venerdì 23 febbraio 2018

LETTERA DAL MIO GIUDICE




Quella che vedete qua sopra è una foto che potrebbe portare di nuovo (spero di no) alla sospensione da parte di Facebook della mia pagina Moreno "Zagor" Burattini. Tutto dipende se un certo algoritmo è programmato per riconoscere i culi, oltre che le tette, e per censurarle anche se sono opere d'arte (come nel caso di questo originale di Milo Manara). Parlo di mia Pagina e non di mio profilo Facebook perché io, come ho spiegato una volta per tutte molti anni fa, non sono su Facebook. 


Rispetto a quanto argomentato nel 2011 le cose fortunatamente sono un po' cambiate perché pare che un minimo di privacy in più sia garantita (si possono mettere dei paletti), ma in compenso sono aumentati il numero di foto di gatti e di disegni di cuoricini di buongiorno e buonanotte e soprattutto la rissosità degli haters che si sfogano in Rete. Proprio ieri un amico mi raccontava che su Facebook è comparsa la notizia di un incidente stradale avvenuto dalle sue parti e si è scatenato l'inferno nei commenti di chi sosteneva che la colpa sarebbe stata del fatto che il responsabile del cozzo parlava al telefonino,  con insulti a lui e alla sua famiglia. Ma erano tutti lì a vedere? Fanno parte del corpo dei vigili urbani? Sanno le cose per poter giudicare? E se anche le sanno, devono giudicare per forza? E se devono giudicare per forza devono per forza anche insultare?  Vabbè, dato che questo è l'ambientino sono lieto di non farne parte. O meglio, di limitarmi a gestire una Pagina su cui si può cliccare "mi piace" ma non "chiedere l'amicizia". La Pagina serve a far conoscere a che cosa sto lavorando a quelli che, per motivi misteriosi, sono interessati a quel che scrivo. 

Tuttavia, Facebook ha ritenuto di dovermi sospendere per ben due volte la Pagina. Vi chiedete, forse, come mai. Me lo sono chiesto anch'io e ho letto e riletto le comunicazioni che mi sono giunte. Allora, i fatti sono questi: per antica consuetudine io scrivo delle schede a mo' di recensione dei libri che vado leggendo. Schede che servono più che altro a me per mettere a fuoco le idee e per ricordarmi, a distanza di tempo, di che cosa si trattava. Da quando ho la Pagina su Facebook pubblico queste recensioni a beneficio di chi è interessato. Dopo qualche giorno, o quando ho tempo, pubblico le stesse recensioni su un blog destinate a raccoglierle, intitolato "Utili sputi di riflessione" (il mio secondo blog dopo questo, su cui sto scrivendo adesso). Una settimana fa, ho dunque messo on line sul blog questo articolo:

https://utilisputidiriflessione.blogspot.it/2018/02/lettera-al-mio-giudice.html

Si tratta, come potete vedere, della recensione di un libro del 1946, pubblicato da Adelphi, di Georges Simenon: "Lettera al mio giudice". Insieme a "La camera azzurra" e a "L'uomo che guardava passare i treni", uno dei capolavori dello scrittore belga. Pochi giorni prima, la stessa recensione dello stesso romanzo era apparsa su Facebook. Come faccio sempre e come è inevitabile, recensendo un libro se ne mostra la copertina. Eccola qui sotto:




In un riquadro compare un fotogramma del film "Il frutto proibito", del 1952, tratto appunto dal romanzo in questione. Nel fotogramma si vede una donna con il seno nudo. Ora, pare che pubblicare una immagine del genere sia contro il regolamento di Facebook. Non si sa se per la segnalazione  di un detrattore, come sostiene qualcuno, o per un programma automatico regolato da un perverso (e stupidissimo) algoritmo, come sostengo io, Facebook si è arrabbiato e mi ha sospeso la Pagina invitandomi a togliere l'immagine e a certificare che non ce ne sono di simili negli album fotografici a disposizione dei miei follower. Prima censura. Io ho tolto l'immagine ma ho raccontato l'accaduto mettendo un link alla recensione del blog perché chi voleva potesse andare a vedere di che cosa si trattava. L'anteprima del link ha mostrato ugualmente un pezzetto di copertina del libro, ed ecco la seconda censura. E seconda lettera dal mio giudice.

Ora, ciò che penso io del bigottismo che fa trovare scandalosa l'esibizione di un seno o di un sedere l'ho già espresso più volte. Per esempio, qui:




L'imperversare del moralismo (non dico "falso moralismo" perché il moralismo è falso per definizione e dunque sarebbe una tautologia) che ormai pare diventato, come il politicamente corretto, una sottomissione da osservare, mi lascia basito. Le donne hanno impiegato migliaia di anni per avere il diritto di potersi spogliare, se vogliono, e adesso perfino un malinteso femminismo, d'accordo con i dettami delle più retrograde religioni, questo diritto lo intende negare. Non resta che prenderne atto. In pratica, gli insulti degli haters vanno bene, il libro di Simenon non va bene. Allegria. C'è proprio da ammirare le regole di Facebook.

