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martedì 12 gennaio 2016

CENTODIECI E LODE





Il 21 dicembre 2015, presso la sede l'Università Uninettuno, è stata discussa una tesi di Laurea su Zagor, che ha fruttato al candidato Massimo Barison il 110 e lode. Il titolo esatto dell’elaborato è “L’evoluzione del linguaggio del fumetto popolare italiano: Zagor, dal 1961 ad oggi”, la Facoltà quella di Scienze della Comunicazione. Barison individua nelle “dime novels”, o comunque nel pulps magazines, il punto di origine del percorso che ha portato alla nascita dello Spirito con la Scure, personaggio che comunque poi ha seguito una evoluzione in grado di rappresentare un perfetto specchio dello sviluppo del linguaggio del fumetto. Singolarmente, anche io mi sono laureato in Lettere con una tesi simile (sul sottofondo letterario nella sceneggiatura dei comics) e con lo stesso voto. 

Il dottor Barison (mi fa piacere chiamarlo così, anche se siamo diventati amici durante i mesi in cui Massimo ha redatto la sua Tesi) è venuto a consegnarmi in redazione il suo elaborato, che contiene anche una intervista al sottoscritto (oltre che una ditta disamina di molte mie storie), che pubblico qui di seguito.

La Laurea di Massimo Barison


Moreno Burattini e Massimo  Barison
INTERVISTA A MORENO BURATTINI

1) Nel suo blog “Freddo cane in questa palude”, lei afferma che lavorare nel campo dei fumetti è stato un sogno che si è avverato, ma con  Zagor si è cimentato anche nella scrittura di un vero romanzo, “Le mura di Jericho”. Che differenze ha riscontrato nello scrivere opere così diverse tra loro, anche se con  lo stesso protagonista? 

La principale differenza è consistita nella maggior fatica nel portare avanti la narrazione. Ogni medium ha il suo codice espressivo caratterizzato da regole proprie, e non è detto (anzi, è detto il contrario) che un autore sappia padroneggiare allo stesso modo i vari mezzi di comunicazione, anche qualora si tratti di usare tecniche in qualche modo paragonabili. Sceneggiando fumetti, io descrivo la scena da illustrare a un disegnatore, e gli indico i dialoghi perché lui possa far “recitare” i personaggi. Si potrebbe pensare che passando a scrivere la stessa scena in una prosa letteraria, il passaggio sia tutto sommato semplice. Non è così. Lo scrittore deve far “vivere” al lettore quel che racconta (mostrandoglielo davanti agli occhi e suscitandogli emozioni)  usando la suggestione delle parole, e serve un talento specifico. Io riesco a “vedere” la scena che verrà disegnata prima ancora che l’illustratore impugni la matita, e ho l’esperienza che serve per scegliere il numero giusto di vignette che sappiamo dare il ritmo più adatto a ogni sequenza: anche per questo serve un talento specifico. Sono tanti i casi in cui degli sceneggiatori di fumetti hanno scritto pessimi romanzi e altrettanti quelli di romanzieri anche famosi che non si sono rivelati in grado di sceneggiare un buon fumetto. Non mancano comunque esempi di autori bravi in entrambi i campi (Gianfranco Manfredi ne è uno, Tiziano Sclavi un altro). Mauro Boselli, di recente, ha scritto un’ottima novelization della vita di Tex Willer con la narrazione in prosa delle sue principali avventure collocate in ordine cronologico, e del resto Giovanni Luigi Bonelli si definiva “un romanziere prestato al fumetto e mai più restituito”. Nel mio piccolo, io ho provato a passare da un campo all’altro e credo di aver ottenuto un risultato dignitoso. Tuttavia, appunto, sudando sette camicie prima di potermi dire soddisfatto, e faticando su ogni riga.

 
La parte della Tesi in cui l'autore si occupa di Mortimer
2) Roland Barthes, semiologo del novecento,   definisce “scrivibile” la narrativa contemporanea, marcando una profonda differenza tra il modo classico di fare letteratura, dove la comunicazione narrativa tra Narratore (sorgente) e Lettore (ricevente) è di tipo bivoca e lineare e al lettore viene lasciato un ruolo passivo. In questo contesto, il testo narrativo è perfettamente “leggibile” e verosimile, ma non “scrivibile”.?Con il testo narrativo contemporaneo il lettore può “accedere pienamente all’incanto del significante”, alla “voluttà della scrittura”, sempre secondo Barthes, in quanto la comunicazione è multilineare, polifonica, ipertestuale e multilivello. A tal proposito si pensi alla narrazione dei videogames. Nello scrivere il fumetto di Zagor, che tipo di approccio ha con il lettore finale, “classico” o “contemporaneo”? 

Senza voler contestare Barthes, non credo che esista un solo lettore “passivo” di fronte alla comunicazione narrativa. Umberto Eco del resto ha scritto un saggio intitolato “Lector in fabula” in cui si analizza il ruolo del fruitore di fronte a una narrazione. Per quanto, indubbiamente, sceneggiando un fumetto come Zagor si usi un approccio “classico”, chi legge sarà chiamato a metterci del suo aggiungendo alle vignette il collegamento logico fra l’una e l’altra, i sonori, il movimento, i colori, la percezione dell’espressività mimica dei personaggi, la loro voce, una certa idea del freddo o del caldo, del vento o della pioggia, eccetera, fino ad arrivare alla simpatia o all’antipia suscitata da un character o da un altro, e dunque al coinvolgimento emotivo che varia inevitabilmente da lettore a lettore. Mi è capitato più volte di constatare, inoltre, come ogni appassionato abbia una sua propria, personale visione dello Spirito con la Scure: per qualcuno è un realistico personaggio western (e si contesta il suo uso in avventure di taglio fantastico), per altri è il protagonista di racconti horror (e si contesta il suo uso in avventure di taglio puramente western), per altri ancora è un cupo character da tragedia greca, con il peso sulle spalle del dramma personale che lo ha reso un dark hero, mentre per qualcuno si tratta di un tipo solare. La verità è, ovviamente, nel mezzo: le avventure di Zagor sono una contaminazione fra generi e lui incarna, in modo originale, le diverse sfaccettature dell’eroe positivo ma anche duro e determinato, facile al sorriso ma pronto a scatenare l’ira funesta del buono che si indigna. Ebbene: ogni lettore vorrebbe però storie scritte solo per lui, secondo la percezione che ha del protagonista. Due parole infine sull’etichetta di “classico” e di “contemporaneo”. Lo Spirito con la Scure è un personaggio nato nel 1961, e dunque nel 2015 ha festeggiato 54 anni di vita. C’è una tradizione da rispettare. I lettori apprezzano la “riconoscibilità” dell’eroe e disapprovano le innovazioni che scardinino troppo le consuetudini. Tuttavia, lentamente, gli autori di Zagor hanno fatto evolvere i loro stili grafici e narrativi in modo da adeguarli ai tempo, senza tradire l’ “ortodossia” nolittiana (Guido Nolitta, alias Sergio Bonelli, è stato il creatore letterario del personaggio).

