venerdì 24 aprile 2015

CICO SULL'ISOLA DEL TESORO



Beatrice Corbetta (fan di Cico n°1) ha trovato "Cico sull'Isola del Tesoro" in uno scrigno (foto del papà Marco)

E' in edicola il n° 12 della collana a colori dedicata dalle Edizioni If alla riproposta degli albi di Cico in ordine cronologico (quelli originariamente usciti, in bianco e nero, sotto il marchio Bonelli tra la fine degli anni Settanta e il 2007). Si tratta di "Cico sull’isola del tesoro", con testi mie e disegni di Francesco Gamba. A corredo del racconto a fumetti c'è, come di consueto, un mio commento.

L’albo originale giunse in edicola, per la prima volta, nel dicembre del 1995, dopo la decisione di Sergio Bonelli di trasformare in semestrali le uscite della testata dedicata al buffo messicano (segno che c'era un certo apprezzamento di pubblico). Nella prefazione dell’albo si legge: “la divertente avventura che avete fra le mani è, a nostro parere, il capolavoro della coppia Burattini-Gamba”. Grazie dunque a Mauro Boselli, quasi sicuramente autore del complimento (all’epoca non lavoravo in redazione – vivendo meglio – e non saprei dire che fosse a compilare i redazionali cichiani ma scommetterei una pizza che in questo caso è farina del suo sacco). Sergio, se non altro (sempre molto critico) non ha tolto l’apprezzamento, il che può considerarsi un buon risultato.

Sicuramente si tratta di un racconto molto movimentato e pieno zeppo di gag e di citazioni, che vanno dai fumetti di Carl Barks (non sfuggirà a nessuno il riferimento a Cornelius Coot, fondatore di Paperopoli, nelle prime pagine) a, naturalmente, il classico dei classici di Robert Louis Stevenson, “The Treasure Island” (da cui è tratta la mappa dell’isola del tesoro che si vede a pagina 61, ma anche la figura di Benny, parodia del mezzo folle Ben Gun).

L’albo ha la caratteristica di  riprende il filo della narrazione interrottosi in "Cico sceriffo", quando lo sceneggiatore Guido Nolitta non aveva spiegato perché Cico, diventato un uomo della legge acclamato dai suoi concittadini, avesse lasciato Texas City.  Nella “cornice” che fa da contorno alla rievocazioni del passato del messicano compare, in un ruolo che non è soltanto quello di fungere da ascoltatore, “Digging” Bill: uno dei comprimari zagoriani più amato dai lettori. Il suo vero nome è Beniamino Readwell (oppure Rockwall: neppure lui lo ricorda più) è uno dei più riusciti personaggi del microcosmo dei caratteristi nolittiani: monomaniaco in perenne ricerca di un tesoro, rappresenta l’uomo che insegue un sogno e che, per questo, ha uno scopo nella vita, qualcosa in grado di riempirgli l’esistenza e di illuminargli l’anima. Non importa se il sogno è irraggiungibile, quel che conta è inseguirlo. Bizzarro, poetico, incorreggibile, perfino gaglioffo e disonesto, coraggioso e pavido al tempo stesso, “Digging” Bill è perfino difficile da definire. Ci prova una volta Zagor nel finale dell’albo “Capitan Serpente”, dicendo: “Chi è ‘Digging’ Bill? E chi può dirlo? Un matto, o forse un imbroglione tanto incallito da ingannare anche se stesso. O meglio ancora, lui è tutte queste cose messe insieme. Non è facile trovare definizioni più chiare. Lui è semplicemente Digging Bill!”.

Circa la storia, i riferimenti sono soprattutto al romanzo di Stevenson, tuttavia qua e là credo si riconscano certi echi di un film, “Totò contro il Pirata Nero”, in cui il Principe della Risata si imbarca su una nave di pirati. Una curiosità: in uno sketch dell’albo compaiono degli indigeni che parlano una sorta di vernacolo fiorentino che ricordano quelli fatti parlare in dialetto veneziano da Hugo Pratt ne “La ballata del mare salato”. Anche Michele Medda una volta ha fatto parlare in sardo gli abitanti di uno stato del Centro America in una sua storia di Nathan Never. A me l'idea è venuta da un fumetto italiano intitolato "I sottotitolati", opera di Greg, in cui i protagonisti sono giovani coatti che parlano in uno sbracato romanesco, e hanno in calce alla vignetta la "sottotitolatura", cioè la traduzione di quanto dicono. E la traduzione non è letterale, ma forbita ed elegante, per cui se uno dei personaggi dice a un barista: "A' fijo de' 'na mignottona, portace 'na bbira", la traduzione è: "Signor barman, potrebbe gentilmente servirci una birra cadauno? ....e ci saluti la sua gentile mammina". Io ho fatto lo stesso, dato che la mia traduzione è sempre più elegante e signorile del senso delle frasi che si leggono nei balloon. Inoltre, non si tratta propriamente di vernacolo fiorentino (anche se qualche eco se ne potrebbe trovare) ma di una libera trascrizione fonetica di un italiano generico molto manipolato. In conclusione: io mi sono divertito a scriverlo e a rileggerlo. Spero che anche voi possa scappare qualche sorriso. Ce n’è tanto bisogno.