Mi si dice che la faccenda non poi così grave perché trattandosi di un algoritmo la censura è avvenuta in automatico. Direi che è peggio. Non c'è neppure modo di discutere, di far capire. E poi l'algoritmo qualcuno l'avrà pur programmato. Ci sarà stato un imbecille che ha dato ordine di mettere le brache di tela a tutti i sederi e i paramenti sacri a tutti i seni. Tutti, si badi bene: anche a quelli sulle copertine dei libri di Georges Simenon oggetto di una recensione. L'Adelphi farà bene a regolarsi, per i prossimi titoli, se vuole che le cover circolino su Internet. E con lei tutte le Case editrici. Stiamo scivolando nella Zona del Crepuscolo.

Ma dato che dal letame nascono i fiori, ecco che aver parlato di questo caso su Twitter ha portato l'effetto imprevisto di un certo numero di follower in più e a un discreto aumento delle visite sul mio blog letterario. Meno male, dài.

martedì 20 febbraio 2018

L'INFERNO A SCUOLA





Lo Speciale Dampyr n° 12, datato ottobre 2016 e intitolato "La porta dell'inferno", da me sceneggiato per i disegni dell'ottimo Fabrizio Longo, continua a darmi delle soddisfazioni. Non soltanto è stato commentato e recensito più che positivamente suscitando interesse anche al di fuori dall'ambito del tradizionale riscontro mediatico, ma continuo a incontrare lettori che si ricordano di quella storia, me ne portano una copia da firmare, mi chiedono se scriverò ancora episodi di Harlan Draka (la risposta  è: forse). Già nei mesi successivi ho avuto notizie di insegnanti che hanno usato "La porta dell'inferno" per parlare della "Divina Commedia" ai loro studenti, e ho pubblicato sulla mia pagina Facebook le foto di quelle esperienze didattiche. Oggi, a distanza di tempo, è giunta in redazione la fotocronaca di un'altra iniziativa scolastica legata al racconto dampyriano, e vi mostro volentieri le foto disponibili. Qui di seguito ecco l'estratto della lettera di un insegnante coinvolto nell'iniziativa (il mio amico Alessandro Monti). In appendice, riproduco il post pubblicato su questo blog poco dopo l'uscita in edicola dell'albo.

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Carissimi, 
vi trasmetto alcune immagini relative all’attività che  si è svolta nella classe 3^E del Liceo Scientifico “Anna Maria Enriques Agnoletti” di Sesto Fiorentino, in provincia di Firenze, all’interno di un percorso interdisciplinare tra gli insegnamenti di Storia, Filosofia e Italiano.
L’idea era quella di parlare di Dante e della sua Commedia in un modo un po’ diverso dal solito: così gli studenti hanno imparato la “grammatica” del fumetto, smontando una per una le sequenze narrative dell’albo, confrontandole con i versi dell’Inferno dantesco, ed esercitandosi poi  nell’analisi del testo e nell’invenzione di finali alternativi. 
Il lavoro è stato interessante e piacevole, tanto per i docenti coinvolti quanto per gli studenti, che hanno dimostrato tutto il loro entusiasmo per il fumetto sui banchi di scuola.









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La porta dell’inferno”, lo Speciale Dampyr n° 12, è stato da me sceneggiato per i disegni di Fabrizio Longo. Sono le mie prime 160 pagine scritte per Harlan Draka e anche per Fabrizio si è trattato di un esordio, sia in casa Bonelli che in casa Boselli. Il sito della Casa editrice ha pubblicato una mia intervista al disegnatore,  intitolata “Benvenuti all’Inferno”, preceduta da questa introduzione a mia firma.


Nonostante i miei venticinque anni di esperienza alle spalle, quando Mauro Boselli mi ha chiesto di scrivere una storia di Dampyr mi sono sentito tremare le vene ai polsi. Le storie di Harlan Draka non sono mai, come sanno bene i lettori (e benissimo gli sceneggiatori), un compitino da sbrigare con la mano sinistra. Al contrario, richiedono originalità d’invenzione e ricchezza di documentazione, oltre che rispetto di una linea editoriale e di uno standard qualitativo stabiliti da oltre quindici anni di storie che hanno costruito un universo e una continuity da cui non si può prescindere. Vista la competenza con cui Boselli maneggia materie complicatissime come i miti celtici, le leggende scandinave e i cicli arturiani, ho pensato che avrei potuto cavarmela soltanto trattando temi in cui anche io sono un minimo ferrato, come la letteratura italiana, la filologia dantesca e la storia fiorentina.


Appunto da toscano qual sono, ho pensato di ambientare proprio a Firenze la vicenda che ero chiamato a scrivere. Poi, riflettendo sulle tematiche horror tipiche della saga dampyriana, sono partito dal presupposto che il racconto più orrorifico mai concepito da mente umana sia la discesa negli inferi di Dante Alighieri: ho immaginato dunque una storia in cui Harlan compisse quello stesso viaggio. Per inciso, una annotazione: “tremar le vene e i polsi” (la frase da cui sono partito), è appunto una espressione dantesca usata nel primo canto dell’“Inferno”: “Vedi la bestia per cu’ io mi volsi /?aiutami da lei, famoso saggio / ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi". Tutto torna.

