giovedì 5 aprile 2012

UN COSO COSI'

Mi diverto sempre quando metto insieme gli articoli con il "coso" nel titolo, e più che mai nello scegliere le immagini con cui illustrarli. Questa volta l'operazione è stata lunga e laboriosa ma mi sento particolarmente soddisfatto.
Le regole del gioco sono queste: più o meno una volta al mese, raduno in un unico articolo le cose più divertenti o interessanti (
testi, immagini e facezie, segnalazioni) pubblicate sul mio “coso” su Facebook. I testi che seguono hanno il pregio di essere brevi e scollegati fra loro, e dunque si possono leggere solo quelli che hanno il titolo più divertente o l'illustrazione più accattivante.


CHE FANNO?
28 febbraio. Scusate l'ingenuità, ma una soddisfazione che voglio togliermi prima che sia troppo tardi (cioè prima che non mi ci facciano entrare per raggiunti limiti di età o perché le barriere architettoniche impediranno l'accesso alla carrozzella su cui sarò costretto) è scoprire che cosa va a fare la gente in discoteca. So che c'è chi ci sta fino all'alba, finché, cioè, i locali non chiudono. A fare che? A parlare è impossibile perché quando ci sono andato io (quattro o cinque volte nella vita è capitato anche a me) la musica era troppo alta e non riuscivo a capire nulla di quel che mi veniva detto, e il buio rendeva difficile anche la lettura del labiale. Ci si va a bere? Allora si passa la notte in silenzio (per il rumore assordante spiegato prima) con il bicchiere sempre in mano? Io dopo due cocktail crollo addormentato. Qualcuno sarà pure più resistente, ma ammettendo che se ne possano sorbire due all'ora, dodici metterebbero al tappeto chiunque. Ci si va per ballare? Tutto il tempo? Uno deve scuotersi come un tarantolato per sei/sette ore di fila? E' quello il divertimento? Mezz'ora, un'ora, se uno è allenato con il tapis roulant in palestra, può darsi: ma tutta la notte? Qualcuno ha provato a dirmi: ma no, ci si va per trovare compagnia, cioè donne. Ecco, questo è il punto che capisco di meno. Perché, per come sono fatto io, se verso l'una trovassi compagnia, col cavolo che starei lì a far mattina! Alle due sarei già in un posto un po' più silenzioso, solitario e romantico. Dunque, a rigor di logica, chi passa la notte in discoteca è perché non batte chiodo. Se no sarebbe andato via prima, sottobraccio alla nuova conquista. O no? Mah.



UN ANGELO
1° marzo. Ciao, Lucio, e grazie per tutte le emozioni.



POSTEX ITALIANE
2 marzo. Il francobollo dedicato a Tex dalle Poste Italiane.



ECCOLO QUI
2 marzo. Dopo "Fumetto" di Lucio Dalla, ecco un'altra classica sigla (musica del re del gingle, Franco Godi).


INTERVISTA… NOCTURNIA
2 marzo. Anche "Nocturnia" mi ha intervistato. Grazie a Nick Parisi.

L’ISOLA SOTTO IL MARE
3 marzo. Ho finito di leggere già da qualche giorno "L'isola sotto il mare", di Isabel Allende (Feltrinelli, 2009). E' un libro bellissimo, di cui probabilmente mai dimenticherò la trama, il fascino, le emozioni. Tant'è vero che mi sorprendo anch'io a invocare (per un meccanismo di empatia e di catarsi) Erzulì, loa madre del voodoo, come Zarité, la schiava protagonista del racconto, che attraverso un lungo percorso di redenzione riesce a conquistare la libertà e a poter sperare in un futuro senza più la schiavitù. E' il primo romanzo della Allende che leggo, dopo "Afrodita" che proprio un romanzo non è, e mi chiedo che cosa mi abbia trattenuto dall'innamorarmi prima dell'autrice. Forse la sensazione che fosse una scrittrice "per donne"? O "politica"? Chissà. Fatto sta che "L'isola sotto il mare" non è né l'una né nell'altra cosa. O forse sì, dato che la visione del mondo che offre è sicuramente proposta con sensibilità del tutto femminile, ma assolutamente coinvolgente anche per l'altra metà del cielo. E, sia reso grazie a Erzulì, la politica c'entra ma solo se la su intende come stimolo a riflettere sui grandi temi e sulle grandi idee (la libertà, le disuguaglianze sociali, il progresso, la religione, il processo storico), cioè così come la intendo io, che ho potuto fare tesoro di ogni spunto che mi è stato offerto. La cosa singolare è che la prima metà del romanzo si svolge ad Haiti durante gli anni della grande e sanguinosissima rivolta di schiavi che portò la parte francese dell'isola di Hispaniola a diventare la prima repubblica nera della storia, e la seconda democrazia americana dopo gli Stati Uniti. Di questa grande e tragica, ma poco conosciuta, pagina di Storia ho parlato anch'io nell'avventura "Zagor contro Mortimer", ambientata appunto nelle Antille. Peraltro, e vi sembrerà strano ma è vero, io ho vissuto tre mesi a Port-au-Prince quando ancora c'era Baby Doc, il dittatore Francois Duvalier che mi è capitato persino di vedere. La seconda parte del romanzo della Allende si svolge invece in Louisiana, nei pressi di New Orleans, e lì comprare come personaggio (sia pur secondario), il pirata Jean Lafitte, che anch'io, in tempi non sospetti, ho inserito nella saga di Zagor in alcune avventure dello Spirito con la Scure.


LA PREGHIERA
3 marzo. La preghiera di Zarité, protagonista de "L'isola sotto il mare" di Isabel Allende, a Erzulì, loa del voodoo, perché protegga il suo innamorato, Gambo, schiavo come lei in una piantagione di canna da zucchero nel nord di Haiti, sottraendolo alla frusta del crudele sorvegliante Cambray:

"Prenditi cura di lui per me, Erzulì, loa delle acque più profonde. Vieni, Erzulì, madre, amante, con le tue collane d'oro puro, il tuo mantello di piume di tucano, la tua corona di fiori e i tuoi tre anelli, uno per ogni sposo. Aiutaci, loa dei sogni e delle speranze. Proteggilo da Cambray, rendilo invisibile agli occhi del padrone, rendilo prudente tu per gli altri, ma superbo tra le mie braccia, zittisci il suo cuore da bozoal appena giunto dall'Africa nella luce del giorno, perché sopravviva, e dagli coraggio nelle notti, perché non perda la voglia di libertà. Guardaci con benevolenza, Erzulì, loa della gelosia. Non ci invidiare, perché questa fortuna è fragile come le ali di un moscerino".


VIA GUGLIELMO LETTERI
4 marzo. Via Guglielmo Letteri, a Roma.



PECCATI DI GIOVENTU’
4 marzo. Illustrazione di un giovanissimo Antonio Serra per una fanzine realizzata in Sardegna negli anni Ottanta insieme a Bepi Vigna e Michele Medda.


MMS GPRS
5 marzo. Storia delle mie disgrazie (seguito). Sono terrorizzato con il nuovo smartphone in mano, cercando di capire dov'è che devo picchiettare con il dito per far comparire la testiera numerica o per rispondere a un messaggio, quando l'oggetto fa uno strano suono che mi spaventa. E' il primo SMS. Viene da Vodafone. Lo leggo: "Stiamo per inviarti via SMS la configurazione per i servizi MMS e/o WAP: salva e attiva le impostazioni". Eh? Che mi mandano? Che devo fare? E soprattutto, che sono i servizi MMS e WAP? Panico. Arriva un secondo SMS: "Selezionare 'Salva' da 'Opzioni' per configurare tutte le impostazioni. Punto di accesso MMS: Vodafone MMS GPRS. Impostazioni browser: Acc. Int. da cell". EEH? "MMS GPRS"? E che vuol dire? Che lingua parlano questi? Cos'è, il verso di un maniaco sessuale che mugula mmmh gggrppss via SMS? Aiutoooo!!!