Massimo Barison


3) Nei fumetti,  in particolare quelli d’avventura, il disegno assume un ruolo fondamentale nel descrivere scene drammatiche e veloci, ma anche lo “spazio bianco” che esiste tra una vignetta e l’altra, quello che Scott Mc Cloud definisce la “clousure” ha la sua importanza. Qual è la sua tecnica nel decidere cosa far disegnare e cosa lasciare  all’immaginazione del lettore?

Non manco mai di citare Scott Mc Cloud delle mie conferenze in giro per le scuole di ogni ordine e grado, e alla “clousure” ho dedicato un capitolo della mia tesi di laurea. Però, quando sceneggio, dimentico la teoria e mi affido alla pratica. Prima di essere uno scrittore di fumetti ne sono un lettore, cresciuto leggendoli. Ho il linguaggio del fumetto nel sangue (in particolare, quello interpretato dalla tradizione bonelliana) e non assecondo il mio gusto e il mio istinto. Immagino la scena disegnata e mi rendo immediatamente conto se può funzionare oppure no. Ho imparato tecnica e mestiere in venticinque anni di attività (pur avendo iniziato con una buona base di partenza dovuta appunto alla mia lunga frequentazione quale divoratore di avventure degli eroi di carta), e oggi riesco a visualizzare in modo piuttosto immediato quel che vado descrivendo nelle mie sceneggiature. Ma che si agisca meditandoci su con il manuale di Mc Cloud aperto sul tavolo da lavoro, o si scriva di getto (come faccio io), alla fine quel che conta è che ogni sequenza conti il giusto numero di vignette (né una di più, né una di meno). Se c’è un movimento, il passaggio da A a B deve essere comprensibile (o manca qualcosa), e non deve essere inutilmente lento (altrimenti, c’è qualcosa in più).


4) Le storie di Zagor che i lettori hanno più amato nel corso degli anni, sono quelle in cui avviene una narrazione odeporica, dove il viaggio e l’allontanamento da situazioni note (per Zagor la foresta di Darkwood) assume il pretesto per ridefinire la propria identità.  Allontanare Zagor da un “non luogo” come Darkwood per calarlo in ambienti geograficamente reali potrebbe aumentare l’identificazione del lettore con il protagonista ma al tempo stesso si rischia di snaturare il “carattere” del personaggio e quindi di renderlo sempre meno credibile di coerenza in un contesto di storytelling. Esiste questa possibilità o a un personaggio dei fumetti è comunque tutto permesso?

Zagor si allontanato da Darkwood molte volte. L’ultima, per compiere un viaggio attraverso tutto il Sud America fino alla Terra del Fuoco. Ma è stato anche nell’estremo Nord (in Alaska, Groenlandia, Islanda), sulla costa del Pacifico, in Messico, nei Caraibi, in Scozia, in Africa. Quando lo Spirito con la Scure esce dalla sua foresta incantata, incontra la Storia con la “S” maiuscola, ed eccolo incontrare (per fare un esempio) Charles Darwin; ma percorre anche itinerari geografici rintracciabili sulle carte e sulle mappe cittadine, come nel caso della sua visita in Perù, o in Cile. I viaggi e le trasferte fanno ormai parte del personaggio (fu Guido Nolitta il primo a inaugurare la tradizione di questi spostamenti periodici), per cui non c’è più alcun rischio di “snaturamento”. Del resto, Zagor si comporta da Zagor anche in capo al mondo.

Massimo Barison con la sua tesi


5) In un testo narrativo, e quindi anche in un fumetto, i  personaggi sono molto importanti . Ad essi è attribuita la responsabilità di portare avanti l'azione e  il racconto. Secondo Aristotele, nel personaggio esiste l’unione tra Pratton (colui che agisce) e Ethos (ciò secondo cui diciamo che chi agisce ha una propria “qualità” o Carattere, appropriato e conveniente (harmótt?n) all’azione compiuta  Il personaggio può essere definito statico (quando non cambia mai e sempre uguale a se stesso), dinamico (con cambio di atteggiamento, idea o ideali durante il racconto), piatto (quando la descrizione è sommaria e stereotipata) o tutto-tondo (quando si conoscono tutti gli aspetti, sia esteriori che interiori). Come definirebbe il personaggio di Zagor? Come è cambiato nel corso dei suoi 54 anni di vita editoriale?

Zagor è un personaggio “problematico”, nel senso che, diversamente da Tex, si pone dubbi, non divide nettamente il mondo in buoni e cattivi, ascolta le ragioni degli altri e cerca di capirne le motivazioni, rispetta gli avversari sconfitti e talora si dispiace per la loro morte. Suda freddo, soffre, stringe i denti, non è infallibile. Vince attraverso la sofferenza, non è invulnerabile né tetragono. Questo significa che può, se la storia lo richiede, cambiare idea. A volte lo abbiamo visto lasciar fuggire dei criminali a cui stava  dando la caccia, dopo essersi convinto del fatto che abbiano già espiato o che si meritino una seconda possibilità. Zagor è nato così già dal primo numero, quando si lascia convincere ad accogliere Cico nella sua capanna nonostante inizialmente avesse negato l’evenienza. Nella stessa avventura, senza l’aiuto del messicano lo Spirito con la Scure sarebbe morto più volte, segno appunto dell’ “umanità” del personaggio.


6) Anche il ruolo del personaggio è diversificato in protagonista, antagonista, oggetto, aiutante e avversario. Quanto sono stati importanti per il successo editoriale di Zagor i diversi ruoli dei personaggi? Può fare degli esempi?