Quanto alla documentazione, oltre a leggere un bel po’ di saggi e far ricorso agli appunti universitari, ho consultato un vecchio amico, Alessandro Monti (noto anche in ambito fumettistico per aver collaborato con me in vari saggi critici e alla rivista “Dime Press”): Alessandro è oggi un insegnante e uno storico di professione e lavora abitualmente in ricerche di archivio su vecchi testi e carteggi medievali e rinascimentali. Dai miei consulti con lui derivano molti dei particolari riguardanti le tecniche di studio dei codici antichi che vengono spiegati ne “La porta dell’inferno”, appunto la storia di Dampyr che sono poi andato a scrivere. Non a caso uno dei personaggi del racconto si chiama Montanari e ha appunto lo stesso aspetto del mio “consulente”. A illustrare le 160 tavole dello Speciale – in edicola dal 22 ottobre – è stato chiamato un esordiente (solo in campo bonelliano, in realtà disegnatore con già alcune esperienze alle spalle): Fabrizio Longo. La sfida che si è trovato davanti era davvero pazzesca: visualizzare gli scenari danteschi confrontandosi con le illustrazioni di incisori del calibro di Gustave Dorè e pittori di ogni epoca. L’impresa è stata portata a compimento con i risultati che finalmente sono gli occhi di tutti. 

Per leggere il seguito vi rimando appunto all’intervista che ho fatto a Longo, leggibile cliccando qui

Moreno Burattini e Fabrizio Longo
Rinnovo a Fabrizio i miei complimenti per come è riuscito a confrontarsi con gli scenari danteschi, impresa davvero non facile, nel rispetto delle descrizioni del Sommo Poeta che, davvero, ha scritto uno de testi più orrorifici della letteratura mondiale. Fra tanti mostri e tante visioni apocalittiche, il vero dramma (quello che più sconvolge) è il dato di fatto di non poter morire: il dolore si rinnova senza fine, come sperimentano Dampyr e i suoi compagni finiti nell’Inferno di Dante, là dove, quando si entra, si lascia ogni speranza, anche quella della morte.

Una curiosità riguarda il cameo (una vera e propria piccola parte, a dire il vero) di Desdemona Metus, ovvero quella Desdy che con il soprannome de “L’Insonne” (dal titolo del programma radiofonico che conduce) è stata protagonista di più incarnazioni editoriali: creata nel 1994 da Giuseppe di Bernardo e da Andrea J. Polidori adesso sembra pronta per una serie TV (o una pellicola cinemotografica?) tutta sua. Essendo Desdemona fiorentina, portando Harlan a Firenze mi è sembrato giusto creare un team up non ufficiale (non si fa mai il nome della ragazza per esteso) d’accordo con Boselli e Di Bernardo. Guarda caso, fra le sue esperienze precedenti a Dampyr, Longo annovera anche un episodio dell’Insonne.

Nei giorni seguenti l’uscita dello Speciale si sono succedute numerose recensioni. Finora, i giudizi che ho letto sono più che positivi, talvolta entusiasmanti. Ne segnalo qui alcuni. estratti. Ringrazio in ogni caso tutti, anche chi avesse espresso pareri meno lusinghieri, per l'attenzione.  In calce troverete l'invito a una presentazione culinaria de "La porta dell'Inferno" prevista per il 18 novembre 2016 a Firenze, al ristorante "Il Latini" (un vero paradiso gastronomico). Ci saremo io e Longo e anche tanti altri autori.


Bad Comics



La narrazione e l’arte di queste tavole pensate ovviamente per un prodotto di intrattenimento, sono capaci di un trasporto insolito: riescono a catturare e a trasmettere al lettore alcune delle emozioni centrali del capolavoro originale: il tormento e il totale abbandono a cui sono condannate le anime dei peccatori in quei luoghi di pena e di indicibile dolore, che non viene risparmiato neppure ai nostri eroi.
Pensavamo finora che l’Inferno di Dante avrebbe smesso di angosciarci dimenticate le interrogazioni e finite le scuole. Ci sbagliavamo: Malebolge e dintorni possono ancora rappresentare un incubo, come pure l’occasione per godersi un’incredibile esperienza horror.


Gli Audaci



Emerge con chiarezza il ricco apparato di documentazione al quale si sono rivolti gli autori: lo stesso Burattini in un recente articolo/intervista ha dichiarato di essersi avvalso della consulenza dello storico Alessandro Monti (citato anche nella storia nella figura del Professor Montanari), mentre visivamente è evidente anche a uno sguardo superficiale che Longo ha studiato ed assimilato le incisioni di Gustave Dorè per dar vita a delle tavole al contempo personali ma colme di citazioni. Tutti i passaggi dell'albo ambientati all'Inferno sono caratterizzati da una perizia e una minuziosità nella rappresentazione grafica che rendono la lettura particolarmente piacevole, con il verosimile risultato di spingere il lettore con minor memoria degli studi classici a rileggersi una delle opere fondamentali della letteratura italiana.


Nerdgate


Un albo molto interessante, godibilissimo sia da chi segue ogni mese le avventure del Dampyr, sia da chi invece ne è completamente digiuno. La storia è infatti auto conclusiva e non eccessivamente legata a fatti accaduti in pubblicazioni precedenti.
Un ottimo lavoro, che consiglio caldamente a tutti!