L’ARCO E LE FRECCE
4 marzo. Ho passato un weekend con i miei figli. Nel pomeriggio, siamo stati sul mare a passeggiare, io e loro. Crescono. Mi sono ricordato di che cosa dice Kahlil Gibran ne "Il profeta". Dice questo: "I vostri figli non sono vostri. Sono i figli e le figlie del desiderio che la vita ha di se stessa. Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi. E, benché vivano con voi, non vi appartengono. Potete dar loro il vostro amore, ma non i vostri pensieri. Potete custodire i loro corpi, ma non le loro anime. Potete cercare di essere simili a loro, ma non potrete farli simili a voi. Voi siete gli archi da cui i figli come frecce vive sono scoccate avanti. E che il vostro tendervi nelle mani dell'Arciere avvenga con gioia, perché come Egli ama le frecce che volano, così ama l'arco che sta fermo".


ZAGOR O MISTER NO?
3 marzo. Ricevo da Giuseppe Pollicelli una mail intitolata "Trip bonelliani". Eccola: "A Roma i coatti lo chiamano 'flashare'. Vedere qualcosa che non esiste, vivere un'esperienza simile a un'allucinazione e subito rendersi conto, non senza un certo sconcerto, di avere avuto le traveggole. E' quanto è capitato a me quando ho visto sul sito della Sergio Bonelli Editore, tra le anteprime del prossimo mese, la copertina di Zagor di marzo. Di primo acchito, anziché, ciò che effettivamente mi veniva mostrato, io ho visto questo. Tant'è che il primo pensiero che mi ha attraversato come un lampo la mente è stato: "Ma che fanno, ristampano Mister No? O forse è un nuovo speciale?".


Come dargli torto? L'impressione è proprio questa. Aspettatevi altri "trip" del genere quando, fra pochi mesi, Zagor arriverà in Amazzonia.



LA LETTURA DELLA DOMENICA
4 marzo. Una mia lettura domenicale è, appunto, "La lettura": il supplemento letterario del "Corriere della Sera". Di solito, sono molto critico verso l'impostazione e i contenuti dell'allegato settimanale al quotidiano di Via Solferino: l'articolo "Il grande assente" pubblicato sul mio blog lo dimostra. Il "grande assente" non è soltanto il fumetto: è assente molta della letteratura che legge la gente, in favore di articoli snob di critici che se la suonano e se la cantano soltanto fra loro. Tuttavia, sul n° 16 in edicola oggi, dopo la solita insulsissima copertina pagata chissà quanto a Yue Minjun (se fossi il direttore, spenderei molto meglio quei soldi), troviamo un articolo di Fabio Genovesi sui cinquant'anni di Diabolik (una intera pagina ben illustrata! Wow!), e due tavole di Sergio Toppi, spacciate per "graphic novel": una indecifrabile consuetudine, quella delle due pagine di pseudo "graphic novel", che questa volta, almeno, arriva a dare spazio a un vero fumettista, o almeno, a uno di quello che hanno fatto anche fumetto popolare e persino seriale, contribuendo a far cadere gli steccati e mettendo d'accordo gli snob con chi i fumetti li legge tutti. Ciliegina sulla torta, c'è persino una intervista a Joe Hill, il figlio (nel senso letterale e non letterario della parola) di Stephen King. Che si stia avvicinando il giorno in cui in copertina metteranno una foto del Re o una illustrazione di Sergio Toppi o magari di Angelo Stano o Corrado Roi?




SONO PAZZE QUESTE RAGAZZE
4 marzo. Sono sempre colpito dalle differenze di genere fra uomo e donna, e continuo ad annotarle. Passiamo in edicola, io prendo due quotidiani e Le Scienze, lei un paio di riviste femminili grosse come elenchi del telefono. Mi sono sempre chiesto come sia possibile leggere quelle riviste: per trovare un articolo, devi cercarlo con il lanternino in mezzo a quintali di pagine di pubblicità di abiti, profumi, gioielli. Un po' di pubblicità, va bene, ma Marie Claire piuttosto che Cosmopolitan sono alti come un volume della trilogia Millennium e se si togliessero le pubblicità resterebbe una rivistina appunto come Le Scienze. Che è tutto di articoli e le poche pubblicità sono di libri. Eppure, le donne sono proprio le pubblicità quelle che cercano, pare. Cioè, spendono soldi in edicola per acquistare in pratica chili di pubblicità. Sono Pazze Queste Ragazze.



LA TESTA SOTTO LE LENZUOLA
5 marzo. Un padre va a svegliare il figlio: "Pierino, alzati che devi andare a scuola". Il figlio, coprendosi il capo con le coperte: "No, papà... oggi no, proprio non ce la faccio!". "Che cosa stai dicendo? Muoviti, che è tardi!". "No, papà... davvero non ci riesco!". "Ma perché?". "Perché non posso fare quello che voglio, perché pretendono troppo da me, perché ci sono regole e orari rigidi da rispettare... e poi perché tutti mi prendono in giro". "Pierino! Non fare storie e dai retta a papà!". "Ma io non ci voglio andare, a scuola!". "Ci devi ansare per forza, lo sai! Primo, perché è tuo dovere. Secondo, perché hai cinquant'anni. Terzo, perché sei il preside!". Me ne rendo conto anch'io ogni mattina, mettendomi a scrivere come sto per fare adesso o quando mi alzo per andare in ufficio: servono motivazioni a tutte le età, e non si smette mai di aver voglia di mettere la testa sotto le lenzuola.



TRE UOMINI A ZONZO
5 marzo. Io e miei ragazzi passiamo davanti alla vetrina di una libreria, dove fa bella mostra di sé il libro di Jerome Kapkla Jerome "Tre uomini a zonzo". Chiedo subito: "Che cosa vi fa venire in mente, quel titolo?". Avrei giurato che la risposta fosse scontata. E invece, tutti in coro rispondono: "Tre uomini e una gamba!". Il film di Aldo, Giovanni e Giacomo. Sgomento e costernazione. Ma come? "Non conoscete 'Tre uomini in barca'?". I ragazzi sembrano cascare dalle nuvole. Non è possibile: il ginocchio della lavandaia, zio Podger che attacca il quadro, i formaggi sepolti nella spiaggia, la trota di gesso, la canzone comica tedesca...! Io, a quindici anni, avevo già letto almeno tre volte "Tre uomini in barca". Oggi che ne ho (quasi) cinquanta, sarò arrivato a dieci. L'ultima volta in macchina in audiolibro, e al volante mi facevo certe risate che gli altri automobilisti si voltavano sconcertati a guardarmi. E' uno dei dieci libri che porterei con me sull'isola deserta. E come me, hanno riso milioni di persone in tutto il mondo. Ricordo di aver letto che Jerome conservava una copia tutta stropicciata attraversata da una pallottola: era in tasca di un soldato inglese morto nella guerra anglo-boera, un suo commilitone l'aveva mandata allo scrittore perché il caduto, prima di morire, pur negli orrori dei combattimenti, rideva sempre leggendo quel libriccino che portava sempre con sè, e tutti i compagni si chiedevano come si potesse ridere in mezzo alle bombe che esplodevano tutt'intorno.
Ho cercato di ricordare ai ragazzi che più volte, quando erano piccoli, ho letto loro delle pagine di "Tre uomini in barca" ma se anche qualche vago ricordo è riaffiorato nelle loro giovani menti, non sono stati in grado di ricollegarli con un titolo e un autore preciso. Hanno persino fatto confusione con gli episodi di "Bar Sport" che ugualmente a volte gli ho raccontato. Ora, è vero che, come cantano gli Stadio, se si chiede ai ragazzi chi erano i Beatles probabilmente non sapranno rispondere perché sono "nati ieri", ma ci sarà pure un motivo per cui io a quindici anni sapevo chi era Jerome e i miei figli, pur avendomi come padre e godendo di una biblioteca sterminata, non lo sanno. Ma a scuola, che gli insegnano? Boh. In ogni caso, per i quindicenni eventualmente in ascolto: "Tre uomini a zonzo" è il seguito di "Tre uomini in barca". Solo che il primo racconta di una vacanza di tre amici che risalgono in Tamigi a forza di remi, il secondo di un'altra vacanza in cui gli stessi tre girano in bicicletta per la Germania.



