Ho pubblicato sul mio blog letterario, "Utili sputi di riflessione" (ci arrivate semplicemente cliccando qui o sul tasto in alto a destra sotto la testata), la recensione del cartonato "Samurai" da poco inviato in libreria dalla Sergio Bonelli Editore. Siccome il libro ha una mia introduzione, di cui riporto alcuni estratti (per leggere la versione integrale bisognerà sfogliare il volume cartaceo), non mi sembra sbagliato fare un copia & incolla anche su "Freddo cane in questa palude", blog dedicato non a ciò che leggo ma a quello che scrivo (che faccio, che penso). Per aggiungere però qualcosa in più, e per rispettare la vocazione di questo spazio a quella che scherzosamente chiamo "un po' di sana polemica", ne approfitto per dire la mia sulla nuova, uggiosa querelle in cui mi è capitato di imbattermi pubblicando sulla mia pagina Facebook una foto di me stesso medesimo che guardo ammirato il bel volume.
Come si sa, per riuscire a lavorare sereno (e soprattutto per riuscire a lavorare tout court, avendo molte cose da fare e poco tempo a disposizione) cerco di evitare di scorrere i commenti sui social, ben sapendo quanto alcuni siano spesso bizzarri o volenosi, o entrambe le cose, e come leggendoli, dopo aver raccolto le braccia che mi sono cadute, avrei voglia di rispondere, magari divertendomi ma poi accumulando ritardi su tutti gli altri fronti.
Tuttavia, mostrando la bella copertina di un bel volume con una bella storia realizzata da grandi autori (non da quelli scarsi di adesso), immaginavo che non ci dovessero essere motivi di polemica. Quindi sono andato a leggere alcuni interventi, sicuro di uscire rasserenato dal breve tour tra i primi commenti.
Mi illudevo. Immancabilmente, ecco subito i contestatori.
Motivo della contestazione? Il titolo dato al volume. Dove sarebbe l'errore? Pur sembrandomi un ragionamento assurdo, io l'ho capito così, sforzandomi un po' di seguirne la logica aliena. Il volume raccoglie un'avventura originariamente apparsa nel 1975 su due albi della Collana Zenith, intitolati "Arrivano i samurai" (n° 168) e "La scure e la sciabola" (n° 169). Secondo gli infervorati detrattori, il cartonato del 2024 avrebbe dovuto recare in copertina uno di questi due titoli. Cioè, a costoro non importa che il libro sia bello o brutto, che si raccolga in un volume di pregio per la prima volta un classico di cinquanta anni fa, che si renda finalmente omaggio a Franco Bignotti. No. La prima cosa che viene in mente di dire ai detrattori è che non va bene il titolo "Samurai".
Che si giudichi un racconto dal titolo, già sembra strano. Ma ancora più strano è che sulla copertina si vede appunto un samurai. Dunque il titolo "Samurai" sembra congruo. No, secondo gli ipercritici bisognava usare uno dei titoli del passato. Ora, non c'è nessuna regola che imponga una cosa del genere, tant'è vero che fin dai tempi della Cepim si sono visti volumi come "Tex contro Mefisto" o "Arriva Mister No" con titoli diversi rispetto a quelli originali dei racconti contenuti all'interno. L'unica regola che vale è scegliere un titolo che funzioni, che non si presti a equivoci o non abbia controindicazioni. "Arrivano i Samurai" non è proprio il miglior titolo della saga zagoriana, ma soprattutto se poteva andar bene all'interno di una collana in cui è chiaro il contesto, non è altrettanto efficace in libreria dove si propone a un pubblico che non è detto conosca l'eroe di Darkwood e che potrebbe chiedersi "arrivano dove?".
"La scure e la sciabola" è sicuramente un bellissimo titolo, ma il lettore più smaliziato di oggi sa benissimo che il termine giusto per indicare l'arma impugnata dal samurai in copertina è una katana. Il titolo appropriato avrebbe dovuto essere "La scure e la katana", dunque. Ad arricciare il naso sarebbero stati allora quelli, e sono tanti, che non apprezzano i tecnicismi o che magari non sanno cosa sia una katana. Tutti o quasi invece sanno chi sono i samurai (magari anche solo grazie a Tom Cruise), il cui nome è esotico ma non ostico, e suscita interesse a tutti i livelli. Un qualunque possibile acquirente che legga il titolo "Samurai" capisce immediatamente quale sia l'argomento, e dato che in libreria potrebbero passare (e passano) tanti lettori di manga, nippofili, amanti del Giappone, eccoli attirati da una parola semplice quanto efficace.
E' evidente che chi ha scelto il titolo "Samurai" (e non sono stato io, dunque non sto difendendo me steso) ha seguito un ragionamento del genere. O magari ne ha seguito un altro, forte comunque di una esperienza pluridecennale nel campo dell'editoria. In ogni caso, è stata la scelta di un competente, uno del mestiere. Ma ecco a contestare alcuni che di mestiere fanno i detrattori, i quali stabiliscono che si sarebbe dovuto fare altrimenti, naturalmente perché lo dicono loro. Già, perché sono tutti editori con i torchi degli altri.
Guido Nolitta
Franco Bignotti
SAMURAI
Sergio Bonelli Editore
2024, cartonato
256 pagine, 28 euro
Per
la prima volta, un cartonato bonelliano dedicato a raccogliere in un
volume a colori e di grande formato un classico della saga di Zagor (una
tradizione che si rinnova ogni anno) non propone ai lettori una storia
illustrata da Gallieno Ferri, ma da Franco Bignotti (1930-1991),
continuando comunque a pubblicare racconti scritti da Guido Nolitta (lo
pseudonimo con cui l’editore Sergio Bonelli, che creò il personaggio nel
1961, firmava i fumetti da lui sceneggiati), da sempre i più amati dal
pubblico degli aficionados zagoriani. Non ci sono dubbi sul fatto che
sia l’avventura che il disegnatore (dando per scontato l’omaggio a
Nolitta) meritassero una edizione di pregio, alla quale ho contribuito
anch’io con una illustrata prefazione di cui riporto qui di seguito
alcuni estratti.