A6Fanzine


Un gran bel volume da collezione che ci catapulta lì all'inferno, dove l'incubo prende realtà e le anime entrano in un loop senza fine. Bellissime i disegni e le ambientazioni di Fabrizio Longo, il quale riesce a far prendere vita quei mostruosi personaggi che abitano l'inferno e che speriamo di non incontrare mai.

Zagor e Altro



Questa prima storia dampyriana di Moreno Burattini mi ha davvero appassionato. L’idea di un’antica magia che, per un accidente, riesce a conferire concretezza all’Inferno immaginato da Dante Alighieri nella Divina Commedia, l’ho trovata davvero originale. Lo sceneggiatore non si è limitato “escogitare” un modo per poter far interagire i protagonisti della serie con i personaggi e l’ambientazione di un’opera letteraria, ma – da razionalista (a volte fin troppo) qual è – ha trovato una spiegazione oggettivamente plausibile perché ciò potesse accadere.
Da studente di liceo classico avevo passato ore e ore a studiare le cantiche dantesche ed è stato per me molto bello poter ammirare in un fumetto “drammatico” le raffigurazioni di personaggi e situazioni in precedenza solo immaginate. C’è davvero tutto l’essenziale dell’Inferno.

martedì 13 febbraio 2018

IL RICHIAMO DELLA FORESTA



In allegato allo Zagor n° 632 (Zenith 683) del marzo 2018, viene offerto (come allegato gratuito) un albetto spillato di 32 pagine con in copertina la scritta "Zagor Jovanotti" e contenente una storia a fumetti di 26 tavole intitolata "Il richiamo della foresta". 
Per saperne di più potete leggere la notizia sul sito della Sergio Bonelli Editore.
L'operazione nasce dal fatto che il cantautore Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, è da sempre un grande fan dello Spirito con la Scure. Uno di noi, insomma. Ne avevamo già parlato su questo blog. 
Sulla Zagor TV ci sono vari video che lo riguardano, compreso uno che ripropone una sua intervista a "Le invasioni barbariche" in cui si dilunga con Daria Bignardi su questa sua passione.

Jovanotti è un personaggio molto famoso, e soprattutto molto amato, oltre che un eccellente musicista, autore di testi e interprete. Vedere condiviso anche da lui il nostro amore verso Zagor, per quanto mi riguarda, riempie di soddisfazione. Il fatto di essere stato chiamato a sceneggiare una storia in cui Lorenzo incontra il Re di Darkwod (sia pure in modo onirico) è davvero un grande onore. "Il richiamo della foresta" nasce da un soggetto di Michele Masiero approvato da Cherubini, che ho sceneggiato per Walter Venturi, l'unico disegnatore al mondo in grado di realizzare un progetto così importante in un tempo molto veloce ma garantendo la sua tradizionale qualità. La copertina, strepitosa come al solito, è di Alessandro Piccinelli.






Jovanotti è un cantastorie come cantastorie siamo anche noi fumetti, e i valori positivi trasmessi dalle sue canzoni sono gli stessi che animavano Sergio Bonelli e Gallieno Ferri quando hanno dato origine alla leggenda di Zagor. La sinergia tra fumetto e musica porta sempre buoni risultati, e lo Spirito con la Scure ha già avuto la fortuna di vedersi dedicare un album da Graziano Romani ("Zagor King of Darkwood") oltre che una canzone da Ligabue ("Freddo cane in questa palude"). Dylan Dog in passato è stato protagonista di una storia ispirata da una canzone di Claudio Baglioni ("La via dei colori").

Il fatto che proprio Zagor sia a centro di iniziative sempre nuove testimonia la vitalità del personaggio e un evento come l'albo con Jovanotti attirerà su di noi l'attenzione anche dei più distratti, facendo parlare di una leggenda come lo Spirito con la Scure (57 anni di vita in edicola) anche chi di solito non parla di fumetti, sui giornali e sui media. Per di più l'albetto allegato a "La banda degli spietati" sarà gratis: perciò, se ci fosse anche chi non lo apprezza può regalarlo a qualcun altro o lasciarlo sul sedile di un treno perché finisca in mano a chi lo apprezzerà. Peraltro si può non essere fan di Jovanotti e leggersi la storia di Zagor (con Zagor, Cico e Darkwood), che è fruibile di per sé in quanto tale. Non vedo come si possa non essere più che ben disposti dall'iniziativa.