PICCOLO PICCOLO
5 marzo. Storia delle mie disgrazie (aggiornamento). Ci ho voluto riprovare. Dopo aver preso, due o tre anni fa, uno smartphone e averlo regalato per disperazione perché non riuscivo a usarlo (la cosa più normale era che le scritte si disponessero in orizzontale se lo tenevo verticale, e viceversa), mi sono incaponito che se tutti ce la fanno ce la devo fare anch'io. Così, ne ho preso un altro. La seconda possibilità. Cerco di organizzare l'oggetto nel modo migliore ma mi accorgo subito che le scritte sono troppo piccole, non riesco a leggere, dovrei trovare il modo di farle diventare più grandi. Così consulto la guida e cerco la spiegazione su come si fa per ingrandire le scritte. La spiegazione compare, ma è scritta così piccola che non riesco a leggerla.


LASSU' QUALCUNO CI AMA?
6 marzo. Leggo "Altrimenti mi arrabbio", l'autobiografia di Bud Spencer (Aliberti, 2010). E' una lettura gradevole piena di spunti interessanti. Mi ha colpito questo passaggio: "Era il 19 luglio del '43. Avevo tredici anni e tornavo a casa, a Roma, da Trieste, dove avevo appena ottenuto il titolo italiano dei cento metri stile rana. Scesi a San Lorenzo intorno alle nove del mattino e presi un taxi. Pochi minuti dopo, San Lorenzo fu raso al suolo nel tristemente famoso bombardamento americano che fece migliaia di vittime. Se il treno fosse stato in ritardo, se il taxi non lo avessi trovato subito, sarei rimasto là sotto pure io. Dovrei desumere che lassù qualcuno mi amava, ma significherebbe implicitamente dire che qualcuno non amava tutti gli altri che perirono". Ecco uno dei motivi per cui non credo ai miracoli: perché non capisco come possa essere che un Dio Buono ne salvi uno e lasci morire i mille prima e i mille dopo.


NON E’ ZAGOR
7 marzo. Emanuele Barison. Illustrazione NON zagoriana.



L’APPUNTAMENTO
7 marzo. Si avvicina l'appuntamento di Albissola (SV): più che una mostra del fumetto, sarà una mostra (monstre) di mostre, per numero di ospiti, prestigio delle iniziative, varietà delle location, qualità delle pubblicazioni. Le date sono quelle del 21 e 22 aprile 2012. Vi terrò informati. Intanto, oggi ho consegnato un mio lungo articolo per il catalogo, dal titolo (l'articolo) "La nona arte".


IL DIRITTO ALL'ACCOPPIAMENTO
7 marzo. Se succede abbastanza spesso a me, succederà anche a voi. Si tratta delle notizie che giungono in casa sui problemi che hanno nostre amiche, o amiche delle amiche, o figlie delle amiche, o amiche delle figlie, con i loro compagni maneschi. Una ha il marito geloso che la segrega in casa, una ha il fidanzato che la picchia, una ha il compagno che beve, gioca, è violento. C'è chi confida l'obbligo quotidiano a "soddisfarlo" (sic), e non è ammesso neppure il mal di testa. Se si prova a chiedere perché il cavernicolo di turno non venga abbandonato al destino che si merita, si riscontra una sudditanza psicologica delle vittime nei confronti del ceffo che abusa di loro. In altri casi, il timore di scatenarne la furia: "ha detto che se lo lascio mi ammazza". Magari non è vero, che lo farebbe, ma magari sì. In ogni caso va lasciato lo stesso, non ci sono cristi. Eppure, ogni tanto si sente dire: "La tale si sposa". "Come, si sposa? Ma il fidanzato non è quello che la maltratta sempre anche in pubblico?". "Sì, ma lei lo sposa lo stesso".
Ora, io non so che cosa ci troviate voi donne nei trogloditi che vi acchiappano per i capelli e vi massaggiano con le clave. Il mondo è pieno di bravi ragazzi, e non è detto che quelli bravi siano necessariamente noiosi. Ma se c'è una cosa sicura è che è meglio stare sole che male accompagnate. Ora, siccome ogni ceffo nasce da una donna, la colpa di aver messo al mondo quei pendagli da forca è vostro: ergo, tocca a voi eliminarli facendoli estinguere. Come? Semplice: non gliela date. I maneschi non devono aver diritto all'accoppiamento. Riproducetevi solo con esemplari garbati di Homo Sapiens, e lasciate all'onanismo chi ha la violenza nel DNA. Gente che disprezzo dal più profondo del cuore. Nel giro di dieci generazioni, salvo mutazioni genetiche da gettare dalla rupe Tarpea, resteranno in giro soltanto i maschi degni di questo nome, quelli che magari guardano le tette della vicina di casa perché le tette sono fatte apposta per attirare l'attenzione, ma poi sanno farsi perdonare, e il perdono se lo meritano. Le cerve si accoppiano che i maschi che vincono a cornate. Voi, fatelo con chi usa le mani per carezzarvi, lavare i piatti al posto vostro, farvi il solletico, massaggiarvi la schiena, scrivere lettere d'amore, regalarvi una rosa, dirvi di fare silenzio con il dito davanti al naso, prima di baciarvi.



PROCESSO A DIO
8 marzo. Ho letto "Processo a Dio", di Christopher Hitchens e Tony Blair (Piemme, 2012). Il titolo (che non trova corrispondenza nell'originale Be It Resolved Religion Is a Force For Good in the World) è fuorviante. I due protagonisti del dibattito non devono, in realtà, disputare sull'esistenza di un Creatore o sul fatto che questi sia un Padre Buono o una Causa Prima disinteressata al successivo sviluppo della creazione. Il tema su cui Hitchens e Blair si sono confrontati, in un dibattito pubblico di cui il libro risulta la trascrizione, è se la religione (qualunque religione) sia o possa essere uno strumento di bene nel mondo. Il moderatore, Rudyard Griffiths, spiega che i 2700 spettatori presenti, prima dell'inizio si sono espressi così: 25% propensi a rispondere sì (favorevoli alla religione), 55% propensi a rispondere no (contrari alla religione), 20% indeciso. Però, il 75% si è detto disposto a cambiare opinione dopo aver ascoltato i due oratori. Ora, la scelta di invitare Hitchens è logica scontata (e chiunque abbia letto lo strabiliante "Dio non è grande" sa perché). Invece, meraviglia di trovare Tony Blair, benché fervente cattolico, a difendere la pratica religiosa: si tratta pur sempre di un politico (per giunta laburista), di un laico e di un moderato. Non mi si fraintenda, io ho grande simpatia per Blair: immagino però che qualcuno più ferrato di lui in materia religiosa avrebbe potuto tenere testa un po' meglio di fronte all'agguerrito avversario. In ogni caso, Hitchens parte lancia in resta a dimostrare come nel mondo la religione invece di portare la pace fa scannare la gente (esempi a non finire) e Blair deve giocare in difesa citando i casi di religiosi che fanno del bene. Al che Hitchens replica che se è per quello si può fare del bene anche senza essere religiosi e infatti ci sono molte organizzazioni laiche che curano e assistono senza però fare proselitismo e non cercare di convincere a non usare i preservativi. Per farla breve (ma il tutto è molto interessante), alla fine del dibattito gli indecisi sono scomparsi: i favorevoli alla religione sono il 32% e i contrari il 68%. In compenso, pochi giorni dopo Christopher Hitchens è morto, così impara.


