di copertina "Tutto a colori" e "Contiene un sacco di roba inedita" dovrebbero invogliare all'acquisto gli acquirenti esitanti, ma ovviamente io non ho avuto alcuna esitazione, anche se ammetto di aver aspettato poi più di un anno prima di leggerlo, ma soltanto perché, in fondo, avevo già letto tutte le storie già edite apparse sul "Vernacoliere". A questo punto servono però due parole proprio su questa mitica rivista, "Il Vernacoliere". E' vero che è stampata a Livorno e presenta testi in gran parte in livornese, ma si trova ormai in quasi tutta l'Italia (vedo sempre le irriverenti locandine persino nelle edicole milanesi) e decifrare il vernacolo toscano non è mai stato un problema per nessuno. Si tratta di un mensile satirico che alterna testi e disegni. Ovviamente, bisogna essere pronti a trovarsi di fronte di tutto, parolacce, oscenità e blasfemie. Però, si tratta sempre di un tipo di trivilialità "colta", di un registro stilistico, che va contestualizzato in una tradizione. Il "Vernacoliere" è dissacrante, demistificante, politicamente scorretto, anticlericale. E' "di sinistra" ma fa ridere anche quelli "di destra". Sulle pagine della rivista livornese è nato, per esempio, "Don Zauker" di Daniele Caluri ed Emiliano Pagani, il duo che oggi realizza "Nirvana" per la Panini (i nuovi Magnus & Bunker, li ho definiti io). Un altro pezzo da novanta della rivista, insieme a Federico Sardelli, è Andrea Camerini. Il quale è noto ben oltre i confini del "Vernacoliere" come regista di corti cinematografici e animatore di sigle TV (sono suoi quelle delle rubriche di "Striscia la Notizia", da "I nuovi mostri" a "Fatti e rifatti"). Di Andrea sono amico da una vita (anche se, in effetti, è un po' che non vado a trovarlo nel ristorante di famiglia che gestisce sul golfo di Baratti), ricordo ancora quando, giovanissimo, veniva a farmi vedere un suo fumetto con protagonista un antico etrusco. Da vent'anni, Camerini disegna, fra le altre cose, le avventure del Troio, di cui questa è la quinta raccolta. Un personaggio pessimo e negativo come pochi altri mai (battuto forse solo da Don Zauker), una sorta di coatto livornese, un tamarro al cacciucco, uno Zanardi labronico, ma anche uno che i coatti e i tamarri (e forse anche gli Zanardi) li stende con un rutto, perché lui, indiscutibilmente, è superiore. Trenta/trentacinque anni, bello e biondo, senza voglia di lavorare, totalmente disinteressato ai problemi del mondo se non ai suoi, che sono soltanto quelli di evitare le ire del babbo che lo vuol buttare fuori casa e di trovare compagnia femminile, con qualunque mezzo lecito e meno lecito. Dunque, è questa l'idea fissa del titolo, com'è facile capire fin dalla copertina che cita la locandina del film su Larry Flint. "Ner mondo c'è tanta superficialità e menefreghismo - dice il Troio - ma tanto a me m'importa una sega: mi basta trombà". Scrive Paolo Ruffini nella sua introduzione: "Si legge, si ride e poi ci si sente meglio: una catarsi che sgorga fluente in nome di un concetto molto più alto della libertà: la libertà di essere delle teste di cazzo".
L'OPERA AL NERO
di Marguerite Yourcenar
Universale Economica Feltrinelli, 2003.