Qualche risposta al volo alle prime obiezioni colte in rete. Perché non abbiamo allegato l'albetto al numero di febbraio in cui cominciava la storia con Blondie? Perché non c'erano i tempi tecnici: Venturi è un fulmine di guerra, ma non un fotone. Perché non allegarlo a un numero estivo? Perché il tour 2018 di Jovanotti inizia il 12 febbraio. C'entra qualcosa la politica? No, nel modo più assoluto, basterà leggere la storia "Il richiamo della foresta" per rendersene conto (in ogni caso, che domanda è?). Ci saranno altre iniziative simili? Non simili, ma altre iniziative sì: preparatevi a delle sorprese. Almeno altre tre, prima della fine dell'anno.









domenica 4 febbraio 2018

SPIEGAZIONI SPIEGAZIONISTE




Nel numero speciale di SCLS Magazine a me interamente dedicato (dicembre 2017), compare una intervista al sottoscritto, in cui mi viene fatta, a pagina 126,  questa domanda: “La continua critica sullo spiegazionismo ha modificato il tuo modo di scrivere?”. Prima di rispondere, ci sarebbe da chiedersi che cosa significhi, esattamente, “spiegazionismo”, una parola misteriosa che mi lascia sempre molto perplesso.  Non riesco bene a capire di che cosa si tratti.  

Forse chi etichetta come spiegazionista un autore ritiene che i misteri e i nodi di una storia non dovrebbero essere sciolti, risolti e chiariti (e dunque spiegati)? Si dovrebbero lasciare delle domande senza risposta? Si dovrebbero scrivere storie in cui le motivazioni delle azioni dei personaggi siano indecifrabili o si prestino a più interpretazioni lasciate all’arbitrio del lettore, senza che all’autore sia consentito dare degli indizi? Dovrebbero essere banditi i balloon di pensiero da collane a fumetti come Zagor, che ne fanno uso da sempre per consolidata tradizione? E questo solo perché uno di questi balloon potrebbe dare una informazione giudicata superflua da qualcuno? C’è un tribunale del popolo che emette sentenze sulle spiegazioni che vanno o non vanno date, e fa ritrovare il cadavere degli autori che ne danno troppe nella bauliera di una macchina?  L’argomento è paradossale, tuttavia mi propongo di affrontarlo qui di seguito, per il gusto di analizzare la fenomenologia della psiche dei detrattori, uno sport molto divertente in cui mi sono dilettato spesso in questo spazio. La cosa buffa è che per difendermi dall’accusa di spiegazionismo dovrò argomentare molte spiegazioni.

Parole sante

Il più sacrosanto dei pareri sull’argomento viene fornito da Jacopo Rauch a pagina 90 dello stesso numero di SCLS Magazine citato all’inizio. Alla domanda “Qual è la tua opinione sullo spiegazionismo?”, Rauch risponde così: “Penso che sia una solenne cavolata”. Il che potrebbe bastare. La discussione è chiusa, arrivederci a tutti. Rauch, chiamato a esprimersi, in pratica ha detto delle accuse di spiegazionismo quello che l'indimenticabile Fantozzi dice della Corazzata Kotiomkin. Condivido. Novantadue minuti di applausi. 

Ma leggiamo, per amor di discussione, che cosa aggiunge Jacopo: “Con il simpatico neologismo di spiegazionismo  si imputa a Moreno Burattini di eccedere nelle spiegazioni, nelle sue storie. Ma questo non è affatto vero. Moreno spiega sempre quello che va spiegato, né più, né meno. Del resto le spiegazioni ci vogliono. E’ una regola sine qua non dello scrivere non lasciare buchi narrativi. Se uno sceneggiatore lo fa, pensando che la spiegazione sia sottintesa, commette un errore da circoletto rosso. Provate infatti a vedere cosa succede se uno lascia qualcosa di non spiegato all’interno di una storia: andate sui social e leggete le reazioni”.

Il caso del pozzo

Giusto: andiamo a leggere le reazioni, prendendo per esempio un caso fra i tanti. E’ il caso del pozzo che compare nella storia "Oscure presenze" (Zagor 473, del dicembre 2004). Ne ho parlato anche in una intervista fattami da Luca Raffaelli per commentare le storie a mia firma ristampate nella Collezione Storica a Colori di Repubblica. I fatti sono questi: a storia pubblicata, mi trovai a dover difendere l'idea del pozzo in cui i cajun avevano gettato i cadaveri degli abitanti del villaggio di Nuova Sulina, di cui avevano fatto strage. Secondo me, una "fossa comune" del genere avrebbe potuto essere apprezzata come un elemento horror spaventoso a vedersi. Nei fumetti cerchiamo sempre di inserire scene che colpiscano l'immaginazione dei lettori, "belle da vedere" anche se orride (come, nella stessa storia, la sconvolgente vignetta con il prete impiccato). Invece, con mia grande sorpresa, in Rete ci fu chi si prese la briga di sbizzarrirsi nel contestare il fatto che i miasmi dei corpi in decomposizione avrebbero dovuto rendere l'aria talmente irrespirabile da far scoprire subito la sorte dei primi abitatori del villaggio. Su questo particolare fu imbastita una polemica che non finiva più, cosa che a pensarci bene è persino divertente.  

Ricordo che, un po' perplesso, mi affannai a rispondere punto per punto tirando in ballo il fatto che in una palude piena di miasmi per conto suo non era come sentire odore di marcio in un salotto di casa, che in ogni caso il tempo trascorso dalle uccisioni poteva aver mummificato i cadaveri, oppure che, al contrario, l'umidità del delta del Mississippi (chissà quale ne è la composizione chimica) poteva aver decomposto i corpi in modo diverso e più veloce, oppure che la particolare conformazione del pozzo non favoriva le esalazioni che potevano essersi sfogate in altri modi. La cosa buffa è che in una storia basata sui fantasmi e i fenomeni di poltergeist (accettati senza battere ciglio) si andasse a contestare una faccenda di cattivi odori, e su quella venisse ingaggiata una battaglia fra lettori pro e contro. Naturalmente le mie puntualizzazioni, per quanto garbate e articolate, non convinsero nessuno dei detrattori, com'era inevitabile visto che si trattava di questioni di lana caprina. 