UN CUGINO CONTROCORRENTE
8 marzo. In una mail, l'amico Giuseppe Mariniello mi dice: "Visto che oggi è l' 8 Marzo ti segnalo un blog decisamente controcorrente: http://ilcugino.blogspot.com/". E io lo segnalo a voi, perché è davvero molto divertente.





IL VASCELLO NERO
8 marzo. Augustin Sanchez Vidal, Il vascello nero (Editrice Nord, 2009). Inizio dalla fine. A pagina 500, nella sua "nota dell'Autore", Sanchez Vidal parla dell'eredità lasciataci dagli inca. E scrive: "Quanto alle favolose ricchezze degli inca, nessuna è paragonabile alla patata, che Pablo Neruda chiamò 'tesoro interminabile dei popoli'. Ogni ora si consumano nel mondo circa ottanta tonnellate di questo tubero, che ha salvato dalla fame intere generazioni. I tentativi di fare attecchire la coltivazione hanno costituito un'impresa straordinaria, anche se solo di rado si tributa ad agricoltori ed eroi anonimi la gloria che si concede così ampliamente ad altre caste, come a quella militare". In effetti, sull'importanza della patata non ci piove (e vi prego di non fare sorrisi maliziosi). Ho letto questo libro, insieme a molti anni, per documentarmi riguardo alla storia di Zagor ambientata in Perù. Il romanzo è infatti ambientato alla fine del Settecento (1780) tra Madrid, Lima e Cuzco e racconta della ricerca della città perdura di Vilcabamba, là dove ripararono gli ultimi imperatori inca braccati dai conquistadores duecento anni prima. Zagor arriva in Perù quasi sessanta anni dopo. La lettura mi è stata molto utile per capire meglio il Paese andino, i suoi usi e costumi, la sua struttura sociale, la sua cucina e, ovviamente, la sua storia. Però, a parte il mio interesse professionale, non posso dire che si sia trattato di una lettura memorabile. Sì, la trama è ricca e piena di colpi di scena, con un personaggio femminile, la meticcia Umina, diretta discendente di Tupac Amaru, che al cinema potrebbe persino strappare qualche emozione, se del libro se ne traesse un film d'azione. Ma quanto a scrittura, siamo prossimi al grado zero. Nonostante le cinquecento pagine, sembra di leggere il riassunto di un altro romanzo. Se ne scorgono le potenzialità in mano a un altro scrittore degno di questo nome. Peccato perché tanta documentazione, scenari intriganti, epoca storia poco frequentata e location non troppo battuta avrebbero meritato uno sfruttamento migliore. Chissà Ken Follett che cosa ne avrebbe tirato fuori. Adesso, ovviamente, bisogna vedere che cosa ne tirerò fuori io.



RIDERE, RIDERE, RIDERE ANCORA
9 marzo. Ieri sera mi sono sorpreso a ridere e sghignazzare da solo in casa, verso mezzanotte, perché ho chiuso e riletto cinque tavole di una sceneggiatura con una gag di Cico che mi è venuta in mente verso l'ora di pranzo, appunto mentre camminavo per le strade attorno alla redazione in cerca di uno spunto che non fosse la solita truffa di Trampy o Cico affamato e senza soldi che cerca di rimediare da mangiare. L'idea è venuta e la sera l'ho scritta. Mi sono tornati in mente i tempi in cui scrivevo due speciali di Cico all'anno, venti tavole al mese di gag e di sketch, ero sempre alla ricerca di spunti comici e un po' era una maledizione ma poi da qualche parte le battute venivano e io e Gamba ci divertivamo da matti.


TEST DI ZAGORIANITA'
9 marzo. Siete veri zagoriani se riuscite a rispondere senza consultare la serie ad almeno trenta delle seguenti quaranta domande.
1) Il nome del Trading Post dove iniziano le avventure di Zagor.
2) Nome della prima tribù nemica sul n° 1, guidata dal perfido sakem Kanoxen.
3) Il nome del sosia di Zagor.
4) Il nome della strega della palude ne “La legge rossa”
5) In quale lago sorge “L’isola della paura” dove Helligen costruisce Titan?
6) Come si chiama il capo della tribù di Ottawa minacciata dalle incursioni di Titan?
7) Con quale trucco Iron Man riesce a sconfiggere Zagor in duello?
8) Qual è il vero nome di Iron Man?
9) Chi sono Kruger & Mayer?
10) Qual è l’hobby di lord Alex Nicholson?
11) Contro quale nemico Zagor e Tonka combattono insieme nella storia della prima apparizione del sakem Mohawk?
12) Quali sono i nomi di battesimo dei tre Sullivan?
13) Di quale tribù è sakem il bizzarro capo Mister-Mister?
14) Con quale nome è noto lo stregone Mohicano che indossa gli occhiali da vista?
15) Qual è il nome dello scienziato che dà vita a Molok?
16) Chi è Eddy Rufus?
17) Di quale materia è esperto il professor Mc Leod?
18) Di quale tribù è sakem Manetola?
19) Qual è la caratteristica principale del pellerossa Satko?
20) Cos’è il Pisum Alatum?
21) Cos’è il Going Going?
22) Qual è il nome per esteso di Cico?
23) Qual è il nome del padre di Zagor?
24) Su quale fiume sorgeva la capanna dov’è nato Zagor?
25) Chi è Wanderig Fitzy?
26) Di quale divinità celtica è sacerdote Kandrax?
27) Qual è il vero nome di Supermike?
28) Come muore Mohican Jack?
29) Qual è il vero nome del Re delle Aquile?
30) Di quale tribù è il ragazzino pellerossa rapito dal Re delle Aquile?
31) Con quale soprannome è meglio noto il bieco boscaiolo Bill Logan?
32) Qual è il vero nome di Fishleg?
33) Come si chiama la nave di Fishleg?
34) Qual è il nome del fakiro marinaio sulla nave di Fishleg?
35) Da quale porto salpa la nave di Fishleg per la sua “sfida all’ignoto”?
36) Qual è il nome del re vikingo di Wineland?
37) Qual è il nome del sottomarino di Hellingen?
38) Chi è Frida Lang?
39) Perchè Doc Lester si chiama “Doc”?
40) Come si chiama la banda di Eskimo?


IL SUGGERIMENTO DI GOOGLE
9 marzo. Cercavo su Google Immagini una illustrazione per suggerire a Gramaccioni come vestire una donna del West ed è venuta fuori questa.


POSSIBILI ABBIGLIAMENTI
9 marzo. Su Google Immagini, tra i possibili abbigliamenti western, c'è anche questa.