I miti e leggende di ogni popolo basano la cosmogonia sull’eterno conflitto del Bene contro il Male. Lucifero si ribella a Dio e diventa il Nemico per antonomasia, il Serpente insidia Eva e dà origine a ogni guaio e dolore che affligge l’umanità. E tutta la Storia del mondo si deve leggere, secondo la Bibbia, come la lotta contro le insidie del demonio. Il finale è già scritto, e forse prevedibile, come nella migliore tradizione dell’happy end: sappiamo che il Bene trionferà nell’ultimo giorno. Passando dal macrocosmo dell’escatologia al microcosmo della letteratura, una delle regole principali della fiction è che i buoni debbano lottare contro dei grandi cattivi, per tenere i fruitori incollati al racconto, sia che si tratti di un romanzo, di un film, di un telefilm o di un fumetto. Chi sarebbe James Bond, se invece di salvare il mondo dovesse occuparsi di piccola criminalità? Un  questurino qualunque. Invece, ogni volta di fronte organizzazioni criminali potentissime, gestite da supernemici pericolosissimi, e in ballo c’è sempre il destino del pianeta. Perché una storia sia interessante, occorre che ci sia una posta in gioco interessante. Se un eroe lottasse contro ladri di galline per recuperare il pollo rubato alla vecchia massaia, chi e ne frega. Ma se la lotta è fra un eroe e un grande cattivo, degno di questo nome, allora sì che il racconto è avvincente. Per questo inventare grandi cattivi è importante quanto inventare dei buoni eroi. E altrettanto difficile. L’esempio di James Bond è paradigmatico perché sottolinea la necessità, per gli eroi cosiddetti “seriali”, di un continuo ricambio di avversari sempre nuovi e sempre più pericolosi. E se molti  personaggi dei fumetti sono, senza dubbio, eroi seriali, sicuramente lo sono quasi tutti quelli bonelliani. Grazie a Guido Nolitta, i mostri incontrati e combattuti dallo Spirito con la Scure sono maneggiati dagli autori con indiscutibile buon gusto e profondo rispetto per il lato oscuro della realtà, senza ricerca gratuita dell'effetto splatter. L'orrore secondo Nolitta non è mai insulso, ma cerca di scavare nell'animo e non di rado lascia un nodo alla gola, proponendoti alla fine il dubbio se anche il mostro non abbia diritto alla pietà. Per convincersene, basterebbe leggere (o rileggere) avventure come "L'uomo lupo", "Acque misteriose" o "L'orrenda magia", dove il licantropo, la creatura della Laguna Nera e l'Uomo Tigre si rivelano alla fine più vittime che carnefici. Nella serie di Zagor, i cattivi che sono rimasti nella mente dei lettori sono assai più numerosi che in quella di Tex. Forse per la natura della serie, più votata al fantastico, gli antagonisti dello Spirito con la Scure, sono decisamente eterogenei: scienziati pazzi, vampiri, stregoni, pirati, avventurieri, alieni, esseri mitologici e sovrannaturali.  Senza dubbio è Hellingen il villain principe della saga di Zagor. Classico scienziato pazzo, ispirato alle fattezze fisiche del Virus di Pedrocchi e Molino, il professor Hellingen, è sicuramente un genio, visto che con un buon secolo di anticipo si è creato televisori, radiocomandi e robot, ma la sua intelligenza e tutta votata al male. Il suo scopo è quello, chiaramente, di conquistare il mondo, e altrettanto ovviamente l’eroe in più occasioni, al termine di mitici episodi, riuscirà a fermarlo.  Il vampiro Bela Rakosi,  si colloca di diritto alle spalle del mad doctor, Non fosse altro perché è il degno protagonista di una delle più belle e terrificanti avventure della serie. Nella sua prima apparizione, il vampiro, grazie ai suoi straordinari poteri, dà del filo da torcere al nostro eroe fino ad un epico scontro all’alba che vede incenerito il malcapitato barone; ma niente paura, è difficile uccidere un non-morto, Rakosi tornerà ancora a scontarsi con lo Spirito con la Scure.
Del periodo classico di Zagor meritano una menzione anche Supermike, che riesce a insidiare il ruolo dello Spirito con la Scure presso i pellerossa, e Kandrax, un potente druido celtico che arriva dal passato dopo essere stato ibernato in una teca di cristallo. Dagli anni novanta il personaggio vive una seconda giovinezza editoriale, rinvigorito dall’ingresso nel cast di nuovi personaggi sia positivi che negativi, Zagor riesce a riconquistare il favore del pubblico. Tra i cattivi di questa nuova ondata segnaliamo un personaggio dalla personalità complessa, l’affascinante avventuriero Nat Murdo, spietato assassino in America, leggendario eroe in Scozia; la bella Madame Laveau, disegnata sulle fattezze di Naomi Campbell, un’intrigante e perfida sacerdotessa vudu  e il diabolico Mortimer,  genio del crimine senza scrupoli, che non esita ad allearsi e poi a servirsi anche di vecchi nemici di Zagor per raggiungere i suoi scopi.

7) Secondo lei Zagor è pronto per essere raccontato all’interno di un graphic novel oppure è possibile individuare delle storie già pubblicate in passato che corrispondono a questo genere?

Dovremmo prima capire che cosa si intenda per graphic novel. Se con questa definizione vogliamo indicare racconti a fumetti che abbiano la lunghezza e la dignità di un romanzo, direi che la maggior parte delle storie di Zagor corrispondano a questa accezione. L’unico problema è dato dalla serialità del personaggio, che non garantisce piena autonomia di lettura delle singole avventure. Ma individuando quelle in cui anche il lettore non “iniziato” riesca a capire il ruolo e le caratteristiche del protagonista e dei comprimari più ricorrenti che, nelle singole puntate della saga, vengono dati per scontati, indubbiamente la serie propone storie di un certo spessore. E, volendo, altre se ne potrebbero scrivere appositamente. I tre “albi giganti”, definiti comunemente “Zagoroni”, sono, secondo me, tre graphic novel.

venerdì 1 gennaio 2016

BILANCIO DI FINE ANNO



Scrivo il primo gennaio 2016, a poche ore dalla fine dell'anno di (dis)grazia 2015, tentando di fare un bilancio di quello che gli ultimi 365 giorni hanno portato nella mia vita. Non quella privata (piena di virtù) ma quella pubblica (piena di vizi, come non mancano di sottolineare i detrattori). Del resto, però, pubblico e privato nella mia esistenza si mescolano in un tutt'uno difficile da sbrogliare: come dimostrano gli "Utili sputi di riflessione" che ho dato alle stampe in primavera, pieni di confessioni inconfessabili, sono portato a mettermi a nudo spesso e volentieri attraverso i miei spazi in Rete, così come non mi nascondo visto il gran numero di eventi a cui partecipo. Negli ultimi dodici mesi questi eventi sono stati davvero tanti e importanti, tra cui due che si sono svolti all'estero, in Serbia e in Croazia.

Da sinistra: Joevito Nuccio, Walter Venturi, Marcello Mangiantini e il sottoscritto a Zagabria.

Il 2015 è stato l'anno di Charlie Hebdo: non riesco a partire se non da questo, maledendo una volta di più la follia di chi pretende di censurare con la violenza cieca la libertà di espressione degli altri, compresa la mia, facendolo per di più in nome di una religione (e vien da chiedersi se il mondo non sarebbe un posto migliore senza religioni, come cantava John Lennon). 
Tuttavia, l'anno che è venuto è stato anche quello delle mie nozze d'argento con il fumetto, intendendo la professione che sono riuscito a farne dalla passione che era e che è. Il mio primo racconto, "Amore filiale", uscì infatti sul n° 7 della rivista "Mostri" della Acme, datato settembre 1990. La ricorrenza ha fatto sì che a Cosenza mi sia stato assegnato il Premio Andrea Pazienza "alla carriera", ricevuto dalle mani di Marina Comandini Pazienza in persona.


Nel febbraio 2015 sono stato invitato da Alice Sobrero, Assessore alla Cultura del Comune di San Marcello Pistoiese (dove sono nato), per vedere come organizzare un evento che festeggiasse in qualche modo questo anniversario. Dalle idee che sono venute fuori è nata la necessità di coinvolgere un livello più alto di pubblica amministrazione e il progetto è finito nelle mani dell'Ufficio Cultura della Provincia di Pistoia, dove Marco Tempestini e Lisa Di Zanni (insieme al loro staff) hanno allestito, dopo un lavoro durato alcuni mesi, la mostra "Da Gavinana a Darkwood - La vita a fumetti di Moreno Burattini", ospitata presso lo storico Palazzo Achilli di Gavinana (la frazione di San Marcello dove c'è la mia casa natale).