Dichiarai a Raffaelli: “C'è da notare che spesso i detrattori contestano quello che viene definito lo spiegazionismo, cioè la tendenza (che deriva da una precisa scelta di Sergio Bonelli, da lui persino rivendicata con orgoglio) a fornire spiegazioni tese a non lasciare punti oscuri in modo che il lettore non debba faticare per venire a capo dei perché e dei percome, mentre in altri casi gli stessi ipercritici contestano la mancanza di spiegazioni su particolari che, tutto sommato, su cui si potrebbe benissimo sorvolare. In fin dei conti, in un passaggio come quello incriminato il dato di fatto era che dei morti nel pozzo in un primo momento nessuno si era accorto: è davvero necessario spiegare perché? Ecco, ai tempi di Guido Nolitta certamente queste discussioni non si facevano, e altrettanto certamente se al vaglio del medesimo spirito ipercritico di certi forum fossero state passati i capolavoro dell'epoca d'oro zagoriana non ne sarebbero usciti indenni neppure quelli”. Dunque, se si spiega, scatta l’accusa di spiegazionismo, se non si spiega, scatta l’accusa di non aver fornito le necessarie spiegazioni. Insomma, ha ragione Jacopo Rauch.


Il parere di Sergio Bonelli

Ho scritto che la tendenza a fornire spiegazioni tese a non lasciare punti oscuri “deriva da una precisa scelta di Sergio Bonelli, da lui persino rivendicata con orgoglio”. Ora, i detrattori in preda al delirio  anti-spiegazionista sono ben identificabili in una sorta di ristretta, seppur rumorosa e schiamazzante, consorteria; tuttavia, se qualcuno dei soliti noti  volesse contestare questo dato di fatto, può andare a leggersi le dichiarazioni di Bonelli rilasciate a Franco Busatta, nel libro-intervista “Come Tex non c’è nessuno”. Secondo Busatta, lo stile narrativo di Nolitta può essere definito “didascalico”. Cioè, che intende accompagnare per mano il lettore all’interno della storia. Commenta Sergio: “E’ vero. Nel racconto bonelliano lo svolgimento della vicenda deve sempre essere molto chiaro e ben spiegato. Anche perché le nostre pubblicazioni sono pensate non tanto per l’intenditore, per il cultore del fumetto, ma soprattutto per il lettore, appassionato o occasionale, per il fruitore distratto, che magari vuole da un fumetto soltanto mezz’ora di spensierata, distensiva lettura”. In un’a intervista, Sergio confessa: “Le mie ultime esperienze di editore mi hanno insegnato che il fumetto come lo intendevo io ha fatto il suo tempo. Oggi c’è un modo di sceneggiare diverso, le storie sono più complicate e richiedono una complicità maggiore con il lettore”. Cioè, il lettore è chiamato a scervellarsi di più per seguire una storia. Nolitta stava bene attento che non succedesse: la storia doveva essere chiara al fruitore in modo tale che lui arrivasse alla fine con la sensazione di aver capito tutto, non avendo trovato nulla che non torni. Se ci sono lettori a cui questo non va bene, forse hanno sbagliato fumetto. Noi su Zagor cerchiamo di essere lineari e quindi spiegare il perché delle varie cose. 

Non so se mi spiego

Pensando che ci sarà sempre qualcuno che criticherà lo spiegazionismo, cerco di essere il meno spiegazionista possibile. Cioè mi pongo il problema. Però talvolta le spiegazioni vanno pur date (ci sono dei misteri da chiarire) ma soprattutto mi è stato sempre chiesto dalla casa editrice di fornirle. Quante volte mi è successo nella far leggere certe storie a Decio Canzio o a Mauro Marcheselli di sentirli chiedermi spiegazioni sul perché Zagor faceva una cosa e non un'altra! E quando io replicavo che dalle tavole si capiva, mi sentivo dire che bisognava spiegarlo a vantaggio di chi non avrebbe capito, perché questo era il nostro modo di fare, per cui magari dovevo aggiungere una frase (per poi sentirmi dire dai lettori che c'era troppo spiegazionismo).  

Quante volte Sergio mi ha fatto aggiungere balloon a delle vignette mute! Se facevo una vignetta muta, mi diceva che su Zagor si usa mettere il pensiero, perché fa parte dello stile della serie, come l’uso della gabbia o il minimo ricorso alle scontornate (una volta Bonelli mandò addirittura una circolare per vietarle). Nell’immagine che vedete qui sotto potete leggere una pagina della sceneggiatura della mia prima storia di Zagor, “Pericolo mortale” (1991) con le annotazioni a penna rossa dell’editor dell’epoca, Renato Quierolo, quello che per incarico di Sergio Bonelli e di Decio Canzio mi addestrò e mi face da maestro. 



