mercoledì 27 settembre 2017

IL LAMENTO DEL SERPENTE






Ascoltate brava gente
il lamento del serpente!
Incomincio il mio cantare
con accenti di mestizia
perché voglio qui accusare
un’orribile ingiustizia.
Otto zampe ha un certo ragno
e ne ha quattro il grosso bue,
tutti gli altri, e qui mi lagno,
come minimo ne han due.
La natura è molto stramba,
capricciosa come vedi:
io non ho neanche una gamba
e ne ha mille il millepiedi!


Questa strepitosa filastrocca è opera di Sergio Bonelli, che la mise in bocca a Cico sul n° 44 di Zagor. Mi sono permesso di citarla perché vorrei qui di seguito rispondere con qualche argomento ai lamenti di coloro che, dicendo “e qui mi lagno” scrivono per denunciare ogni sorta di “orribile ingiustizia” con strazianti “accenti di mestizia”, riguardo le malefatte ai danni dei collezionisti. Mi sono permesso di appuntare, su alcuni cahiers de doléances, le rimostranze che mi sono state esternate più di recente. 

Prima di farlo, però, vorrei premettere ciò che Sergio Bonelli scrisse rispondendo a una delle ultime interviste da lui rilasciate, pubblicata su un numero di SCLS Magazine: “Secondo me avete tutto il diritto di pretendere che il personaggio o le sue avventure rispettino la tradizione, senza rinunciare a qualche leggero cambiamento moderno; non approvo, invece, l’accanimento con cui si difende un antico bollino oppure la tradizionale posizione del logo. Il collezionista, in genere, è una figura che mi affascina, e che rispetto, ma sulla quale non sono mai riuscito ad esprimere un parere definito: ne invidio la pazienza che io non riuscirei mai a imitare, ne invidio anche la costanza che li spinge a completare la loro ricerca, ma dissento dal cinismo che li spinge a considerare un albo come un oggetto, come un numero e non come un’opera destinata alla lettura. Anch’io mi sono sentito definire collezionista due o tre volte nella vita ma in seguito mi sono reso conto di non meritare quella qualifica: tutto sommato acquisto soltanto quegli oggetti in cui mi capita di imbattermi casualmente e non avverto il minimo stimolo per impegnarmi in una ricerca vera e propria. Con i fumetti però mi comporto diversamente specialmente quando inizio la collezione acquistando il primo numero; in quel caso so essere fedele, ma trovo il piacere non tanto nel possesso quanto nella rilettura di tanto in tanto delle storie”.

Questo come viatico. Ecco dunque quel che mi viene scritto.

Sono davvero deluso da quello che sta succedendo. Non abbiamo bisogno di gadget che sciupano le copertine o di doppie uscite. Vogliamo Zagor e Tex nel loro sacro formato. I tempi del mitico Sergio sono palesemente cambiati. 

La realtà Bonelli è in fieri e in divenire: il piccolo gruppo di responsabili (del quale io non faccio parte) sta cercando, con coraggio (visti gli investimenti fatti e le difficoltà del mercato), di traghettare la Casa editrice dalla sola produzione di albi da edicola verso la dimensione di media company attiva su più fronti. I cambiamenti fatti tentando di produrre cose nuove con un diverso formato servono appunto a intercettare i gusti dei nuovi lettori, per scoprire nuove strade da battere visto che quelle di un tempo sono problematiche. Il calo drastico dei fruitori di carta stampata (ma anche di cinema e di musica) distribuita secondo i canali tradizionali impone di reagire. Trovo ingiusto dire “Sergio Bonelli non avrebbe mai fatto questo, o non avrebbe mai fatto quello” perché di fronte ai cambiamenti del mercato anche lui tentò tutte le strade producendo riviste d’autore, di enigmistica, umoristiche, cartonati, miniserie e chi più ne ha più ne metta. Anche Sergio ha puntato su formule nuove e su nuovi autori, come furono a suo tempo Berardi & Milazzo o Luca Enoch. I nostalgici come me e come te (ammesso che tu lo sia) cercheranno di ritagliarsi un loro spazio con quel che ancora è fatto su loro misura, se proprio non riescono a farsi piacere le novità (cosa che non sarebbe male, visto che è sbagliato anche non essere aperti alle nuove proposte).

Basta con i vocaboli inglesi! Detesto una scritta sul mitico bollino bianco "Italy only" che non ha nessun senso giacché l'albo viene venduto in Italia. L' Astorina indica "solo per l'Italia"

“Italy only”, una dicitura che non ho scelto io e che non mi importa di difendere, mi pare uno slogan chiarissimo anche per chi non conosce l’inglese ed ha il merito di essere breve, essenziale e comprensibile ovunque. In realtà serve appunto per le copie vendute all’estero, nelle edicole degli aeroporti o negli shop on line. Se uno straniero compra on line un nostro fumetto deve sapere che il prezzo indicato vale solo per l’Italia e che passando il confine può cambiare. Non mi pare che per una scritta microscopica in copertina ci sia da farne un caso. Io non mi ero neppure accorto che ci fosse. L'Astorina fa bene a fare come crede, naturalmente, e a far felici i suoi acquirenti con la dicitura in italiano.

