lunedì 20 settembre 2010

IL VENDITORE DI ALMANACCHI

Lo zoologo britannico Apsley Cherry-Gerrard, biologo di fiducia di Robert Falcon Scott, scrisse: "Per una spedizione scientifica e geografica, datemi Scott; per una puntata al polo e niente più, Amundsen. Ma se sono in un dannato guaio e voglio tirarmene fuori, allora datemi Shackleton". Lo stesso concetto fu espresso da un altro esploratore dell'Antartide, il geografo Raymond Edward Priestley: "Quando siete nell'avversità e non intravedete via d'uscita, inginocchiatevi e pregate Dio che vi mandi Ernest Shackleton".

Se siete curiosi di saperne di più su questo leggendario personaggio, non vi resta che procurarvi il nuovo Almanacco dell'Avventura (quello del 2011) in edicola in questi giorni. Infatti, quello che avete appena letto è l'inizio di un mio articolo, intitolato "Con Shakleton verso il Polo Sud", che compare sulla rivista. Non so se sia la seconda o la terza volta che scrivo dei pezzi sugli Almanacchi bonelliani (di recente ne ho pubblicato un altro su quello del West di inizio anno, parlando del fumetto "Than-Dai"), ma certamente questo intervento mi ha dato grandi soddisfazioni.

Innanzitutto, per il prestigio della testata su cui compare. Poi, perché si tratta in buona sostanza della recensione di un libro che mi ha entusiasmato mentre lo leggevo. Quindi, perché ho continuato a entusiasmarmi scrivendo di ciò che avevo letto.

Credo che il lavoro più bello del mondo, quello che vorrei fare se avessi la bacchetta magica, sarebbe scrivere recensioni di libri, venendo pagato per leggere e commentare saggi e romanzi tanto quanto basta per poter vivere dignitosamente. Per lavorare, insomma, dovrei andare in libreria a scegliere quel che mi piace, tornare a casa, leggere, documentarmi, ed esporre le mie idee in proposito. Invierei un paio di recensioni a settimana, e riceverei un accredito mensile dal mio editore. Chissà se dopo qualche anno perderei il gusto della lettura, come il pornodivo che torna a casa la sera e rifiuta le coccole della moglie dicendo: "Ancora? No, basta!". Scrivere recensioni è meglio che scrivere libri: non ci si deve scervellare a inventare nulla e si può criticare se non ci piacciono le invenzioni di chi si è scervellato. Comunque sia, se c'è una bacchetta magica in ascolto, va bene anche fare il pornodivo.

Due parole sul perché mi sono occupato di Shakleton. Da qualche anno, leggo uno dopo l'altro libri sul Sud America. Il motivo è che sto progettando da tempo la ormai imminente trasferta sudamericana di Zagor, che già nei primi mesi del 2011 comincerà a trovarsi coinvolto in eventi che lo costringeranno, a un certo punto, a imboccare una pista verso sud e cominciare a viaggiare verso terre sempre più meridionali. La maggior parte delle letture che ho fatto sono state appassionanti, e tra queste metterei sicuramente tutte quelle che hanno riguardato Darwin e il Beagle, ma anche quelle relative alla Terra del Fuoco, tanto che prima o poi vi parlerò della mia passione per Ushuaia, la città ai confini del mondo. Sono comunque ben documentato anche sul Perù e sugli Inca, sugli esploratori dell'Amazzonia e sulla Patagonia, sul Cile e sull'Araucania, sulla ricerca dell'Eldorado e su Francisco de Orellana.

Tra i libri che mi sono procurato, uno è stato appunto "Sud - La spedizione dell'Endurance", edito da Nutrimenti, cioè la cronaca che Shakleton stesso scrisse riguardo al tentativo da lui fatto nel 1914 di attraversare il continente antartico. Partito con una trentina di uomini di equipaggio, dell'esploratore e della sua nave non si seppe più nulla fino a 1916, quando si scoprì l'incredibile odissea di cui erano stati protagonisti.