Ebbene, in un dialogo, un trapper di nome Jeremy dice, davanti a un cadavere straziato: “Con ogni probabilità è quanto resta di Frank”. Al che Renato chiede: “Come fa a dirlo? Come lo riconosce? Brandelli di vestiti? Cartucciera o cosa?”. In altre parole mi viene chiesto di spiegare. In qualche modo il lettore doveva essere informato su come sia possibile per Jeremy riconoscere Frank. Magari aggiungendo una frase del tipo: “riconosco il suo vestito” o “riconosco la sua cartucciera”. Queste sono le indicazioni che venivano date sulla base di quanto richiedeva Sergio, che poi avrebbe letto a sua volta la storia aggiungendo altre richieste di chiarimenti.

Zitti e muti

Le vignette mute, senza frasi dette e senza pensieri, non sono state vietare, solo non ce ne devono essere troppe. Un'intera pagina di vignette mute ad esempio non sarebbe stata accettata da Bonelli. A parte il fatto che io, come è facilissimo constatare, ho sempre usato più vignette mute di Sergio, però l’usanza che abbiamo ereditato è che Zagor pensa. Che dia tanto fastidio questo fatto mi sembra strano. Se deve accendere il fuoco per i messaggi di fumo, pensa: “Ecco il punto adatto per  i messaggi di fumo”. Ai detrattori questo dà fastidio. Vorrebbero che facesse i segnali senza pensare nulla. Ma anche il fare delle tavole del tutto mute, alla maniera di Ken Parker, disturba un certo tipo di lettore, che non ne capisce il perché. Ricordo che Sergio Bonelli, quando scrissi la scena finale della storia della spedizione alpinistica sul “gigante di pietra” (Gli indiani delle praterie, Zenith 557-560),  lesse la scerna in cui  Zagor cade in un crepaccio insieme a un altro alpinista. L’amico muore e Zagor cade in ginocchio disperato e china la testa. Sergio ironicamente mi chiese perché non dicesse niente, se stava bisbigliando delle preghire per il defunto o che cosa. Io quella scena l'ho difesa e lasciata senza balloon. Insomma, su Zagor le storie si raccontano spiegando e facendo ricorso ai pensieri. Poi dà tanta noia? È una cosa così insopportabile? E perché quelli a cui dà noia devono dettare legge e pretendere di aver ragione loro?

Non restare chiuso qui, pensiero

Se io penso che devo andare al lavoro, penso "è ora di andare al lavoro". E se un fumetto dovesse descrivere i miei pensieri, in una nuvoletta che esce dalla mia testa andrebbe scritto: "è ora di andare al lavoro”. Dov’è lo scandalo? Nella vita reale capita a tutti di pensare: “meglio che faccia così” o “meglio che faccia cosà”, e di ripassare mentalmente il perché si  è deciso di farlo. Dunque, perché su Zagor non ci può essere un balloon di pensiero che esprime il momento della scelta del soggetto di fare una certa cosa?  E perché non accettare che questi pensieri servano a farci entrare nella psicologia di un personaggio, a dimostrarci che ragiona sulle cose, che fa delle scelte, che cerca di fare la cosa giusta, che agisce secondo un piano, che è propositivo? E’ davvero un mistero. Sono pronto a prendermi tutte le colpe per aver fatto pensare a Zagor "è un buon posto per fare i segnali di fumo" (una colpa senza dubbio gravissima), ma non mi si dica che su Zagor è prassi fin dai tempi di Nolitta fare lunghe sequenze mute e che io ho rotto improvvisamente la tradizione, perché è esattamente il contrario. La tradizione è quella dei pensieri e non sono per niente frequenti le scene mute. E' qualcosa che contraddistingue il modo di raccontare di Zagor. 

Una volta (in occasione della storia del ritorno di Robert Gray) sono stato criticato dal detrattore di turno per questa scena: un tale ha massacrato di botte Zagor e sta per ucciderlo, e c'è Cico con la pistola a portata di mano che non interviene. Ho fatto pensare al pancione la spiegazione del perché sia meglio non interviene. Secondo un tale, non doveva pensare nulla. Al che, qualcun altro si sarebbe chiesto: e perché non interviene? Il mancato intervento senza spiegazione sembra assurdo. Ma tant'è: gli spiegazionofobi preferiscono che qualcuno si comporti in modo assurdo piuttosto che un semplice pensiero giustifichi quel comportamento. Peraltro, non è che un pensiero rallenti l'azione: pensare è immediato, per cui non è che c'è da fermarsi per ascoltare un lungo discorso. Lunghi discorsi che sono sempre stati tipici dello Zagor di Nolitta. Non starò a ricordare tutto il bellissimo, ma retorico, discorso al principe Minamoto, ma quante volte abbiamo sentito lo Spirito con la Scure arringare agli indiani cercando di convincerli delle sue ragioni nel modo che è loro caro (e quindi anche retoricamente, o con certo modo di argomentare)? Per gli anti-spiegazionisti ecco che Zagor non deve parlare più perché se una una frase di più scatta l'accusa di spiegazionismo, e gli indiani devono adattarsi ai ritmi da videoclip. Se poi, come accade talvolta, il parlare serve a guadagnare tempo ed è indice di astuzia, niente da fare: per i detrattori più piccati, non bisogna farlo parlare. 