IL SOUVENIR DI PARIGI
9 marzo. In un post di ieri sera ho riportato un commento di Sanchez Vidal a proposito della patata come la più importante eredità degli Inca. Le patate sono arrivate in Europa, infatti, solo dopo la conquista spagnola del Perù. Ma quando è giunta in Italia, la patata? Sembra che il primo a importarla sia stato Alessandro Volta, che la portò nel nostro Paese di ritorno da un viaggio a Parigi. Su questo aneddoto, Achille Campanile ha imbastito uno dei più esilaranti racconti delle sue "Vite degli uomini illustri". Non se se avete mai letto i racconti di Campanile, ma io che ho perfino dato il nome di Belltower all'umorista protagonista di "Cico & Company" riesco a stento a trattenere gli sghignazzi soltanto al ricordo di alcuni. Insomma, per farla breve, che cosa scrive Campanile riguardo a Volta e alla patata? Racconta che nella casa di Alessandro, la moglie e i figli sono in attesa del suo ritorno dalla Francia. E tutti sono curiosi di scoprire che cosa abbia portato loro da Parigi. La moglie sogna profumi e vestiti comprati sugli Champs-Élysées, i figli immaginano e agognano balocchi e libri illustrati recati in dono dal babbo. Torna il capofamiglia e tutti speranzosi gli chiedono: "Che ci hai portato?". Volta apre soddisfatto la valigia e, tirando fuori il tubero, lo mostra orgoglioso ai congiunti: "Una patata!". Segue il linciaggio dell'illustre scienziato.


VAI ROUGE
9 marzo. Moreno Burattini con Enrico Ruggeri.



SALUTACI MAGNUS
11 marzo. Se ne è andata anche Maria Grazia Perini, a soli 61 anni. Tutti la ricordano come la mitica MGP dei tempi d'oro dell'Editoriale Corno. Fa parte anche lei dei bei ricordi di quando Alan Ford era un appuntamento memorabile ogni mese. Ho scritto di MGP nell'articolo del mio blog linkato qui, dove ho ricordato di averla conosciuta e di aver scambiato con lei alcune mail a proposito del cane Cirano, appurando che era stato di suo fratello. E' stata anche la modella di Magnus per il volto di Frieda Boher, la creatrice di Necron. Ma secondo me ha anche dei meriti per aver diretto una bella versione di Eureka, aver dato vita al Corriere della Paura, aver scritto diverse storie di Kriminal e Satanik. Ciao, MGP, e salutaci Magnus.


L’AURA MAGICA
12 marzo. E' morto Moebius. L'ho conosciuto, mi ha fatto un disegno, mi sono scattato una foto con lui. Non so perché, la foto venne danneggiata o mossa e mentre io apparivo normale, lui sembrava circondato da un alone di luce rossa, come se emanasse radiazioni o fosse un supereroe. Oggi credo che la macchina fotografica (una vecchia, ancora con la pellicola) abbia semplicemente impresso la sua aura magica.


IL GIORNO FELICE
12 marzo. C'è sempre un giorno, più o meno in questo periodo, in cui viaggiando in macchina vedo dal finestrino, in un campo di lato alla strada, un albero fiorito. Non fanno testo le mimose, ovviamente. Di solito sono fiori bianchi. Quel giorno, per me, è un giorno felice. Quello di quest'anno, è stato ieri.


IL CROONER
12 marzo. Moreno Burattini mentre canta in un locale dove va la sera ad arrotondare lo stipendio (non è vero, ma sembra).


FUORI FORMA
12 marzo. Ma come danno noia i libri fuori formato! Quelli che, chissà perché, gli editori hanno deciso di fare troppo larghi rispetto all'altezza, che sbuzzano fuori dalla fila e se li metti accanto a quelli profondi uguale sono però più bassi degli altri! ...O quelli più alti di qualunque spazio fra i ripiani, che uno deve per forza metterli distesi!


E IO PAGO!
12 marzo. La causa prima dei rapimenti a scopo di estorsione sono i riscatti pagati. Se nessuno pagasse i riscatti, non ci sarebbero i rapimenti a scopo di estorsione. Dunque, dovendo stabilire un modo di comportarsi di fronte ai sequestri, che serva a scoraggiare che si ripetano, la logica vuole che si imponga a chiunque il divieto di instaurare trattative con i rapitori, se non per intimare loro la resa riconsegnando l'ostaggio prima un raid li crivelli tutti di colpi o, se proprio vogliamo essere buoni, prima che una irruzione delle teste di cuoio li arresti per chiuderli in una cella senza finestre e buttar via la chiave. Capisco che le famiglie dei rapiti possano desiderare di pagare per non mettere a rischio la vita del congiunto, ma se è umana la reazione di un parente, lo Stato o men che mai le autorità sovrastatali dovrebbero pensare al bene comune e contrastare la pratica del pagamento del riscatto. Un sequestro dovrebbe essere causa soltanto di guai per chi lo mette in atto: è il modo migliori per consigliare i sequestratori a cambiar mestiere. Questa aura regola (che vale per qualsiasi colore politico o etichetta religiosa abbiano i sequestratori) dovrebbe valere ancor di più nel caso i cui i rapitori siano dei terroristi. Se un terrorista rapisce qualcuno e ne ricava un milione di dollari, quei soldi finiranno in bombe. Dunque, più che mai non bisogna evitare di pagare. E' per questo che mi fanno rabbia le polemiche italiane contro gli inglesi che hanno tentato un raid per liberare alcuni prigionieri in mano a degli estremisti, in Africa. Il raid ha provocato la morte degli ostaggi (e dei sequestratori), e di ciò c'è da rammaricarsi. Ma l'assalto era l'unica cosa da fare. Non la trattativa, come pare preferiscano da sempre gli italiani. E la morte dei sequestrati non è da imputare agli inglesi, ma ai terroristi. Se i terroristi non avessero rapito gli ostaggi, questi non sarebbero morti. Dunque prendiamocela con i terroristi, non con gli inglesi. Il cui esempio, casomai, dovrebbe essere imitato da tutti (magari riuscendo qualche volta a organizzare raid migliori in cui muoiano soltanto i cattivi di turno). Ogni tanto, a qualcuno di questi raid potremmo partecipare anche noi italiani, senza lasciar fare sempre il lavoro sporco agli altri (e poi ci meravigliamo se non ci informano).


CEST CEST CEST
13 marzo. Ieri mi sono letto, tutta insieme, l'ultima avventura di Tex. La lettura è stata gradevole ma ho trovato belli soprattutto i disegni di Raul e Gianluca Cestaro: notevolissimi. Il che mi conferma nella mia idea che, se togliamo i colori, non ci sono americani o francesi che possano superare la scuola italiana, soprattutto nel western.


IL QUARTO POSTO
13 marzo. Ho sentito al TG la notizia che le Poste Italiane sono salite al quarto posto tra quelle che funzionano meglio al mondo. Ho pensato: non ci credo. Io trovo sempre code chilometriche, tariffe esose, moduli inutili da compilare, ritardi nelle consegne, postini a singhiozzo, pacchi danneggiati, rimandi da uno sportello all'altro. Ho provato a cercare la fonte in Rete. Ho digitato su Google (potete farlo anche voi): "Poste italiane Corriere della Sera" per vedere se saltava fuori qualcosa tra le news. Ecco i primi titoli che vengono fuori: "Nel 2011, raccolta netta negativa di risparmio"; "Dalle Poste di Piazza Bologna impossibile spedire in Giappone"; "Poste Italiane: maxi multa Antitrust da 30 milioni"; "Server in tilt le Poste si bloccano"; "Poste italiane, servizi ancora a singhiozzo"; "Antitrust: scorporare Banco Posta da Poste Italiane". E qui mi sono fermato. Se le nostre Poste sono al quarto posto al mondo, chissà le altre.