Disposta su tre piani, la mostra ha meravigliato me per primo, ed è stata apprezzata da centinaia e centinaia di visitatori, al punto che, dopo essere stata inaugurata il 25 luglio, è stata prorogata fino al gennaio 2016. Walter Venturi ha illustrato una bellissima locandina in cui Zagor combatte fianco a fianco con Francesco Ferrucci (il capitano fiorentino morto in battaglia nel 1530 proprio a Gavinana) e per mesi si sono succeduti incontri e visite guidate, comprese quelle di alcune scolaresche e perfino una del Touring Club. Fra le altre cose, proprio a Palazzo Achilli si è svolto il raduno del forum zagoriano SCLS, con varie decine di appassionati in maglietta rossa giunti da tutta Italia: una gran bella festa.

A fare da ideale catalogo di questa mostra del venticinquennale, Laura Scarpa ha voluto dedica a me un volume della collana "Scuola di Fumetto", da lei diretta. Per questa serie, io avevo scritto in veste di saggista tre titoli (su Ferri, Ticci e Nolitta, realizzati insieme a Graziano Romani), mi ha fatto un certo effetto vedermi diventare "oggetto" della disamina. Non so se la scelta di occuparsi del sottoscritto piuttosto che di altri autori più bravi e conosciuti abbia pagato a livello di vendite (credo però che i risultati non siano scoraggianti) ma ringrazio Laura per la fiducia.

A proposito di libri, nel corso del 2015 ne sono usciti ben quattro a mia firma. Il primo è il già citato "Utili Sputi di Riflessione", edito da Allagalla e presentato al Salone del Libro di Torino: una raccolta di aforismi e di battute che, a fine anno risulta praticamente esaurito (ne restano poche decine di copie su una tiratura di mille esemplari). Ho presentato il volume in numerose presentazioni (altre due sono in programma per gennaio) tra cui una nella prestigiosa sede del Megastore Mondadori di via Marghera a Milano: ogni volta c'è stato da ridere e da divertirsi, come potranno testimoniare gli intervenuti.



Per Allagalla è uscito anche "Tex secondo Letteri", scritto con Stefano Priarone: un saggio sulla vita e l'opera di Guglielmo Letteri, uno dei più amati disegnatori di Aquila della Notte scomparso ormai da dieci anni: questo volume è stato presentato a Lucca Comics. A Lucca ha avuto il suo battesimo anche il libro "La capanna nella palude e altri racconti", pubblicato da Cartoon Club: si tratta della riedizione del romanzo zagoriano "Le mura di Jericho" con il corredo di altri due testi di cui uno inedito: il tutto, con una copertina inedita di Gallieno Ferri.

Per finire, in agosto è uscito: "Poesie ritrovate", una antologia di versi inediti del poeta Giuseppe Geri (a cui ho dedicato alcuni miei studi), curati da me e preceduti da un mio saggio critico. L'edizione è stata curata dall'Associazione Domenico Achilli di Gavinana. Anche in questo caso ci sono state delle presentazioni, tre in tutto, tra Pistoia e Lucca.

Per completezza di bilancio segnalo anche le illustrazioni da me realizzate per il libro "Un nuovo amico per il Signor Stravideo", di Bruno Santini. Bruno, attore oltre che scrittore, ma anche conduttore televisivo e radiofonico, mi ha chiesto di disegnare la nuova avventura del suo Signor Stravideo (giunto al terzo racconto) ed io, per amicizia, pur sentendomi (ed essendo) inadeguato, in sono cimentato anche come illustratore, memore di quando realizzavo tutto da solo le storie di Battista il Collezionista (personaggio, questo, riscoperto proprio nel 2015 dalla rivista telematica "Sbam!" che ha pubblicato alcune tavole apocrife - da me autorizzate, beninteso).

Il Signor Stravideo 

Non si contano i testi scritti quali introduzioni a libri altrui o a corredo di cataloghi, riviste e portfolio. Ne citerò solo uno perché mi sembra particolarmente ben riuscito: è l'introduzione all'edizione di lusso della storia di Tex di Paolo Eleuteri Serpieri, pubblicata da Lo Scarabeo. Tra i testi scritti si possono annoverare anche quelli pubblicati su questo blog (47 articoli in tutto in un anno), ma il 2015 ha portato alla nascita anche un secondo spazio del genere, il blog letterario "Utili Sputi di Riflessione", in cui recensisco libri (61 articoli tra luglio e dicembre). Se non lo avete ancora visto, potreste andare a curiosare: c'è un tasto apposito che vi ci porta proprio sotto la testata del titolo "Freddo Cane in Questa Palude"."Freddo Cane in Questa Palude" che, lo segnalo, nel corso del 2015 ha superato il milione di pagine visualizzate dal giorno della sua apertura.

I dodici mesi appena trascorsi mi hanno anche permesso di realizzare un vecchio sogno: collaborare con "Il Vernacoliere", il mensile satirico livornese rimasto l'ultimo baluardo in Italia delle pubblicazioni di questo tipo (peraltro, lo si può rintracciare nelle edicole di mezza Italia e non ha diffusione soltanto locale). Dal gennaio 2015 compare infatti sulla rivista una mia rubrica intitolata "I dieci domandamenti", che il direttore Mario Cardinali ha voluto far proseguire (bontà sua) nel 2016.
In campo teatrale ho avuto la fortuna di avere la mia commedia "Il vedovo allegro" in cartellone a Firenze da Capodanno fino a marzo, e lo stesso testo tradotto in romagnolo rappresentato nel corso dell'anno in numerose città della Romagna.

Con Gallieno Ferri alla presentazione del n° 600 di Zagor
Sul versante fumettistico, segnalo le classifiche bonelliane di Saverio Ceri su "Dime Web". Nell'imperdibile puntata di fine dicembre della rubrica "Diamo i numeri" (che è stata a lungo ospitata anche qui, su "Freddo cane in questa palude", come forse ricorderete), Saverio dice che nel corso degli ultimi dodici mesi sono stato il quarto sceneggiatore bonelliano più pubblicato, con 1090 tavole, dopo Boselli, Manfredi e Medda (tutti autori che, però, hanno potuto contare su tre serie ciascuno mentre io mi limito a Zagor). Sono quarto anche nella classifica dell'ultimo decennio (in questo caso dopo Boselli, Vietti e Ruju).