L’etichettatura

Potremmo addirittura fare un’analisi delle sceneggiature di Nolitta e scopriremmo come questi fosse assai più spiegazionista del sottoscritto  nei balloon e soprattutto nelle didascalie (che io ho quasi abolito senza che, a quanto pare, nessuno se ne sia accorto). Ma altrettanto sicuramente più spiegazionista di me è l’ottimo Jacopo Rauch, a cui, come editor, cancello la metà dei discorsi dei balloon perché non se la prendano anche con lui. Tuttavia l’etichetta di spiegazionista è stata data a me e temo che sia diventato a tal punto un luogo comune che non me la toglierò più di dosso, neanche se scrivessi d’ora in poi soltanto storie mute. Le etichette sono impossibili da togliere. Ci sono, peraltro, in letteratura, scrittori oltremodo spiegazionisti che godono di grande successo: per esempio, in ordine alfabetico, Isaac Asimov, Agatha Christie o Stephen King. E' il loro stile. Chi non apprezza il lento incedere analitico della prosa di King, semplicemente non lo legge - ma nessuno gli contesta il diritto di scrivere con gli pare. 



Personalmente apprezzo le storie in cui capitano dei fatti misteriosi su cui si deve indagare, e mi piace scoprire poi il perché e il percome, svelare i retroscena, accorgermi di come stavano veramente le cose. Mi piace lo svelamento in flashback di episodi del passato che sembravano inspiegabili. E dunque, come autore, cerco di scrivere le storie che poi mi piacerebbe leggere come lettore. Se spiegazionismo significa fornire spiegazioni sui misteri su cui si e indagato, mi sembra che sia peggio non fornirle, queste spiegazioni. Si dovrebbe contestare la mancanza di spiegazioni, non che vengano date. Forse quel che mi si obietta e l'eccesso di spiegazioni, ma anche in questo caso la cosa e opinabile. Chi stabilisce che cosa e in eccesso e che cosa no? Mi trovo a pensarci e ripensarci ogni volta che scrivo un dialogo. "E' necessario spiegare questo e quest'altro?" mi chiedo. Se lascio la spiegazione significa che mi rispondo di si. Sono convinto che se non spiegassi poi qualcuno mi accuserebbe di non aver spiegato. Quando mi sembra il caso di spiegare, cerco di farlo nel modo più accattivante possibile in modo da non stancare troppo, certo che qualunque cosa abbia fatto non riuscirò mai ad accontentare tutti.  Può darsi che lo che spiegazionismo corrisponda a una mia esigenza interiore di razionalità, di chiarezza, di ordine mentale che fa parte del mio carattere, che rifugge l'irrazionalità. Sento il bisogno di trovare risposte ai tanti perché della vita, e visto che non ho la minima idea di chi sono, da dove vengo e dove sono diretto, lasciatemi almeno spiegare nei miei fumetti chi sono, da dove vengono e dove sono diretti i miei personaggi.

Così è se vi pare

A un certo punto poi bisogna anche considerare che esiste quella che si chiama la “calligrafia dell'autore”. Un certo autore scrive in un certo modo, ha un suo modo di fare; così come Mignacco scrive alla Mignacco, e Boselli alla Boselli, Burattini scriverà alla Burattini. Se non ti piace, non leggerli. Non è che posso scrivere sotto dettatura. Siccome c'è  Tizio che non vuole che Zagor pensi, io dovrei sceneggiare come piace a lui. No, io scrivo come, secondo me, va scritto. Se a lui non piace, ha due soluzioni: o se lo fa piacere, nel senso che rispetto ai tanti pregi quel difetto si può anche tollerare; oppure, se è così insopportabile, non legge le storie di Burattini. 

Concludo facendo notare che io non scrivo e non ho scritto soltanto Zagor. Quando sceneggio Tex o Dampyr uso lo stile di sceneggiatura tipico di Tex e di Dampyr. Dunque rivendico il diritto, quando sceneggio Zagor, di usare lo stile di sceneggiatura tipico di Zagor. Di recente ho pubblicato una raccolta di racconti intitolata “Dall’altra parte”. Sono tutti racconti molto brevi perché non so scrivere racconti lunghi. Non ho mai pensato di scrivere un romanzo. Persino quello intitolato “Le mura di Jericho”, che potrebbe essere definito romanzo (è una storia di Zagor in prosa) non supera le cento pagine.  Sono essenziale, conciso, non mi perdo in descrizioni, racconto una storia senza fronzoli. E dunque? Dov’è lo spiegazionismo? E vogliamo parlare della mia produzione di aforismi? Due antologie, la seconda delle quali si intitola “Sarà bre”. Un titolo che è tutto un programma. Gli aforismi si basano sull’estrema sintesi nell’esprimere un concetto. Dunque si potrebbe dire che ho la battuta fulminante nel DNA. Però, per i detrattori, resterò sempre Moreno Burattini, lo spiegazionista.