Si tratta di un romanzo scritto nel 1968, da cui nel 1988 è stato tratto un film con Gian Maria Volonté nei panni di Zenon Ligre. Zenone (questo il nome nella traduzione italiana) è il protagonista di una trama avventurosa, storica e filosofica al tempo stesso, intendendo per "avventura" un susseguirsi di spostamenti, di fughe, di anni passati sotto mentite spoglie in varie regioni dell'Europa rinascimentale, ma con un centro di gravità permanente nelle Fiandre e nella città di Bruges in particolare. E' inutile ricapitolare per filo e per segno le traversie di Zenone, uomo di scienza e di libero pensiero in un'epoca (il Cinquecento) dove la Controriforma mandava al rogo i presunti eretici al pari dei fornicatori, degli omosessuali e degli atei. Preferisco buttare giù di getto qualche considerazione immediata da lettore che ha appena chiuso l'ultima pagina con un groppo alla gola. La prima cosa che mi viene in mente di dover dire è che si tratta di un libro molto bello. Però, per tutta la durata della prima parte, ho proceduto con fatica nella lettura, e sono stato più volte tentato di lasciar perdere per passare ad altro. Mi rendevo conto che la lingua sontuosa e le lunghe dissertazioni filosofiche erano utili e da ammirare, ma i capitoli mi sembravano di una noia mortale. Tuttavia, non ho ceduto alla voglia di smettere e sono andato avanti, venendo ampiamente ripagato. Da un certo punto in poi, la storia è diventata ipnotica e affascinante, pur nella sua lentezza e nella sua assenza di accadimenti clamorosi e di dialoghi serrati. La prosa ricercata, i vocaboli scelti con precisione certosina, l'eleganza formale della narrazione, la ricchezza di particolari nella descrizione di mille sfumature e il ricorso a ricercate metafore, alla fine mi hanno portato a una sbalordita ammirazione per l'autrice, in grado di descrivere la vita quotidiana così come i moti dello spirito e del pensiero di un'epoca così complessa come quella di Filippo II. Chi è, alla fine, Zenone? E' un libero pensatore che non si rassegna a tenere la bocca chiusa celando le sue convinzioni (che non sono neppure blasfeme), e finisce per pagare con una vita trascorsa braccato dal Santo Uffizio, dagli inquisitori, dai filosofi della Sorbona, dai procuratori dei sovrani cattolici. Uno che fino all'ultimo secondo, quando sente la vita sfuggirgli dalle vene tagliate, cerca di riflettere sulle sue sensazioni per approfondire su se stesso i suoi studi di anatomia. Zenon Ligre è un laico guidato dalla ragione in un mondo strangolato dall'irrazionalità delle sovrastrutture religiose che imbrigliano il pensiero della sua epoca, uno che si chiede il perché delle cose, e indaga sui moti dell'animo come sulla meccanica dei fluidi. Un medico che fa della filosofia una ragione di vita, ma non esita ad aiutare una donna, che lo supplica, ad abortire per evitargli di essere uccisa dal marito che, tornando da un viaggio, avrebbe scoperto il tradimento di lei, che cura i ricercati rischiando di finire sulla forca con loro, che consiglia la prudenza a chi rischia l'arresto per una storia d'amore ma che non alla fine si consegna da solo ai suoi persecutori che hanno fatto roghi con i suoi libri, convinto di dover essere coerente con le proprie idee e smettere di nascondersi. Dopo qualche giallo, qualche romanzo di fantascienza, qualche racconto gotico e qualche graphic novel, un testo impegnativo come questo, basato sulle idee che hanno fondato il pensiero moderno (una conquista costata la vita a tanti), è un'esperienza da fare.
« Le nostre idee, i nostri idoli, le nostre costumanze presuntamente sante, e le nostre visioni che passano per ineffabili, mi sembravano generati senz’altro dai sussulti della macchina umana, al pari del soffio delle narici o delle parti basse, del sudore e dell’acqua salata delle lacrime, del sangue bianco dell’amore, dei liquami e degli escrementi del corpo. Mi irritava che l’uomo sprecasse così la propria sostanza in costruzioni quasi sempre nefaste, parlasse di castità prima di aver smontato la macchina del sesso, disputasse di libero arbitrio invece di soppesare le mille oscure ragioni che ti fanno battere le ciglia se improvvisamente avvicino ai tuoi occhi un legno, o di inferno prima di aver interrogato più dappresso la morte» (Zenone Ligre).