L’EVOLUZIONE DELLA SPECIE
13 marzo. Lo segnala Matteo Stefanelli, e non posso fare a meno di segnalarlo anch'io.


TANTE SCUSE
13 marzo. Mi è capitato di vedere il bravo Enrico Brignano ospite in due programmi TV: il Premio Regia Televisiva (dove veniva premiato per la conduzione de "Le iene") e lo show di Giorgio Panariello. Nel primo caso ha detto una frase di questo tipo: "Noi delle Iene facciamo i servizi e il giorno dopo arrivano i carabinieri" (cioè, le forze dell'ordine intervengono là dove il programma ha segnalato delle magagne). Subito Carlo Conti, che conduceva la trasmissione, è intervenuto per ribadire quel che era comunque ovvio, e cioè che nessuno metteva in discussione l'efficienza né dei carabinieri né della polizia. E Brignano, evidentemente sorpreso della puntualizzazione, già a dire: "no, infatti, ci mancherebbe altro, anzi, le forze dell'ordine dono sempre solerti". Da Panariello, Brignano ha vestito i panni, in uno sketch, di un cuoco egiziano in una trattoria tipica romana, che cucina il cuscus all'amatriciana. E anche lì, alla fine, scuse e precisazioni: non volevo offendere gli arabi, si scherza, anzi, ho tanti amici magrebini o musulmani o quel che sono. Ecco, secondo me, se non si è più liberi di fare una battuta senza mettere le mani avanti o senza scusarsi dopo, è molto triste. A tanto ci ha portato il politicamente corretto.


ZAGOR IN PATAGONIA
14 marzo. Gianni Sedioli. Illustrazione a colori ispirata alla storia "Zagor in Patagonia", di prossima pubblicazione.

LA POLTRONA
15 marzo. Mentre ero salito a prendere della documentazione per una copertina, Gallieno Ferri ha appoggiato la sua borsa sulla mia poltrona. Torno e Ferri mi dice: "Scusa, ho occupato la tua poltrona". E io: "Gallieno, quella poltrona non ci sarebbe se non ci fossi tu".


WORKS IN PROGRESS
15 marzo. La "bozza di stampa" o "cianografica" (per usare un vecchio termine tecnico) del prossimo albo di Zagor, in corso di lavorazione, in uscita a inizio aprile. I post-it che si vedono sono i punti da correggere trovati nell'ultima lettura.


PURO VANGELO
16 marzo. Nell'Almanacco della Paura 2012 c'è un articolo di Giuseppe Lippi su Anne Rice, la scrittrice specializzata in succhiasangue (è suo "Intervista con il vampiro"). Al di là dell'interessante disamina sulla sua produzione, ho trovato una citazione da incorniciare. Pare che la Rice, divenuta fervente cristiana, abbia rifiutato di rinnegare i suoi principi laici. Ecco che cosa dice: "Nel nome di Cristo, mi rifiuto di essere anti-gay. Mi rifiuto di essere anti-femminista. Mi rifiuto di essere anti-democratica. Mi rifiuto di essere contro l'umanesimo laico. Mi rifiuto di essere contro la scienza. Mi rifiuto di essere contro la vita. La mia conversione da atea pessimista persa in un mondo che non capivo, a ottimista credente in un universo creato e sostenuto da un Dio amorevole, è fondamentale per me. Ma seguire Cristo non significa seguire i suoi seguaci. Cristo è infinitamente più importante della cristianità e lo sarà sempre, non importa ciò che il cristianesimo è, è stato, o può diventare". In effetti bisogna essere davvero ottimisti per vedere nel mondo la mano di un Dio amorevole, ma sono d'accordo sul fatto che nessuna religione, appunto in quanto tale (cioè fede in un comune creatore del genere umano), dovrebbe essere omofoba, o discriminatoria verso le donne, o contro il progresso scientifico e via dicendo.


L’ULTIMO SCONTRO
17 marzo. Oggi ho iniziato a scrivere una storia di Zagor intitolata "L'ultimo scontro", con il ritorno di Mortimer. La disegnerà Marco Verni.


LA CLASSIFICA
17 marzo. Mi sono accorto soltanto adesso della classifica 2011 degli albi Bonelli e "bonellidi" stilata dalla ml "Ayaaak!" (nessun collegamento con Zagor se non nome, nel senso che non si parla solo dello Spirito con la Scure - anzi, se ne parla poco) sulla base dei voti dei frequentatori. Fra le storie, l'albo di Zagor "Duello sull'oceano" (Boselli/Rubini) è medaglia di bronzo (al terzo posto su oltre cento pubblicazioni), e il mio "La banda aerea" (disegni dei Di Vitto) è il miglior Maxi e occupa comunque il settimo posto in assoluto. C'è anche un altro ottimo risultato: Miglior Speciale Zagor Speciale #23 - La danza degli spettri (Perniola/Mangiantini).

Riporto qui la classifica delle serie 2011 e i relativi voti.

1 Valter Buio 8,30
2 Lilith 7,65
3 Tex 7,31
4 Zagor 7,24
5 Nuvole Nere 7,20
6 Kepher 7,20
7 Cassidy 7,08
8 Dampyr 6,96
9 Dr. Morgue 6,90
10 Shanghai Devil 6,87
11 Nathan Never 6,60
12 Martin Mystere 6,28
13 Brendon 6,19
14 The Secret 5,93
15 John Doe 5,84
16 Dylan Dog 5,78
17 Julia 5,71
18 San Michele 5,13
19 N.O.X. 4,95
20 Pinkerton 3,55

Si nota che togliendo Valter Buio (che non è una serie Bonelli) e Lilith (che è una serie sui generis e conta soltanto due uscite l'anno), tra le classiche collane bonelliane vincono Tex e Zagor, divisi da una incollatura (ci vuole in fotofinish).


IL CATALOGO ACME
17 marzo. Mi sono letto ieri sera, con moltissimo gusto e soddisfazione, "Il catalogo ACME" (Panini Books, 2011). Si tratta dell'immaginario (ma credibilissimo) catalogo della ditta che da sempre rifornisce i personaggi Looney Tunes della Warner Bros. Quante volte abbiamo visto Wyle Coyote acquistare per corrispondenza gli articoli più insoliti per cercare di catturare il Road Runner? Le incudini, le calamite, i razzi, i super-elastici, le trappole per struzzi... tutto materiale descritto nel libro con dovizia di particolari e con tanto di prezzi e costo di spedizioni, come nel catalogo Postal Market. Come rinunciare alla "Piattaforma balistica di lancio" da montare in giardino per spedire in orbita il bidone della spazzatura stracolmo o il cane del vicino che continua ad abbaiare durante l'ora della pennichella? Anche se l'oggetto più rappresentativo è senza dubbio il "Detonatore per TNT a stantuffo" (15,95 dollari più 4,5 per l'invio a domicilio), io vado matto per i "Fake Holes", cioè i buchi fasulli: sono sottili membrane circolari da stendere sul terreno, dove immediatamente creano un tombino in cui cadere. Ma anche la vernice per dipingere falsi tunnel nelle pareti di roccia è un articolo che vale la pena di prendere in considerazione, prima che vada esaurito. Qualche altro oggetto? Il cespuglio mimetico portatile, il bazooka spara camicia-di-forza, il barattolo di api, il masso liofilizzato, la pistola disintegratrice, l'incudine che ha un peso di maneggiamento di 0,1 Kg ma di 1,5 tonnellate in caduta, i pattini a reazione... ce n'è davvero per tutti i gusti. Ma soprattutto, acquistando dalla ACME, scoprirete che non esistono trattamenti di favore: "Non esistono clienti di serie A, indipendentemente dall'entità del suo ordine, chiunque è trattato come un cliente di serie B".


