I trent’anni di Martin Mystère segnano anche un anno altro anniversario: quello dei venti dalla nascita di una rivista di informazione e critica chiamata “Dime Press”, che dedicò il suo primo numero proprio al decennale del Detective dell’Impossibile, con una strepitosa copertina appositamente disegnata da Giancarlo Alessandrini. Oggi “Dime Press” non esiste più, e se esistesse dovrebbe necessariamente avere caratteristiche del tutto diverse da quelle con cui io e altri tre amici la progettammo, nel lontano 1992.
All’epoca Internet non aveva preso ancora campo e non l’avrebbe fatto ancora per qualche anno: perciò, le anticipazioni e i commenti riguardanti le pubblicazioni della Sergio Bonelli Editore non erano a portata di un click, com’è adesso. “Dime Press” nacque per colmare un vuoto di cui noi per primi, che ne fummo gli ideatori, sentivamo il disagio; in pratica, demmo vita alla rivista che avevamo sempre desiderato poter leggere. Chi eravamo? Più o meno (più meno che più) il gruppo che, fino all’anno precedente aveva dato vita alla fanzine “Collezionare”, di cui vi ho parlato a lungo: dunque il sottoscritto, e poi Saverio Ceri, Francesco Manetti e Alessandro Monti.
Aprire “Dime Press” significò chiudere “Collezionare”, divenuta impossibile da gestire per quella che si potrebbe definire una “crisi di crescita”. Vendevamo troppo, e non sapevamo come fare ad accontentare tutti quelli che ci scrivevano. Alcuni numeri tra gli ultimi arrivarono a toccare le duemila copie e si trattava di dover andare alla Posta a spedirle tutte quante, e dunque a fare pacchi, chiudere plichi, scrivere indirizzi, ritirare vaglia, rispondere a chi si lamentava di non aver ricevuto il numero precedente, prendere nota di chi si abbonava a partire da quello successivo, farsi pagare da chi non saldava, e naturalmente allestire i sommari delle nuove uscite. A far fronte a tutto questo, senza mezzi, senza computer, senza una sede vera e propria, e figurando come una associazione culturale (senza appoggi a nessun livello) eravamo rimasti cinque o sei, più cinque che sei, e più spesso in due o tre, più due che tre. Alla fine, la proposta dell’editore Antonio Vianovi di passare armi e bagagli a lavorare con lui ci sembrò la terraferma dopo un naufragio: ci veniva prospettata la possibilità di pensare soltanto al prodotto e di lasciar fare a lui per quanto riguardava la stampa e la distribuzione. Accettammo riempiendolo di baci. Poi, non furono tutte rose e fiori, perché fra i tanti pregi Antonio aveva anche alcuni difetti, tra cui una cronica mancanza di organizzazione logistica, ma andammo comunque incontro a anni entusiasmanti e di grande divertimento, in cui riuscimmo a realizzare numeri uno più bello dell’altro della nuova rivista a cui avevamo pensato.
Tutto nacque da un’idea che un giorno avevo buttato lì, agli altri, durante un viaggio in treno di ritorno da una Mostra Mercato. “Perché – dissi - gli appassionati di supereroi americani e i fan dei manga giapponesi devono avere testate critiche specializzate sui loro fumetti preferiti, mentre chi, come noi, è cresciuto leggendo gli albi bonelliani non ha a disposizione nessuno strumento di commento, analisi storica e informazione?”. vIdi brillare gli occhi degli altri. Alla fine del viaggio, avevamo battezzato il progetto come “Progetto GL”, dalle prime iniziali di Giovanni Luigi Bonelli. Ci mettemmo tutti al lavoro, e arrivammo a mettere a punto un piano d’azione convincente. A cui, però, mancava il nome. Fu Alessandro Monti a suggerirne uno geniale e lapalissiano al tempo stesso: "Dime Press". Avrebbe ricordato la stampa popolare a fumetti di cui Bonelli era leader in Italia, e avrebbe fatto il verso al vecchio nome della sua casa editrice, Daim Press (il senso era lo stesso: richiamarsi alle riviste "da quattro soldi" della tradizione pulp, le "dime novel" americane di fine Ottocento). Lo proponemmo ad Antonio Vianovi, alias l’uomo della Glamour International Production, che accettò con entusiasmo, pronto a stampare la testata e distribuirla nelle mostre e nelle librerie specializzate di tutta Italia. Il formato? Inevitabilmente quello degli albi bonelliani. Il piatto forte del primo numero, datato maggio 1992, un dossier sui primi dieci anni di Martin Mystére. Sui numeri a seguire, altri dossier: sul n° 2, datato settembre, si parlava di Ken Parker. Tutt'intorno al dossier, articoli e rubriche di vario genere, ma tutte attinenti al tema prefissato: il fumetto bonelliano. Direttore responsabile fu un nome prestigioso: Gianni Brunoro.
"Dime Press" venne presentata presentata ufficialmente a Bologna nei locali della più grande libreria specializzata d' Italia, la "Alessandro Distribuzioni", quindi ebbe un lancio anche a Cremona, presso il Centro Fumetto "Andrea Pazienza" e uno addirittura oltreconfine, nel contesto di "Inovafumetto '92" (una importante kermesse fumettistica che si svolgeva ogni anno a Lugano nel contesto dei grandi magazzini Innovazione del capoluogo ticinese).
In tutto, i numeri curati dal gruppo originario sono stati 22. Ognuno contava più pagine, più collaboratori, più contributi. Abbiamo avuto copertinisti d’eccezione (perfino Mike Mignola), interviste incredibili (una fra tutte, quella a Tea Bonelli), scoop assoluti (le prime tavole del Tex di Magnus), anteprime del futuro e analisi sulla produzione del passato. E poi tante lettere, tanta gente che attendeva le nostre nuove uscite, tanti autori che aspettavano le nostre recensioni come i calciatori guardano le loro pagelle. Io ho seguito personalmente più o meno i primi dieci, inventando rubriche e tirando fuori idee per vivacizzare la testata, che diveniva sempre più corposa. Poi mi sono defilato, per non sovrapporre il mio ruolo di saggista (e dunque di critico) con quello di autore che veniva anche recensito (più si facevano frequenti le storie a mia firma, più c’era un conflitto di interessi, a cui mi volevo sottrarre). Alla fine, abbandonai la rivista. Con il tempo, le ambizioni dei miei amici che continuavano a confezionarla desiderando poter lavorare in una redazione vera e propria e magari veder retribuiti i loro tanti sforzi si scontrò con l’impossibilità da parte della Glamour di far fronte alle richieste, e perciò a un certo punto i fondatori gettarono la spugna.
Poi, dal marzo del 2000, il direttore Giani Brunoro e lo staff di redattori vennero sostituiti (dopo un gentlemen agreement) con Luca Boschi e altri collaboratori, tra cui il valido Giampiero Belardinelli, un critico che, al pari di Giuseppe Pollicelli e Stefano Priarone (per fare due nomi) era cresciuto alla scuola del nostro gruppo. Per sottolineare il cambiamento, la numerazione ripartì da uno e la costolina divenne bianca. La testata fu rinominata “Dime Press Duemila” e sparì il sottotitolo “Magazzino Bonelliano”. In tutto, i numeri di Dime Press Duemila sono stati nove, più un decimo spillato di poche pagine. Torneremo sull'argomento, così come inizierò a ripubblicare gli articoli più interessanti. Intanto, una soddisfacente cronologia della prima serie è rintracciabile in rete cliccando qui.