Il libro sembra un romanzo d'avventura, mentre è un drammatico diario con il resoconto di fatti veramente accaduti. Tanto veri, da essere stati documentati dal fotografo e cineoperatore che Shakleton aveva con sé, l'australiano Frank Hurley, destinato a diventare uno dei più grandi fotografi di guerra e di viaggi. Con i suoi scatti e le sue riprese cinematografiche, Hurley ha fornito un eccezionale reportage della spedizione, da cui è nato un documentario di recente restaurato per una edizione in DVD del Brithis Film Institute. Anche questo, un oggetto da procurarsi assolutamente. Potete vedere il fotografo al lavoro sul pack nella foto qua accanto e naturalmente sono sue anche l'immagine sotto il titolo e quella che compare sulla copertina del libro, visibile poco sopra. Qualche anno fa è stato anche realizzato un film sulla spedizione dell'Endurance, ma la pellicola, pur se interpretata da Kenneth Branagh nel ruolo di Shakleton, e molto spettacolare, non è mai arrivata (che io sappia) in Italia. Ne ho trovato però uno spezzone su YouTube.

Che cosa c'è sull'Almanacco, oltre il mio articolo? Tantissimo (anzi, il mio articolo è, in fondo, soltanto la ciliegina sulla torta). Tanto per cominciare, c'è una storia di Zagor. Si tratta di un episodio molto interessante per almeno tre motivi. Il primo: è la seconda avventura firmata da Mirko Perniola, atteso al varco per confermare l'impressione oltremodo positiva fornita al suo esordio con il Maxi "Corsa mortale", che all'epoca fu salutato con complimenti davvero lusinghieri per un debuttante.

Sarà riuscito il buon Mirko a ripetersi (senza ripetersi)? Direi di sì, visto anche l'argomento tutto sommato insolito e originale per la serie di Zagor (e questo è il secondo motivo). Il terzo punto di forza è il cinquantesimo anniversario della carriera di Alessandro Chiarolla, un disegnatore dal tratto graffiante sulla breccia ormai dal 1960, quando uscì la sua prima storia sul "Vittorioso". Cinquanta anni di fumetti sono tanti, e Sandro si merita tutti i complimenti e gli auguri del mondo. Ci sono parecchie cose curiose da raccontare su di lui, e lo farò prossimamente. Per il momento, eccolo qua accanto in una foto del 2007.
Nel coloratissimo reparto saggistico, oltre alle consuete (e sempre gustose) recensioni di libri e film, si parla di John Milius, di Michael Vaillant e degli altri eroi del motore, e delle donne aviatrici. Il tutto corredato dai superbi disegni di Aldo Di Gennaro (un altro artista di cui mi piacerebbe parlare).
A proposito di colori: sarebbe bello se anche i fumetti dell'Almanacco fossero in policromia come il resto della rivista. Dato che ormai in casa Bonelli il tabù del colore si è infranto e già c'è il Dylan Dog Color Fest a dimostrare che ottimi risultati si possano ottenere, sogno a occhi aperti di poter leggere storie colorate anche negli Almanacchi.

Di recente mi sono chiesto che cosa si intenda esattamente per "almanacco". Avevo il sospetto che fosse una parola di origine araba, come "alambicco" e altre che cominciano per "al", cioè l'articolo "il" nella lingua dei nostri vicini di casa. Infatti "al-mahnak" significa "il calendario". Un Almanacco è una pubblicazione annuale che reca segnate scadenze e appuntamenti nel corso dei dodici mesi. Un lunario, potremmo anche dire. Di colpo, mi sono ricordato del "Dialogo di un venditore di almanacchi e un passeggere". "Passeggere", con la "e" finale, e non con la "o", per motivi che soltanto Giacomo Leopardi può conoscere, come soltanto Emilio Lussu sa perché il suo capolavoro, "Un anno sull'altipiano" (assolutamente da leggere) parli di un "altipiano" e non di un "altopiano" (quello di Asiago).
Comunque sia, colto dal raptus di recuperare i ricordi di scuola, sono andato a riprendermi le Operette Morali leopardiane e ho riletto il formidabile dialogo tra il viaggiatore e il venditore di lunari che cerca di sbolognargliene uno. E' brevissimo e fulminante, vale la pena di tenerne conto.

La frase da appuntare fra le massime citabili è questa: "Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?". Eh, già.