Raffaele De Falco modera l'incontro con me e Walter Venturi a Cosenza

Le mie storie zagoriane del 2015 sono state: "Corsa disperata", illustrata da Joevito Nuccio (divenuto uno Zagorone in Croazia), "Il passato di Guitar Jim", a colori, realizzata da Bane Kerac (uscito come cartonato in Serbia), "La pista della speranza", affidata a Oliviero Gramaccioni (è il racconto che preferisco), e il ritorno di Hellingen illustrato da Ferri, Sedioli e Verni (ne vado fiero, anche se c'è chi l'ha paragonato a uno scarafaggio: una finezza di disamina che ben qualifica il livello critico dell'illustre recensore). A questi albi si aggiungono le ristampe dei miei Cico, a colori, da parte delle Edizioni If, a cui collaboro con un testo di commento su ogni numero. I miei testi di commento hanno accompagnato al traguardo anche i volumi della Collezione Storica di Repubblica, giunti al duecentesimo titolo: un risultato stratosferico. Anche se la serie si è conclusa proprio in questo dicembre, chissà che in futuro non possa riprendere le pubblicazioni come è accaduto per Tex. Questo è stato il mio anno. Ci sarebbe, probabilmente, da esserne contenti, se non ci fosse stato Charlie Hebdo e se non ci fosse chi vede scarafaggi per ogni dove, cose che mi riempiono di ansia. Anche per lo Xanax, si dice, il 2015 è stata un'ottima annata.


mercoledì 2 settembre 2015

CICO GALEOTTO




E' in edicola da qualche settimana il n° 14  della collana a colori bimestrale dedicata dalle Edizioni If alla riproposta degli albi di Cico in ordine cronologico (quelli originariamente usciti, in bianco e nero, sotto il marchio Bonelli tra la fine degli anni Settanta e il 2007). Si tratta di "Cico Galeotto", con testi mie e disegni di Francesco Gamba. A corredo del racconto a fumetti c'è, come di consueto, un mio commento. 

Nell’editoriale pubblicato in apertura della prima edizione di “Cico galeotto”, nel dicembre 1996, Mauro Boselli scriveva: “Secondo noi Cico non è un tipo ridicolo, pasticcione, tontolone, scansafatiche e codardo, ma un eroe, un eroe sul serio! Chi altri potrebbe sopportare tante disavventure senza perdere mai il sorriso e la voglia di lottare?”. In effetti, nell’albo che avete tra le mani, il nostro messicano (dopo tutte le sciagure che gli sono capitate negli episodi precedenti) si ritrova ingiustamente accusato di tentata strage e condannato addirittura all’ergastolo. Eppure eccolo a lottare per sopravvivere nel duro ambiente del penitenziario e cercare di fuggire. Lo spunto offre la possibilità di mettere in parodia gli stereotipi dei romanzi e dei film carcerari. La prima battuta è quella del nome della prigione: Sky Queen, cioè “Regina Coeli” traducendo in inglese dal latino. 

Walter Long è "il Tigre" in "Muraglie"

Il punto di riferimento principale, come non sarà sfuggito ai più attenti cacciatori di citazioni, è il film “Muraglie” (“Pardon Us” nell'originale americano) un film del 1931 diretto da James Parrott con la formidabile coppia Stan Laurel & Oliver Hardy. Stanlio e Ollio finiscono dietro le sbarre per aver cercato di vendere la loro birra artigianale a un poliziotto durante il proibizionismo e fra le dure (ed esilaranti) prove che devono affrontare c’è anche lo scontro con un galeotto particolarmente truce, temutissimo da tutti i compagni di prigionia, soprannominato “il Tigre”. A interpretare il losco ceffo, in modo molto efficace, è Walter Huntley Long (1879-1952), che dopo questo primo film con Laurel & Hardy ne girò con loro molti altri, sempre nel ruolo del cattivone che terrorizza i due comici. 



Ma ci sono, in  Cico galeotto”, molte altre allusioni: una, per esempio, è quella suggerita dalla gag in cui il messicano compie un atto di prepotenza contro un altro detenuto (apparentemente inerme) e costui si rivela essere il direttore del carcere travestito per indagare sugli atti di bullismo tra le mura del suo istituto. Qui il riferimento è a “Brubaker”, una pellicola del 1980 diretta da Stuart Rosenberg e interpretata da Robert Redford, appunto a capo di un penitenziario in cui si fa rinchiudere, fingendosi un detenuto, per verificare come si vive nelle celle. Fairfax Abbott, il vecchietto che scava tunnel cercando di evadere è una strizzata d’occhio all’Abate Faria, uno dei personaggi de “Il conte di Montecristo” di Alexandre Dumas (1844). Ma non sfuggano i riferimenti anche a “Fuga da Alcatraz” (“Escape from Alcatraz”), film del 1979 diretto da Don Siegel e interpretato da Clint Eastwood, che ha ispirato, per esempio, la scena in cui i detenuti di Sky Queen tentano si sfuggire ai lavori forzati con atti di autolesionismo. Infine, andate a controllare sul dizionario che cosa significano in italiano i nomi dei due politici in lizza per la carica di governatore: Swindler e Rascal. In nomen omen.

giovedì 13 agosto 2015

POESIE RITROVATE



Giovedì 6 agosto, a Gavinana (PT), ho presentato, in una affollata piazzetta sotto il campanile delle pieve,  un mio nuovo libro: la raccolta commentata di oltre cento “poesie ritrovate” del poeta Giuseppe Geri. A questo autore, che si firmava “Geri di Gavinana”, avevo già dedicato un altro lavoro, "Il poeta delle piccole cose"). Le liriche sono state lette dall’attore Bruno Santini, applauditissimo dal pubblico. Della serata, Marco Ferrari ha fatto un esaustivo resoconto sulla rivista on line “Linee Future”, e ovviamente ne hanno parlato i giornali e le TV locali.

Il titolo “Poesie Ritrovate” fa riferimento al fortunato caso che ha messo a mia disposizione, e a disposizione di tutti, tre grossi quaderni contenenti alcune centinaia di composizioni inedite del cantore montanino. Si tratta di un tesoro di poesia ma anche e soprattutto di umanità, di sentimenti, di emozioni e di memorie. Memorie di un uomo ma anche di un territorio, di un’epoca, di una identità culturale. Per quanto le opere del Geri siano note soprattutto in ambito locale, non soltanto sulla montagna pistoiese ma anche in Garfagnana dove visse a lungo, lo spessore letterario e artistico della sua produzione trascende di gran lunga i limiti in cui si è diffusa e raggiunge valore universale. 

Giuseppe Geri nacque a Gavinana (nel come di San Marcello, in provincia di Pistoia) il giorno di Ognissanti del 1889. Frequentò soltanto la terza elementare, per il resto fu completamente autodidatta. Fu un “poeta operaio” e poi un “poeta pensionato”. Lavorò nelle officine di Limestre fino agli anni Trenta, poi per motivi aziendali fu costretto a trasferirsi a Fornaci di Barga, in provincia di Lucca. Fece spesso ritorno a Gavinana, quando il lavoro glielo permetteva, e anche a Fornaci non mancò di conquistare la simpatia degli abitanti del luogo, continuando a poetare nella sua nuova casa. Nel suo paese d’adozione fu così stimato e considerato che gli è stata dedicata persino una via.