ZAGOR IN DALMAZIA
17 marzo. Marco Verni. Illustrazione per il MaFest in Croazia (maggio 2012).



ODORE DI CHIUSO
17 marzo. Ho letto "Odore di chiuso", di Marco Marvaldi (Sellerio, 2011). Un giallo davvero divertente che, soprattutto, ha il pregio di ricostruire un ambiente, un'epoca e dei personaggi con una vivacità tale da renderli veri e credibili nonostante il fatto che l'autore (per un vezzo che non condivido, ma che non danneggia la lettura) a ogni piè sospinto rimarchi che "siamo in un romanzo" e dunque tenda a far sentire il lettore complice del suo lavoro di affabulatore, più che dell'affabulazione stessa. La storia è ambientata in Maremma alla fine dell'Ottocento, in un antico castello di proprietà di un barone ormai in decadenza (c'è un po' il ricordo del "Gattopardo"), tra le cui mura ci scappa il morto. Fra i protagonisti, Malvaldi inserisce Pellegrino Artusi, il celebre buongustaio romagnolo (ma trapiantato a Firenze), autore del fondamentale libro di cucina di cui tutti sappiamo. La figura dell'Artusi è caratterizzata con grande talento narrativo, e sulla base di un'ottima documentazione, così che il suo ritratto riesce effervescente e vitale: uomo brillante, colto, arguto, moderno pur essendo figlio della sua epoca, pieno di piccole manie ma appunto per questo empatico con il lettore. Diversamente da quel che si può credere (sulla base di altri gialli in cui i personaggi storici di turno vestono i panni degli investigatori), fortunatamente l'Artusi non è il deus ex machina della situazione, e il colpevole viene scoperto da un poliziotto, il delegato Artistico. Tra le comparse del romanzo, anche l'indimenticabile cameo di Giosuè Carducci, immortalato nell'improvvisare endecasillabi sconci mentre piscia su un portone. Alla fine ci si accorge che non è il meccanismo giallo a essere il principale punto di forza del romanzo, quanto il teatrino dei personaggi, tutti descritti e raccontati in modo esilarante con grande profusione di dissacrante humour toscano (e di una lingua risciacquata nel Serchio). Pare che, in origine, l'idea di Malvaldi fosse quella di intitolare il libro "Tre uomini a caccia" e scriverlo mettendosi nei panni di Jerome Kapkla Jerome (come se si trattasse di un diario dell'umorista britannico), dunque ambientandolo nell'Inghilterra di fine Ottocento. Invece, poi, tutto è stato spostato nella Toscana del 1895 (e vi si respira infatti la politica post-unitaria). Uno dei pregi, ai miei occhi, è però quello che si tratta però di un giallo all'inglese, con un maniero, la servitù, un nobile, degli ospiti in un ambiente chiuso. Finalmente, non un noir dai toni cupi!


ELBANO E MELOZZO
19 marzo. Ieri c'è stata, in una chiesa di Firenze, la cresima della figlia di mia sorella. Ovviamente, da bravo zio, non sono potuto mancare. Il problema era raggiungere il luogo della cerimonia, zona stadio, in via Gasperi (come diceva un appunto che mi ero segnato). Vi ho già spiegato che io ho un navigatore satellitare particolarmente ottuso, che pretende l'inserimento di un indirizzo dettagliato al massimo grado, se no dice che non lo trova. Per fare un esempio, non trova a Milano una via famosissima come "Via Forze Armate" se non glielo scrivo "Via DELLE Forze Armate". Non trova via Garibaldi se non gli si dice: "Via GIUSEPPE Garibaldi". Così, figuriamoci se ieri trovava Via Gasperi. Il dubbio era: come si sarà chiamato questo Gasperi? Provo con "Bruno", niente. Aldo, Giovanni, Giacomo, niente. Alla fine telefono, in viaggio, a mia sorella. Panico anche da parte sua. Comincia un consulto famigliare: "chiedo e ti richiamo". Giro di telefonate, ricerche su Internet. Alla fine ecco il nome: Elbano. Digito "ELBANO Gasperi", e il navigatore (bontà sua), allora sa dov'è. Certo che ad Elbano, andando per tentativi, non ci sarei mai arrivato. Elbano! Ma come si fa a dare certi nomi ai figli? Sempre meglio di un'altra via, questa volta a Milano, dove dovevo andare qualche giorno fa: "M. da Forlì", diceva l'appunto. "M." che? Marco? Massimo? Michele? Alla fine era: Melozzo. Dopo la cresima, mia figlia mi dice: "Babbo, mi porti a casa di una mia amica?". "Certo: in che via sta?". "In via Bellini". Argh! Come si chiamava Bellini? Benvenuto era Cellini, Gioacchino era Rossini. Ci sono volute tre telefonate per arrivare a Vincenzo.


RICORDI PARROCCHIALI - 1
19 marzo. Vedere ieri, nella chiesa dove mia nipote ha ricevuto la cresima, tutta la coreografia liturgica con gli spostamenti di cardinali, sacerdoti, chierichetti e parrocchiani secondo piani ben studiati, mi ha fatto tornare in mente un aneddoto piuttosto divertente accaduto molti anni fa. Ho raccontato sul blog della mia militanza tra le fila di una compagnia teatrale e di alcune mie ambizioni di regista di commedie. In ragione di questo mio piccolo curriculum, il parroco mi chiese (avrò avuto diciott'anni) se potevo aiutarlo con la sacra rappresentazione della messa di Natale. Così, mi metto al lavoro e organizzo un meccanismo scenico con i fiocchi e controfiocchi: complici anche i costumi realizzati da una brava costumista e una selezione accurata dei figuranti adatti all'uopo, ecco nascere una suggestiva Annunciazione prima che la Messa cominci (musiche e luci tutte studiate ad arte), poi la ricerca della capannuccia e la Natività al momento del Vangelo, per arrivare all'arrivo dei Re Magi con i doni all'Offertorio. Tutto perfetto. Sennonché, da tempo c'era, all'epoca, una banda di teppisti che si divertiva a sfregiare i muri della chiesa, rovinare le aiuole e a fare bravate di questo tenore. E che cosa fanno gli esuberanti giovinastri proprio durante la Messa di Natale? Spalancano il portone della chiesa affollata di gente e gettano un razzo luminoso (uno di quei fuochi artificiali di Capodanno che fanno fiamme e scintille ma non esplodono) verso l'altare. Il caso vuole che il razzo voli sopra le teste di tutti, e si perda dietro il celebrante, proprio mentre i Re Magi arrivano verso la capannuccia. Tutti strabuzzano gli occhi e una voce corre su tutte le bocche: "La stella cometa!". Scatta un applauso scrosciante. L'intera platea ha creduto che il razzo fosse stato gettato apposta, che facesse parte dello spettacolo, e fosse dunque una mia idea. Non ho mai ricevuto tanti complimenti come regista come in quell'occasione.