Qualcosa di nuovo sul fronte orientale
di Moreno Burattini
Le
date sono importanti. La storia di Zagor “Arrivano i Samurai”, raccolta
per la prima volta in questo volume, uscì originariamente a puntate su
tre albi della Collana Zenith distribuiti in edicola tra il marzo e il
maggio del 1975. Datato 1971 è invece un film, “Sole rosso”, diretto da
Terence Young e interpretato da Charles Bronson, Alain Delon, Ursula
Andress e Toshiro Mifune. Qual è il collegamento? Chiunque abbia letto
qualche avventura a fumetti dello Spirito con la Scure sa che non si
tratta di racconti definibili come western così come di solito li si
intende, ma che, anzi, le contaminazioni fra i generi sono quasi la
regola. Anche “Sole rosso”, dal canto suo, è una pellicola che intreccia
l’ambientazione del classico Far West con suggestioni esotiche di tipo
diverso: infatti, uno dei protagonisti (quello, anzi, che soprattutto
buca lo schermo) è un samurai, Kuroda, che ha la missione di recuperare
una preziosa spada, dono dell’imperatore del Giappone al presidente
americano Grant, rubata da alcuni banditi mentre viene trasportata in
treno dalla costa occidentale a quella orientale. Sergio Bonelli (che
firmava le sue sceneggiature con lo pseudonimo di Guido Nolitta) era
appassionato cinefilo in grado di citare, a richiesta e con una memoria
prodigiosa, trame, cast e date di infinite pellicole. Più volte l’autore
ha raccontato, nelle sue interviste, come i suoi racconti nascessero
non già da chissà quale lunga elaborazione e da ripetuti aggiustamenti
in corso d’opera, quanto piuttosto istintivamente, assecondando l’estro
creativo di una scrittura che fluiva di getto. Il trucco perché questa
tecnica desse buoni frutti, al di là del grande talento affabulatorio di
cui era dotato, era semplicissimo: Bonelli saccheggiava il grande
magazzino delle letture e dei film che aveva visto, scegliendo quello
che, da ragazzo, lo aveva impressionato, gli aveva fatto paura, lo aveva
lasciato a bocca aperta. Dopodiché, filtrandoli opportunamente, cercava
di trasmettere gli stessi brividi a chi leggeva i suoi fumetti. Zagor è
un eroe trasversale ai generi, e le sue storie come il regno della
contaminazione fra le suggestioni più diverse appunto perché dentro lo
stesso sceneggiatore, consumatore onnivoro di cinema e carta stampata,
ribollivano le idee suggerite dalla fruizione di ogni tipo di “fabula”.
Sicuramente
del background culturale nolittiano facevano parte molti film con
protagonisti dei samurai, a partire da “I sette samurai”, capolavoro di
Akira Kurosawa del 1954, interpretato peraltro anch’esso da Toshiro
Mifune. Della lista fanno di certo parte anche “Harakiri” di Masaki
Kobayashi (1962) e “13 assassini”, di Eichi Kudo (1963). Però, a ben
guardare, è soprattutto “Sole rosso” il principale punto di riferimento,
perché il regista Terence Young porta i samurai nel western, e dunque
opera una contaminazione: un suggerimento irresistibile per uno come
Sergio Bonelli. Peraltro, il guerriero giapponese Kuroda, nel film, ha
la caratteristica di citare di continuo il Bushido, il codice d’onore
dei samurai, cosa che anche Nolitta fa fare al principe Okada Minamoto,
il nobile alla guida di un piccolo esercito personale giunto a Darkwood
direttamente dal Giappone. (…) Come suo solito, Nolitta non si limita a
raccontare una semplice storia d’avventura, ma sfoggia erudizione e
documentazione, descrivendo i samurai con una quantità di informazioni
come raramente capitava di riscontrare nei fumetti popolari degli anni
Settanta. Ma, soprattutto, scava nelle psicologie dei personaggi
scrivendo tavole indimenticabili come quelle del duello fra Zagor e
Minamoto. C’è soprattutto un discorso che l'eroe di Darkwood pronuncia
di fronte a un suo avversario, che descrive perfettamente la filosofia
che guida e sostiene il braccio dell’eroe: "Anche la mia vita, non c'è
dubbio, è segnata dal marchio della violenza - dice lo Spirito con la
Scure al guerriero giapponese che gli sta davanti - ma tra noi esiste
fortunatamente una differenza incolmabile! Se io combatto, se io uccido,
è soltanto perché la situazione di questo meraviglioso ma ancora
selvaggio Paese me lo impone! Un giorno, spero, giuste leggi, mentalità
più aperte smusseranno i punti di attrito tra gli abitanti di Darkwood e
i conquistatori bianchi... in quel preciso istante io rinuncerò senza
alcun rimpianto alla mia immagine di combattente e di guerriero, e sarò
lieto di buttare nel più profondo dei fiumi quella scure che ora
considero un mezzo sgradevole ma indispensabile per ottenere un po' di
giustizia!". Nel 2005, sulla collana Zenith, è apparsa un’avventura che
costituisce il sequel al classico pubblicato in questo volume. Ne è
protagonista il giovane samurai Takeda, che è fra i guerrieri al
servizio del principe Minamoto rimasti in Giappone in attesa del suo
ritorno e che, divenuto un ronin, riceve l’incarico di uccidere lo
Spirito con la Scure, raggiungendolo dovunque si trovi.