Geri non si sposò mai, e scrisse di considerare la “musa” come una moglie e i suoi sonetti come dei figli. Morì nel 1975, e come aveva chiesto tornò a Gavinana per esservi sepolto.  Dotato di un innato senso metrico e di fresca inventiva poetica, durante tutta la vita scrisse poesie, rispondendo a un bisogno insopprimibile del suo animo. In una composizione dedicata al romano Trilussa, il pistoiese scrive: 

E pure sento anch’io, signor Trilussa,
quest’arte come un impeto divino
che tante volte all’anima mi bussa.


Luigi Russo

Alcune di queste composizioni vennero fatte leggere, all’inizio degli anni Venti, al critico letterario siciliano Luigi Russo (1892-1961), noto per i suoi studi sul Metastasio, professore universitario a Firenze e poi direttore della Scuola Normale di Pisa. Al Russo, che trascorreva sulla montagna pistoiese molti dei suoi momenti di vacanza, non sfuggirono del doti del poeta illetterato e si impegnò per promuovere la pubblicazione delle sue composizioni in una silloge intitolata “Fiori di bosco”, edita da Vallecchi nel 1929. In seguito, quando il professore compilò alcune sue antologie di poeti italiani a uso degli studenti delle scuole medie e superiori, non mancò di inserire qualche lirica del gavinanese. Commentando la propria presenza accanto a quella di figure quali Pascoli o D’Annunzio nel florilegio intitolato “L’ora mattutina”, Giuseppe Geri scrive:

Fra tutti quei colossi
io qui ci rappresento
come se non ci fossi
o edera aggrappata a un monumento.


Dopo “Fiori di bosco”, le poesie del cantore montanino comparvero su varie riviste e furono anche diffuse attraverso un intenso carteggio con letterati di tutta Italia. Sarebbero auspicabili studi accademici che approfondissero questi aspetti. Instancabile, comunque e soprattutto, fino al giorno della morte del poeta, la sua distribuzione di testi consegnati a mano a tutti quanti lo circondavano, a Gavinana come in Garfagnana. Una caratteristica del tutto singolare del modus operandi del Geri era, appunto, quello di scarabocchiare poesie improvvisate su foglietti di carta volanti, che poi il poeta regalava agli amici e, talvolta, anche agli sconosciuti. Alcuni venivano recuperati, e ci fu chi cominciò a raccoglierli e a batterli a macchina. Laura Tonietti, a cui si deve rendere merito per aver svolto questa attività, mise insieme circa 150 manoscritti. Proprio grazie alla raccolta dei foglietti affidati “al vento”, nel 1994 è uscito un libro postumo, a cura del Moto Club di Fornaci di Barga e di Milvio Sainati in particolare. “80 anni di poesia”, questo il titolo, si fregia anche di una prefazione di Gian Luigi Ruggio, all’epoca conservatore di Casa Pascoli a Castelnuovo. Nel 2012 è toccato al sottoscritto l’onore e l’onere di raccogliere una selezione delle cose migliori (almeno a mio giudizio) pubblicate nei due libri precedenti, in una antologia edita dall’Associazione Achilli di Gavinana e intitolata “Il poeta delle piccole cose”, corredato da un saggio critico a mia firma. Adesso, giunge il nuovo volumetto e che si deve, appunto, al ritrovamento di numerose altre composizioni inedite. 

Così riferisce l’accaduto Marco Ferrari, autore di un articolo uscito nel luglio 2015 sulla già citata rivista online “Linee Future”, che si occupa di cronaca pistoiese: “Sono emersi dal passato e si sono materializzati quasi per magia fra le mani di Roberto Geri, nipote di quel Geri di Gavinana conosciuto e ricordato da tutti in paese come il Poeta. Si tratta di tre manoscritti contenenti poesie per lo più inedite. Quaderni vergati a mano di cui si era persa la memoria e si ignorava l’esistenza. Grande è stata quindi l’emozione provata dal nipote Roberto nello sfogliare e leggere, non senza incredulità e commozione, le poesie dello zio risalenti a più di ottanta anni fa, e nel realizzare l’importanza del ritrovamento fatto”. 

Roberto Geri, dal canto suo, racconta: “Nell’aprile dello scorso anno, nel corso di lavori fatti nella casa di Gavinana, mi sono trovato nella necessità di spostare il baule dei ricordi dello zio, in cui tuttora sono custoditi gelosamente i libri a lui appartenuti. Un baule pesante. Per spostarlo si è reso necessario aprirlo e svuotarlo. Un’operazione fatta altre volte nel passato, ma questa volta è stato diverso. Il caso, il destino, o forse lo zio, di cui ricorrono i quaranta anni della dipartita, ha voluto che il mio sguardo si posasse, prima su uno, poi sul secondo e infine sul terzo, di quelli che a prima vista sembravano degli anonimi registri contabili, adagiati sul fondo del baule. Li ho tolti, impilati uno sopra l’altro, e posati sulla pila di libri che nel frattempo si era formata sul pavimento. Uno di questi, inavvertitamente è caduto e aprendosi, ha mostrato il suo contenuto. Se non mi fosse scivolato dalle mani, sicuramente non sarebbe mai stato aperto. Nell’atto di raccoglierlo e di chiuderlo, l’occhio si è posato sulla pagina aperta. Ho indugiato, la vista a quest’età è quella che è. Ho cercato di mettere a fuoco la scritta e ho letto, cosa strana, e forse non del tutto casuale, il titolo di una poesia: Il destino. Ho iniziato, distrattamente a sfogliare il libro dei conti, ma non c’erano numeri, né somme o sottrazioni, ma parole, versi, rime e poesie. Una dopo l’altra, pagina dopo pagina. La voce mi si è increspata e la vista mi si è fatta ancora più annebbiata. Ho chiamato mia moglie perché mi portasse gli occhiali da lettura”.

Roberto Geri
A questo punto Roberto Geri si rende conto che i tre quaderni sono pieni di poesie scritte a mano dallo zio Giuseppe, in gran parte materiale inedito. Si tratta di tre grossi manoscritti rilegati, grossomodo formato protocollo, ciascuno contenente circa cento composizioni. Sulla copertina dei primi si legge, scritto a mano:

Poesie di Giuseppe Geri
Gavinana
1925 (1)

Geri di Gavinana
Malinconie
1932 (2)

Sulla copertina del terzo non c’è alcuna scritta, ma subito all’interno leggiamo:

1943 (4)
e nella pagina successiva:
Geri di Gavinana
I canti di un montanino (titolo cancellato)
Sulle rive del Serchio (titolo definitivo)

Sembra evidente che manchi un volume (3). Non resta che sperare in un successivo ritrovamento.