Perché i mitici Almanacchi (una parola che racchiude tutta la passione dei lettori) sono diventati "Magazine"? Ormai tutte le uscite recano la dicitura in un onnipresente e fastidioso inglese (color, magazine, dark novels, variant cover, classic, ecc..) 

Premesso che il fastidio è soggettivo, si vedono scritte in inglese dovunque e si tratta di quotidianità e di uso comune. Il mio parere personale è che “almanacco” sia una parola desueta (ricorda perfino il venditore di almanacchi di Leopardi) e che “magazine” sia il termine più usato in generale e dunque è sempre bene parlare come si mangia. “Variant cover” è una espressione che si usa in tutto il mondo, come “cosplayer” o “color”, non vedo la difficoltà nel chiamare una cosa come tutti la chiamano. Se uno usasse “copertina alternativa” invece di “variant cover” ci sarebbero più perplessità e tutti se ne chiederebbero il perché. Non mi sembra sbagliato che una Casa editrice usi le parole che si usano di solito in certi casi. Se poi uno ha l’idiosincrasia per l’uso della parola “color” invece di “colore”, mi sembra un piccolo problema personale, de gustibus non disputandum est, chi ne soffre potrà facilmente soprassedere. In ogni caso, se proprio non si tollera, non si può neppure pretendere che gli altri parlino così come vorremmo noi. Sergio Bonelli non odiava affatto l’inglese, al punto da aver chiamato la sua Casa editrice, per anni, “Daim Press” (“press” è la parola inglese per “stampa”).

Orribili gli Speciali di Martin Mystére con quarta di copertina al contrario come in Giappone!

Castelli è abituato a fare giochi e sperimentazioni, se si ama Castelli si accettano i suoi giochi di prestigio. La quarta di copertina al contrario non è come in Giappone (se no dovresti leggerlo al contrario senza ribaltarlo) ma come si usa nel caso dei “flip book”, è un tipo di albo-gioco occidentalissimo. Non ci vedo niente di intollerabile: se proprio uno non tollera, non lo compra.

Intollerabili gli speciali di Cico con la modifica del mitico formato Bonelli e riduzione delle pagine che permette di pubblicare meno tavole. Quindi meno tavole, meno lavoro, stesso prezzo. 

Gli albi di Cico (quelli della miniserie “Cico a spasso nel tempo”) hanno un formato sperimentale che va incontro al pubblico che ha sempre meno tempo per leggere e chiede (sondaggi di mercato) storie più brevi. Il “mitico” formato Bonelli non ha più il successo di una volta perché il pubblico cambia gusti e si devono per forza tentare altre strade. Fare una mini di Cico alla vecchia maniera avrebbe forse venduto x, con il nuovo formato che va a pescare verso lettori nuovi (magari incuriositi dal formato o dal colore) si spera di vendere x + 1.  Il discorso delle meno tavole allo stesso prezzo è sbagliato e ingiusto: le meno tavole sono a colori, dunque costano molto di più in produzione, e se il prezzo rimane lo stesso dell’albo Zenith vuol dire che è un affare. In ogni caso stiamo parlando di tre euro e cinquanta, il costo di un gelato. Lamentarsi di fronte a cifre minime di questo tipo è davvero strano e chi lavora a realizzare un prodotto di qualità venduto a così poco si sente davvero scoraggiato.

Non è sfuggito a nessuno come per la miniserie di Cico si sia sfruttata la registrazione al Tribunale di Milano dello Zagorone, non più in produzione, tanto che il numero 1 dello Speciale Cico "A spasso nel Tempo" in realtà è lo Zagor albo gigante numero 5. Lo stesso dicasi per le tante piccole testate che vengono inserite nella registrazione dei "romanzi a fumetti". Insomma collezioni letteralmente sfasate.

Che c’entra la registrazione in tribunale con le collezioni? Collezioni “letteralmente" sfasate perché una cosa esce con una scritta microscopica nel tamburino diversa da un’altra? Davvero non capisco. Eppure sono un collezionista anch’io. Ho sempre visto uscire in edicola albi pubblicati come supplementi di altre o sfruttando registrazioni preesistenti atte all’uopo. E’ una consuetudine pluridecennale di tutte le Case editrici.

Le nuove vesti grafiche bonelliane sono prone al dettato americano (quello delle graphic novels), che da quanto ho capito, vedi Morgan Lost, piano piano invaderà la casa editrice e si sostituirà al mitico formato Bonelli. A proposito mai visto in vita mia ripudiare un proprio stile rodato, tra l'altro copiato e riconosciuto universalmente come il migliore (è infatti oggettivamente più bello e più collezionabile).

