venerdì 13 marzo 2020

LA FRANTUMAZIONE DEGLI ZEBEDEI





Un lettore mi ha scritto:
Per favore basta con le mini storie sui Maxi Zagor frantumano gli zebedei... create una storia unica che ti prenda dalla prima all’ultima pagina.

Io ho risposto:
Pensa che pareri contrastanti. "I racconti di Darkwood" hanno avuto plausi entusiastici ovunque e a qualcuno frantumano gli zebedei. 
I sondaggi di opinione dicono che le storie brevi sono preferite contro le lunghe (e difatti le pubblicazioni Bonelli dici uniscono le pagine) ma qualcuno controcorrente ci sarà sempre. In realtà, i Maxi con le storie brevi SONO una storia unica lunga, dato che i racconti sono uniti da una cornice anche molto elaborata (si veda il primo della serie, e l'ultimo uscito). Uno potrebbe leggere quella e saltare le brevi. Peccato perché fra le brevi a volte ci sono delle chicche come, appunto, quelle di Lola Airaghi (che ha ricevuto il Premio Ferri). Il lettore di solito accetta, comunque, un albo meno gradito (ma che può piacere ad altri) confidando nel successivo più gradito (che magari ad altri non piace). 
E' la regola del fumetto serale. Anche negli anni Sessanta, Settanta o Ottanta non tutte le storie piacevano a tutti allo stesso modo. In ogni caso, invece di pretendere albi su misura, basta scegliere ciò che ci piace e scartare ciò che non ci piace: mi sembra una riflessione di una semplicità disarmante.
Il più recente Maxi, "I disertori di Fort Kenton", è comunque una storia unica. Per anni, ci sono state decine di "balenotteri" a storia unica, le antologie di racconti brevi sono state, finora, solo quattro. Antologie, peraltro, come quelle dei color Tex e color Dylan Dog, una formula collaudata che garantisce una offerta variegata per tutti i gusti. Il Maxi di maggio, invece, sarà appunto composto da sei storie brevi più una cornice.
Nel video che segue, ecco una recensione de "I racconti di Darkwood".
In Rete se ne possono trovare molte altre.


sabato 7 marzo 2020

CONFESSIONI DI UN PADRE ZAGORIANO




Sergio Climinti con i figli

Durante un nostro recente incontro a Roma, durante la presentazione del mio libro "Io e Zagor", mi sono trovato a scambiare aneddoti di vita vissuta con Sergio Climinti, amico di vecchia data, e a lungo collaboratore sia di "Darkwood Monitore" che di "Dime Press". Sergio mi ha raccontato la sua esperienza di padre appassionato zagoriano, che è riuscito a trasmettere la sua passione anche ai figli piccoli. Gli ho chiesto di scrivere la sua testimonianza e lui, che sa scrivere molto bene, l'ha fatto. Ecco il suo testo qui di seguito.




CONFESSIONI DI UN PADRE ZAGORIANO
di Sergio Climinti

Fin da piccolo ho sempre preferito il fumetto in bianco e nero, rispetto a quello a colori. Devo però riconoscere che, senza quest’ultimo, difficilmente sarei riuscito a coinvolgere i miei figli nella lettura dei fumetti, in particolare di ZagorCredo che ogni zagoriano che si rispetti abbia pensato, prima o poi, di trasmettere al proprio figlio o figlia, un po’ di quelle emozioni e passioni che nell’infanzia e nell’adolescenza le storie dello Spirito con la Scure gli hanno procurato. Ebbene, ci ho provato anch’io, con risultati insperati, lontani da ogni più ottimistica previsione.

L’interesse dei miei figli per le avventure di Zagor, dunque, è stato possibile grazie alla policromia, offerta per l’occasione dalla Collezione Storica a colori, pubblicata da Repubblica a partire dal 16 febbraio 2012, sulla scia del successo arriso a quella dedicata a Tex.  All’epoca decisi di comprare quei volumi, pur avendo la collezione completa, per una serie di motivi.  Fra questi, la distanza dalla mia personale raccolta, che dopo varie sistemazioni è finita nella casa di montagna, ma anche per la curiosità di vedere le avventure di Zagor con l’ausilio del colore, poiché l’ho sempre ritenuto uno fra i personaggi più adatti a presentarsi in tale veste. Per via del costume e di quello di molti dei suoi avversari, per la cornice naturalistica delle sue avventure, per le acconciature degli indiani e per il particolare tratto di Ferri e Donatelli, i disegnatori principali della serie. Anche i numerosi redazionali che arricchiscono ogni volume hanno contribuito a farmi fare questa scelta. Soprattutto però, perché speravo che potesse piacere anche a mia figlia.



Bianca, all’epoca della riproposta di Repubblica, aveva quasi tre anni. Ogni tanto le davo da sfogliare qualche volume, ma è col n. 35 (11 ottobre 2012), a tre anni e mezzo, che ha cominciato a interessarsi al personaggio. Su quel numero c’è il primo incontro di Zagor con il vampiro. Attratta probabilmente dalla copertina, un giorno mi chiese di leggerglielo, restando così incollata dalla prima all’ultima pagina. Da quel momento, per diverso tempo, cominciò a prendere quel numero da sola, sfogliandolo di continuo. Ogni tanto mi chiedeva di rileggerle qualche sequenza - come quella comica tra Cico e il barone Rakosi o quella in cui il vampiro entra nella stanza del giovane Parkman - ma amava in particolare quella finale, dove il barone, costretto a terra dalla forza di Zagor, ai primi raggi del sole “si porverizza”, come affermava lei. In seguito, si mostrò attratta da altre storie con i mostri. Su tutte, quelle con l’uomo lupo e la creatura anfibia del Dark Canal. Poi c’è stata una pausa, dovuta alla nascita del secondogenito, Tiziano, e al trasferimento in un’altra città. 