L'annotazione con il numero (4) sul terzo volume



Alcuni mesi di lavoro hanno permesso a chi scrive (a cui sono stati affidati in prestito i quaderni) di selezionare le composizioni contenute in questa antologia, essendo necessaria una scelta per motivi di spazio. Il criterio seguito è stato quello di non pubblicare le composizioni già note, anche quando se ne riscontrano versioni alternative con varianti più o meno notevoli (soprattutto nel primo quaderno ci sono molte poesie finite poi in “Fiori di bosco”, ma con versi diversi rispetto a quelli conosciuti). Tolto il materiale già edito, si sono scartate le poesie con riferimenti a persone e a fatti contingenti della vita privata del Geri, non immediatamente comprensibili, così come le tante “lettere in rima” con cui il gavinanese era uso scrivere ai suoi amici o corrispondenti, contenenti spesso ringraziamenti per favori o regali ricevuti o inviti a incontri conviviali. In presenza di opere di argomento molto simile (come l’alternarsi delle stagioni o il rimpianto della gioventù perduta) ho scelto di selezionare il componimento più rappresentativo. Sono stati privilegiati i testi più attuali e universali, quelli che possono parlare ancora oggi a tutti noi (il Geri, comunque, non ha perso niente della sua freschezza). Qualora l’interesse dei lettori lo richiedesse, esiste materiale sufficiente per riempire sicuramente altri libri come questo. 

Mi sento in dovere di segnalare che, trattandosi di testi manoscritti compilati in modo evidentemente frettoloso, pieni anche di cancellature e correzioni, ho ritenuto di dover intervenire qua e là per restituire ai versi la punteggiatura mancante o la sillaba sfuggita. Del resto, la presenza di versioni alternative (presumibilmente precedenti) di testi già noti fa ipotizzare che prima della pubblicazione a stampa di “Fiori di bosco” il poeta abbia rivisto e perfezionato i suoi lavori, forse indirizzato dallo stesso Luigi Russo. Dunque lo stesso tipo di ripulitura e di aggiustamento si è reso necessario anche per la raccolta che state per leggere. I quaderni del Geri restano comunque a disposizione, custoditi da Roberto Geri, per chiunque voglia studiarli o curarne una migliore e più completa edizione.


L’esame dei manoscritti permette di ricostruire un quadro più vivido e completo della vita del poeta, rispetto alle informazioni già note. Ci sono per esempio annotazioni dell’autore riguardo a certe composizioni da lui lette personalmente in alcune circostanze pubbliche (per esempio è rintracciabile una poesia dedicata alla località di Maresca, recitata dallo stesso autore nel teatro di quel paese), oppure relative alla pubblicazione di alcuni versi su quella o quell’altra rivista. Interessanti i testi che testimoniano avvenimenti storici o fatti di cronaca, come l’imperversare della “spagnola”, gli scontri fra “rossi e fascisti” o il primo avvento della radio.

"Una riconciliazione tra rossi e fascisti"
Le opere radunare in questo volume confermano quel che sappiamo su un aspetto importante della personalità dell’autore: il doppio registro della sua produzione, basata sull’alternarsi del comico e del malinconico. L’arguzia e l’umorismo di molte composizioni non devono far pensare al Geri come a un personaggio ilare, ma mascherano in realtà il suo eterno male di vivere (il che lo rende ancora più attuale e contemporaneo). Tuttavia il suo naturale sense of humor stempera l’amarezza della sua inquietudine.

In alcune poesie il poeta fa riferimento ai libri contenuti nella sua biblioteca e di cui lui amava leggere qualche pagina ogni sera, almeno finché gli occhi gli restavano aperti. Nonostante non mancasse mai di sottolineare il fatto di essere “senza scuola” e di non poter competere con i più colti di lui, tuttavia elenca gli autori di cui conosce le opere, come il Pascoli (ammette in un verso di sentirsi “pascoliano”), il Prati, il Tasso, Trilussa, il Fusinato.

Testimonia il Russo: «Ebbe amicizie con villeggianti di un qualche nome o fama, Cadorna, Michelangelo Billia, Carlo Delcroix, a cui prestò devozione di compagnia». Scrive ancora il critico: «L’autore è un operaio di Gavinana, che lavora nelle officine di Limestre, laggiù vicino a San Marcello Pistoiese. Se andate a Gavinana, insieme col Crocicchio, Pian de’ Termini, Rio Apiciano, Ferruccio, il Monumento, dopo i primi giorni che siete arrivato lassù, sentirete discorrere del Poeta. “Quello è il Poeta!” vi diranno premurosi i paesani, a stuzzicare e come a secondare la vostra curiosità di uomini libreschi. E vi indicano un giovane, che sale verso la quarantina, asciutto, con le mascelle serrate, con la fronte stempiata e lucida e bruna di sole, e con l’aria un po’ raccolta e un po’ trasognata, propria ai taciturni camminatori di questi monti. Vi provate a discorrerci: grande timidezza, brevità e imbarazzo di parole, che pure escono all’aria, sfiorate da un lieve palpito di arguzia. Si avverte subito la spiritualità e sincerità dell’uomo».



Se volete procurarvi il libro (costa 10 euro), scrivete o telefonate all'Associazione Musicale e Culturale Domenico Achilli – Piazzetta Aiale, 24 – 51028 Gavinana (PT) – Tel: 0573 66057 – Email: associazione.achilli@gmail.com

Quella che segue è un una brevissima scelta di alcune delle opere ritrovate del Geri.


Geri di Gavinana
POESIE RITROVATE

A una nuvola

Nuvola pellegrina
che vai raminga nell’oscurità,
dimmi: che porti? Quale novità?
Porti tempesta, grandine o la brina?
Dimmi, vieni dal mare?
Porti la pioggia o vento?
O nuvoletta, tu mi fai spavento,
cammina su nel ciel non ti fermare.
O forse cerchi l’altre tue sorelle?
Volete far vendetta?
O nuvoletta, vai, cammina in fretta,
cammina su nel ciel che c’è le stelle.



Un lutto

Vidi mia madre in lutto,
vidi mia madre in pianto,
ed io compresi tutto
del suo dolor, del pianto.

Mandò l’ultimo canto
la rondinella a sera,
vidi mia madre in pianto,
vidi una bara nera.



Le due sorelle

Io avevo due sorelle,
una bionda e l’altra mora,
tutte e due leggiadre e belle
e gentil come l’aurora.
Ma la bionda mi è sparita,
se ne è andata all’altra vita.
Mi hanno detto che lassù
più risplende il suo bel viso
dove è gioia ed è sorriso
ma non tornerà mai più.
E la mora sta lontana,
nella terra pascoliana.
Colgo e bacio il primo fiore:
il pensier quel bacio porta
su la viva e su la morta,
tutte e due lo stesso amore.

Giuseppe Geri di fronte alla sua casa

Nell’orto

Un noce, dei peri, un fiore appassito,
patate, fagioli adornano l’orto.
Non sono felice, ma pur mi conforto
all’ombra silente d’un pesco fiorito.
Mia madre mi guarda, sorride, ma mesta,
nel verde profondo del monte rimira,
mi chiama per nome, solleva la testa,
poi guarda nel cielo e sospira sospira…


Giuseppe Geri con i fratello Guido nel 1916


Il mio nome

Mi sento dir che son ricco d’ingegno,
che presto il nome mio verrà immortale:
non ci trovo fin qui nulla di male,
ma chi lo dice non darà nel segno!