Le vesti grafiche non sono prone al formato americano ma seguono i gusti del pubblico. Se un formato non funziona, si cambia: in Italia, in Francia, negli USA, dovunque. E dovunque si fanno esperimenti. Sergio stesso ne fece tanti: “Un uomo un’avventura”, “Bella & Bronco”, “Dottor Beruscus”, i Maxi, gli almanacchi, le miniserie, eccetera. Se un fumetto in un formato vende più che in un altro, dovrebbe essere visto come un bene e non come un male. Se poi a uno un formato non piace, se ne tiene lontano. Nessun ripudio del formato tradizionale comunque (Tex, Zagor restano nel classico albo) ma affiancamento con altri formati per vedere cosa va meglio come vendite. Perfino la striscia (collezionabilissima) venne sostituita dall’albo gigante. E perché il Texone (formato innovativo), deve andar bene e Morgan Lost (formato classico Bonelli) no? Liberi tutti, peraltro, di acquistare l’uno o l’altro o tutti e due.

Che brutta la variazione della costola del Maxi Zagor! Rovinate la bellezza della sequenza monocolore in costola che tanto amano i collezionisti.

Qual è il problema nella costola variata del Maxi Zagor? Stesso formato, steso disegno che dalla cover slitta in costolina. Tutte e grafiche di copertina si rinnovano, da sempre, negli Oscar Mondadori come in Urania, nelle riviste come nelle collane di libri. Se una grafica invecchia e perde colpi (lettori) si cerca di rinnovarla. Peraltro, le collezioni sono anche più colorate e gradevoli se cambiano in po’ negli scaffali. Che brutti casomai gli scaffali chilometrici con copertine tutte uguali. Non è che per forza si debbano apprezzare i cambiamenti, però cercare di capire che cambiare è inevitabile si può fare.

Basta con le doppie uscite e commistione con copertine diverse delle testate Dylan Dog e Dampyr. In altre parole costringere il singolo collezionista di uno dei due a comperare ben quattro albi. 

Nessuno è costretto a comprare nulla. Compra chi vuole. Di solito sono i collezionisti che chiedono queste cose trovandole divertenti e quando non le si fanno ci se ne lamenta. Se no sarebbe come dire che facendo un album di figurine si costringono i collezionisti a comprare un sacco di bustine con un sacco di doppioni: fa parte del gioco. Chi non lo apprezza, può non giocare. Non è obbligo avere le variant: chi legge solo Dylan Dog può comprare il solito unico albo e leggere Dampyr sul banco della fumetteria.

I gadget sono poco graditi perché non facenti parte della tradizione Bonelli e soprattutto perché deturpanti le condizioni dell'albo. Vi siete mai fatti questa domanda in redazione? Sapete che un gadget in prima di copertina può danneggiare la stessa? Sapete quanto ci tenga un collezionista a che l'albo sia integro? Non sarebbe stato meglio, come aveva fatto in passato il mitico Sergio Bonelli, inserire un poster leggibile? 

Per anni i lettori si sono lamentati del fatto che non ci fossero gadget. Quelli allegati agli albi, peraltro, sono in regalo (agendina, carte da gioco). Chi non li vuole, li butta via: sono gratis. “Poco graditi”, poi, a chi? Io ho parlato con cento persone e tutti hanno gradito. Se una minoranza non gradisce, pazienza, non si può accontentare tutti. La tradizione non prevede gadget? La tradizione non prevedeva neppure il colore ma i tempi (e il mercato) lo impongono. Se i gadget fanno vendere qualche copia in più e i fumetti continuano a uscire, sarà un vantaggio anche per chi i gadget (non si sa perché) non li sopporta. I collezionisti, comunque, ne dovrebbero andar matti per definizione (i gadget sono oggetti da collezione). In che modo un piccolo bloc notes nel cellophane possa sciupare una copertina, resta un mistero. Credo che in ogni caso valga la regola che se un albo è danneggiato l'edicolante lo può sostituire. Oppure lo fa direttamente la Casa editrice.

La rubrica "I tamburi di darkwood" si è trasformata in un lungo spot commerciale, non una missiva, un'analisi…

 “I tamburi di Darkwood” parlano di tutto ciò che c’è da sapere riguardo al comicdom zagoriano. Se degli appassionati fanno una rivista dedicata allo Spirito con la Scure, o esce un gioco da tavolo darkwoodiano, o viene pubblicato un classico nolittiano in libreria, non lo si deve far sapere? Se non lo si dice lì, dove lo si deve dire? Anzi, i lettori saranno interessati a essere informati. I collezionisti vorranno sapere se ci sono novità da collezione. Non vedo di che cosa si dovrebbe parlare in una rubrica del genere, se non di questo. Del tempo? Di calcio? Di politica? In ogni caso la rubrica precedente si chiamava “Postaaaa!”, e la faceva Sergio; questa ha un altro nome e dunque avrà altre caratteristiche, dato che Sergio non c’è più. La Posta non arriva più perché ci sono le pagine Facebook, i gruppi su internet e i forum: i dibattiti zagoriani avvengono lì. Le analisi le facciamo, per esempio, su questo blog (le stiamo facendo anche adesso). Chi non apprezza “I tamburi di Darkwood” non avrà problema a saltare a piè pari quella pagina. Insomma, basta vedere le cose con uno spirito più positivo.