STIL NOVO
di Matteo Renzi
Rizzoli, 2012
Matteo Renzi, noto anche come "rottamatore", è il sindaco di Firenze attualmente in carica (non saprei dire se verrà anche riconfermato, visto che sembra osteggiato non soltanto dalle opposizioni ma anche dal suo stesso partito: auguri). Credo che si tratti del primo libro scritto da un politico, e che parla di attualità politica, che abbia mai comprato. Ho sempre detestato gli istant book e i saggi destinati a restare interessanti e attuali soltanto per pochi mesi: per me un libro dovrebbe essere, come un diamante, per sempre. Però, avevo un motivo più che valido per comprarmi "Stil Novo", e lo spiego subito. Come più volte ho spiegato, sono nato in un piccolo paese dell'Appennino, Gavinana (nel comune di San Marcello Pistoiese), celebre per la battaglia in cui, nel 1530, Maramaldo (un mercenario al soldo di Carlo V) uccise Francesco Ferrucci, capitano della Repubblica fiorentina. Di recente, come ho spiegato anche sul blog, ho persino raccontato la morte del Ferrucci in un fumetto illustrato da Riccardo Pieruccini e contenuto in un libro sui toscani che fecero l'Italia. In ricordo della battaglia, è stata chiamata "Piazza Gavinana" una grande piazza di Firenze, e da quella piazza ha preso il nome un intero quartiere della città. Per i fiorentini, leggere un annuncio in cui si vende una casa in "zona Gavinana" vuol dire appunto che si sta parlando della riva sinistra dell'Arno, poco a monte del centro storico.Che c'entra tutto questo con Matteo Renzi? C'entra, perché nel suo libro il sindaco di Palazzo Vecchio prende spunto dalla storia della sua città per trarne degli esempi e delle indicazioni per la politica dei giorni nostri. Per cui la figura di Cosimo de' Medici gli serve per dire la sua sulle banche, quella di Savonarola per parlare degli spazi dei palazzi pubblici aperti alla cittadinanza, e così via. Finché si arriva a pagina 184 dove il "rottamatore" scrive: "Il mio ufficio è a Palazzo Vecchio, nella sala di Clemente VII. Ogni giorno mi attendono pile di documenti, un numero infinito di email da leggere e gli affreschi del Cinquecento. Alla mia destra c'è 'La Battaglia di Gavinana', il quartiere che nel 1530 diventa teatro dello scontro tra le forze della Repubblica e quelle di Carlo V che tenta di riportare i Medici in città. E' la battaglia in cui perde la vita il grande condottiero Francesco Ferrucci". Dunque, a sentire Renzi, la battaglia di Gavinana si sarebbe svolta nel "quartiere" di Firenze che porta quel nome! E il Ferrucci sarebbe morto in riva all'Arno! Un errore clamoroso. Quando mi hanno detto, appunto a Gavinana (il mio paese natale, a 60 Km da Firenze), che Renzi era incappato in questo qui pro quo, non ci volevo credere e sono corso a comprarmi il libro. Era proprio vero. Ovviamente adesso "Stil Novo" finirà nella mia già ricca biblioteca di testi che parlano del Ferrucci, a testimonianza di come si possano prendere fischi per fiaschi.
Per arrivare a pagina 184 (il libro ne conta 196) mi sono però letto tutto il resto del saggio. Gradevole qua e là, a tratti un po' noioso, ma sempre, tutto sommato, leggibile. Ho anche scoperto cose interessanti, come l'origine del termine "bancarotta" collegato con i banchi dei prestatori di denaro fiorentini che venivano smantellati (sfasciandoli) quando i titolari facevano fallimento, oppure sull'importanza di Sant'Antonino nella storia di Firenze. Ho anche applaudito (con il pensiero) Renzi quando si fa giustamente vanto di aver abbattuto l'inguardabile pensilina di Isozaki in Piazza Stazione (viva le ruspe, in certi casi!). Che dire, in conclusione? Mah. Sono d'accordo su molte cose (no al finanziamento pubblico dei partiti), in disaccordo su altre (dare la cittadinanza italiana a chi nasce - semplicemente nasce - sul suolo del Bel Paese), ma il tutto è proposto con discorsi un po' all'acqua di rose, come se ne stessimo parlando al bar in Piazza della Signoria con forte accento fiorentino e abbondanza di modi di dire locali. Per far sì che "Stil novo" fosse un libro in grado di non passare di moda con la rottamazione del "rottamatore", bisognerebbe che Renzi avesse scritto una guida alle curiosità di Palazzo Vecchio (senza sbagliare sul Ferrucci e su Gavinana), o della storia fiorentina, senza collegarla all'attualità politica, che già domani sarà passata di moda (e meriterà allora un approfondimento assai più ponderato e scritto magari da uno storico degno di questo nome).