Mi avessero provato nel disegno,
qualcosa avessi fatto di speciale…
per salir in alto, ci vorrebbe l’ale
e non la testa come me, di legno.

Forse perché dirò qualche strambotto
e scrivo qualche volta in poesia,
m’avranno preso per un uomo dotto.

Ma vi assicuro sulla fede mia
Appena so contar quattr’e quattr’otto.
Se questo basta, allora così sia…



Birichinate

Ero un ragazzo come tutti gli altri,
pieno di vita e pieno di clamore,
facevo per le strade anch'io rumore
come fan tutti i ragazzotti scaltri.

Tiravo sassi sulla banderuola,
azzoppavo ogni tanto una gallina,
saltavo volentieri la dottrina
e tante volte non andavo a scuola.

Andavo a nidi o pure a chiappar grilli,
(eran le cose a me più preferite),
mi arrampicavo sulla vecchia vite,
mandavo in casa dei sonori strilli.

Rompevo qualche pentola in cucina,
tribbiavo scarpe e non lavavo piatti,
mi divertivo a strapazzare i gatti
con tutta l'aria mia più birichina.

Poi mi ricordo quando la mia nonna
restava tutto il giorno a gola aperta
a chiamar “Peppe!” ed era cosa certa:
la facevo dannar, povera donna.





La radio

Si sente proprio gli uomini cantare,
tossire, bisbigliar, ripigliar fiato,
che vien per forza voglia di guardare
se dentro c’è qualcuno rimpiattato.
Chi parla dista più di mille miglia,
è cosa da destare meraviglia.

Pensar che con due fili e una cassetta
si sente quel che dicono a Milano:
se c'è al Teatro il ballo o l'operetta,
se parla in piazza qualche ciarlatano;
non da Milano sol, da mezzo mondo
si sente uno quando gira al tondo.

Io tante volte mi sbattezzerei
e dico: se si va di questo passo
un giorno o l’altro, ci scommetterei,
persino i morti si rivede a spasso.
Beati quelli che morranno allora,
che lo faranno sol per qualche ora.



Nostalgie paesane

Penso sovente alla mia casetta,
ai miei morti, lassù nel cimitero;
penso al crocicchio dall'aguzza vetta
dove salivo un dì gagliardo e fiero.
Penso agli amici con malinconia,
sento di Gavinana nostalgia.

È vero che non son tanto lontano,
ma non so quando potrò tornare.
Maturerà nei campi il biondo grano,
quant'acqua ancora scenderà nel mare!
Ritornerà la rondine alla gronda,
quando sarà per me l'ora gioconda?

Vorrei sentir cantare l'usignolo
nei boschi silenziosi di Batoni;
dove la sera tante volte solo
meditai versi per le mie canzoni;
vorrei vedere nella bella valle
ancora svolazzare le farfalle.

E queste grandi e piccole cosette
che per altri non hanno alcun valore,
io le conservo fra le mie dilette,
fra le memorie care del mio cuore;
mi lasciano nell'animo un rimpianto
e sgorga questo mio povero canto.




La bilancia

Perché venire al mondo,
perché restar tanti anni?
Chi mai chiese di nascere,
se non ci son che inganni?
Capisco che la vita
non è che una missione,
ma la bilancia pende
e senza paragone.

L'autografo de "Il gatto ne cassettone"


Il gatto nel cassettone

L'altra notte mi successe un fatto
che voglio raccontar, care persone.
Tutte le notti il mio signore gatto
se ne andava a dormir nel cassettone.

E io poggiai la sveglia sopra un piatto
ci misi un soldo per precauzione,
ché quando fosse l'ora dello scatto
facesse più solenne confusione.

Difatti all'ora che suonò la sveglia
il piatto, il soldo... fu un acciottolìo,
che il gatto, che dormiva, mi si sveglia

con la paura e fece un tal fottìo
per scappar fuori, che nel dormiveglia
ebbi paura più del gatto anch'io.

Fornaci di Barga


Novità?

Nulla di nuovo c'è qui nel paese,
se piove un giorno quasi sembra un mese,
se un giorno è bello poi quell'altro piove
quaggiù a Fornaci non ci son nuove.

La settimana dura quanto un anno,
ma gli anni son veloci e se ne vanno,
l'ore son lunghe e non passan mai
ma i giorni volan e questi son guai.

Così pian, piano, via di questo passo,
senza profitto, senza fare chiasso,
ti annoi, sbadigli, fai la tua partita
e come un lampo passa anche la vita.

Mi pare un sogno, e mi sembra ieri,
che aveo vent'anni ed eran giorni fieri,
ma già di tempo ne è passato tanto;
e sempre avanti, via, con questo canto,
si arriva al giorno della dipartenza:
per tutti passerà la diligenza.

Sei giovani gavinanesi negli anni Venti. Giuseppe Geri è in alto al centro con i baffi.


Il destino

Ognuno segue del proprio destino
tutta la strada che in terra ci addita,
così trascorre tutta questa vita,
sino a quel giorno che viene il becchino

Non si sa se sia lontano o sia vicino
e quando è l'ora di farla finita,
ma per giocare l'estrema partita
ci vorrebbe di fare l'indovino.

C'è chi cammina, chi sempre in vettura,
c'è chi va a piedi per pestarsi i calli,
chi ha la testa grossa e chi l'ha dura.

Ma viaggiare a piedi e sui cavalli
quando vien quella che ci fa paura
finiscono poi tutti i suoni e i balli.



Perché?

Perché la notte nel buio profondo
sono le stelle chiare e lucenti?
E l'usignolo canta giocondo
nei più soavi, gentili accenti?

Perché del pero, fra il verde e il biondo,
lenti i suoi rami muovono lenti?
E sul cipresso dal ciuffo tondo
tanti uccelletti stanno contenti?

E perché il cane dorme tranquillo,
guardia fedele vicino all'aia,
e perché l'eco senti di squillo?

Perché il gallo canta e il cane abbaia,
se stride forte nel prato il grillo
o suona il passo della massaia?

Giuseppe Geri negli ultimi anni della sua vita


Acqua passata

Or della gioventù perdo l' impronte
e crescono gli affanni coi pensieri,
ma quattro rime sono sempre pronte,
o bene o male spesso e volentieri.

Prima mi alzavo al limpido orizzonte
e camminavo i taciti sentieri
quando trovavo qualche fresca fonte
bevevo sempre senza usar bicchieri.

Ora per quelle vie più non cammino
mi sento stanco e poi ci vedo poco
e foro ogni momento e vo pianino.

Ma un giorno o l'altro cambierò loco,
farò amicizia stretta col becchino,
e finirà per sempre questo gioco.

Pasqua 30 marzo 1975
(ultima poesia nota)