Finché un giorno non ho deciso di tornare all’attacco, facendolo peraltro in maniera rigorosa: ho cominciato a leggere ai bimbi tutte le storie del personaggio in ordine cronologico. Solo Bianca mi ha seguito fin da subito. Tiziano ha mostrato meno interesse, almeno fino a quando la pista dell’eroe di Darkwood non ha incontrato quella di Titan. È stato amore a prima vista. Non pago della prima avventura, mi ha chiesto di leggergli anche il secondo incontro con il gigantesco robot. Purtroppo il suo entusiasmo è stato frustrato, perché non appena il mostro d’acciaio ricomincia a camminare, viene immediatamente distrutto. Notando la sua delusione, gli ho dato in mano il volume con la storia di Hellingen scritta da Sclavi, dove c’è un tripudio di arti meccanici che si animano e reinnestano, seguiti da una lunga camminata del colosso fatta di distruzione ed esplosioni, con grandi vignette dalle inquadrature prospettiche a sottolineare l’imponente mole del robot. Devo dire che è rimasto più che soddisfatto, non faceva che sfogliare avanti e indietro le tavole di Ferri. Un entusiasmo che si è riversato anche al di fuori dei confini del fumetto. 

Un giorno abbiamo cominciato a “giocare a Titan”, dove io impersonavo il robot che, a braccia tese e con i suoi pesanti passi, calpestava o superava ogni ostacolo che i due marmocchi mi mettevano davanti nel tentativo di evitare di essere afferrati. Il momento preferito da Tiziano era quando mi saltava alle spalle, dal divano o dal letto, e si attaccava al mio povero collo, a imitazione della storia sclaviana, dove Zagor prima resta appeso alla schiena del mostro, poi la risale rimanendo stabilmente in piedi sulla spalla del gigante. Per un po’ di tempo ho udito spesso fare una precisa richiesta da parte di mio figlio: “Papà, giochiamo a Titan?”

Quando nel 2016 è uscito l’album di figurine della Panini, che io ovviamente ho comprato, Bianca ne ha voluta una copia tutta per sé. È grazie a questo che le è venuta la curiosità per qualche personaggio o episodio che ancora non conosceva. Ha voluto vedere ad esempio l’avventura dove l’eroe si bacia con Frida Lang e mi ha fatto molte domande sulle storie non ancora lette. Da quell’anno, l’appuntamento con le vicende dell’eroe di Darkwood ha avuto un’accelerata. Nel frattempo, Tiziano è cresciuto, così anche lui ha cominciato a seguire con più interesse le storie che gli leggevo.


Cico meriterebbe un discorso a parte. Vi basti sapere che, grazie alla sua fisicità e alle numerose gag che lo vedono protagonista, riscuote quasi lo stesso successo dello Spirito con la Scure. Di lui adorano soprattutto le canzoncine strampalate che inventa: dopo la storia coi Seminoles, i due hanno improvvisato più volte la famosa canzone del messicano, “Il lamento del serpente”. 

Tornando a Zagor invece, in una occasione Bianca mi ha fatto notare come a volte si mostri piuttosto ingenuo di fronte ai suoi avversari, concedendogli sempre una possibilità. Al che le ho spiegato che l’eroe offre questa opportunità ai suoi antagonisti perché anche lui un tempo è stato cattivo, solo che poi si è redento. Per questo talvolta indulge col nemico di turno nell’affibbiargli il giusto castigo e gli concede una chance, perché spera che possa riscattarsi delle proprie malefatte. Proprio come è capitato a lui. Ho concluso dicendole che avrebbe compreso meglio dopo la lettura delle origini del personaggio. Storia che abbiamo letto giusto poco tempo fa.

Bianca oggi ha undici anni, Tiziano sette, e la sera, prima di andare a letto, alterno la lettura di Zagor a quella dei Puffi e Asterix. Tiziano fra i tre preferisce i folletti blu, mentre Bianca - che i Puffi li ha già letti tutti da sola (ben 40 volumi) - predilige lo Spirito con la Scure. Le ho detto che ormai è grande abbastanza da farlo autonomamente, ma lei preferisce che lo legga ancora io, perché “faccio le voci” dei diversi personaggi. Così la sera è una lotta, e la democratica alternanza non sempre funziona.


Ho cominciato a leggere Zagor ai miei figli perché è un personaggio che ho amato molto da bambino e che, soprattutto, è stato capace di procurarmi un immaginario considerevole. Credo sia questo, in fondo, il motivo più importante per cui ho provato a farlo amare anche a loro. Rifugiarsi nel mondo della fantasia – che sia un fumetto, un libro, un film o quant’altro – non è una mera fuga dalla realtà. Perché se talvolta quest’ultima dà la sensazione di schiacciarci, allora quella fuga – se è solo momentanea – aiuta a svuotare la mente, a ricaricare le batterie, per tornare poi ai problemi di tutti i giorni con più leggerezza e serenità. Ritengo che questo sia un grande merito dell’immaginazione, capace di rivelarsi una risorsa che mi piacerebbe adottassero anche i miei figli, un giorno, per affrontare la loro quotidianità.

Certo non mi sarei mai aspettato che potessero diventare addirittura degli esegeti di Zagor.
Qualche giorno fa infatti, li ho sentiti che parlavano dell’urlo dell’eroe di Darkwood. Tiziano, avendo appreso a scuola i primi rudimenti della lingua inglese, ne metteva in discussione la pronuncia. Riteneva che il famoso “Aaahhyakkk!” non andasse letto con l’accento sulla prima “a”, cioè Àayaak, bensì sulla “y”, però aspirata, perché preceduta dalla “h”, ovvero ah?aak.  Vi prego però, non ditelo a mia moglie…