RICORDI PARROCCHIALI - 2
19 marzo. Secondo aneddoto che mi è venuto in mente durante la cresima di mia nipote. La mia cresima, quando ero ancora un bravo ragazzo. Ricordo che ci fu fatto fare, dal parroco, un questionario per testare la nostra preparazione di cresimandi su quanto avevamo imparato frequentando il catechismo dalla prima elementare fino alla prima o seconda media (non so più a che età si passasse a cresima a quell'epoca). Rammento la disperazione del sacerdote quando, alla domanda "racconta un miracolo di Gesù", uno dei miei compagni rispose: "La resurrezione dei pesci". E il suo sgomento quando un altro, deciso a raccontare un prodigio per filo e per segno, scrisse così: "E Gesù disse al CIECO: alzati e cammina".


RICORDI PARROCCHIALI 3
19 marzo. Il vescovo tiene un discorso ai cresimandi, prima della cerimonia, ricordando un famoso episodio del Vangelo. Si tratta della visita di Gesù alla famiglia di Betania, dove ci sono Marta e Maria. Marta si dà da fare per preparare una cena degna dell'ospite di riguardo e sfaccenda in cucina. Maria siede ai piedi di Gesù e lo ascolta parlare, senza muovere un dito. Al che Marta la rimprovera: vieni a darmi una mano! A questo punto, il vescovo si rivolge ai ragazzi con questa domanda: "Cos'era più bello da vedersi, il darsi da fare di Marta o il sedere di Maria?". E tutti i ragazzi in coro: "Il sedere di Maria!". Ovvio! Che domande.


IL WIZIETTO
19 marzo. Sono sempre stato innamorato delle comic strips e il mio sogno (uno dei tanti) sarebbe di poterne scrivere una, pubblicando una vignetta tutti i giorni feriali (se i quotidiani italiani li pubblicassero). In gioventù ho disegnato da solo (figuratevi con quali risultati) almeno tre serie composte da oltre cento strisce l'una: nell'ordine "Mariano il partigiano", "Gilfredo", "Costante il casellante", più "Battista il Collezionista" una serie che, oltre alle strisce, conta diverse storie lunghe. Sono stato felicissimo, dunque, di trovare in fumetteria "Il mago Wiz - 1971", di Brant Parker e Johnny Hart, un volume della Panini Comics (2011) che raccoglie tutte le strisce giornaliere e le tavole domenicali del '71 di "Wizard of Id". Non ho ben capito perché proprio il 1971, dato che Il Mago Wiz è stato creato nel 1964 e, volendo iniziare una serie di volumi cronologici bisognava partire dunque da sette anni prima. Speriamo almeno che ci siano presto il 1972 e tutti i seguenti (fino ai giorni nostri, dato che la strip continua tuttora, dopo la morte dei due creatori, avvenuta nel 2007, grazie al lavoro dei rispettivi figli e famigliari). Le strisce sono tutte molto divertenti, alcune esilarati, e il talento grafico di Parker è strepitoso. Mi è molto piaciuto il corredo critico del volume, con articoli sugli autori e degli autori. Così Johnny Hart racconta la nascita di Wizard of Id: "Due anni dopo l'esordio di B.C. nacque Il Mago Wiz, che rimase in letargo per diverso tempo. Ne feci parola con Brant Parker e gli chiesi se gli andasse l'idea di illustrarlo. Con mia grande gioia, lui accettò. Io e Brant completammo Wiz insieme nel corso di tre giornate (e nottate) di fuoco in una piccola e umida stanza di hotel a New York, appendendo alle pareti le strisce appena disegnate. Quando non ci fu più spazio sui muri, chiamammo il syndacate per chiedergli se fossero interessati a una nuova striscia. La risposta fu affermativa. I tizi del syndacate giunsero prima del previsto, sorprendendo Brant a piedi nudi e senza camicia e me in mutande che mi radevo la barba di tre giorni. Ignorandoci completamente, iniziarono a percorrere le pareti e a esaminare il nostro duro lavoro, spostando di tanto in tanto coi piedi l'occasionale bottiglia di birra vuota, via via che leggevano. Quando ebbero terminato, si sedettero in mezzo a quelle macerie fissandoci dritti negli occhi. Dissero: 'Vi troviamo assolutamente disgustosi, ma la striscia è grandiosa. La prendiamo!". La testimonianza di Hart si conclude con una frase che mi devo incorniciare, perché descrive qualcosa che tutti gli autori di fumetti di trovano a vivere: la paura di restare a secco di idee. "Per anni ho avuto problemi a farmele venire perché ne avevo bisogno per il mio lavoro. Poi un giorno mi è venuta in mente una cosa: restare a secco di idee è assolutamente impossibile. E allora... wow!".


WHAT IF?
19 marzo. Il premio Cartoomics, attribuito dalle edizioni IF sulla base di voti di addetti ai lavori, che ho vinto nel 2006 come miglior sceneggiatore.


L’UOMO CHE SCONFISSE LA MORTE
19 marzo. Marco Verni ha finito di disegnare il secondo Zagorone, "L'uomo che sconfisse la morte". E mi ha mandato una mail in cui scrive: "Di tutte le storie che ho fatto insieme a te è quella più riuscita... se fossimo a giochi senza frontiere mi giocherei il jolly. Sinceramente non mi vengono in mente critiche che possano essere fatte a questa avventura a parte quelli che diranno che sarebbe stato meglio fosse stata disegnata da Ferri, Laurenti ecc. ecc". Personalmente, mi pare che questa storia sia perfetta per Marco. E gioco il jolly anch'io.


PENSIERI NERI
19 marzo. Dopo aver letto l'edizione integrale di "Pensieri neri" di Franquin (Edizioni Nona Arte, 2011) mi vengono alla mente due domande. La prima: quando mai ci sarà una edizione integrale di TUTTA la produzione dello straordinario Fraquin? Immagino i volumi con Spirou, Fantasio, il Marsupilami, Zorglub, Gaston, Modeste e Pompon... certo che ce ne vorrebbero di tomi. La seconda domanda è: quanto mai avrà potuto vendere questo volume della Nona Arte? Mille copie? Duemila? Cinquemila? Se fossero cinquemila, mi parrebbe un miracolo. Dunque, se ci sono in Italia almeno cinquanta milioni di abitanti che sanno leggere, perché non ne ha venduti dieci milioni (ipotizzando che un volume lo leggano in cinque)? Mah. A me certi libri (non solo questo, ovviamente) sembrano una delle cose fondamentali della vita. In ogni caso, per dare un'idea dell'humour nero del Franquin di Idées Noires, basterà descrivere questa vignetta: un samurai ha appena fatto harakiri e sorride soddisfatto vedendo che, fra le sue budella sventrate rotolate sul pavimento c'è un cancro e dunque sarebbe morto lo stesso.

SPALLE LARGHE
20 marzo. Pino Rinaldi. Illustrazione inedita dal titolo "Le spalle".


LA TEORIA DELLE STRINGHE
20 marzo. Ieri, uscendo di casa per andare in stazione, incrocio un amico dei dei nostri ragazzi, che entra. Lo saluto e gli dico: "Guarda che stamattina, nel vestirti, hai messo due stringhe diverse sulle scarpe!". Infatti, una sua scarpa aveva una stringa color giallo fosforescente, l'altra una stringa nera. "Ma no! Le vendono così - mi spiega il ragazzo - è la moda!". Per tutto il viaggio in treno ho tenuto ben nascoste sotto il sedile le mie scarpe, perché qualcuno non dicesse: "Ma guarda quello, ridicolo, con due stringhe delle stesso colore!".


IL REVISIONISTA
21 marzo. 21 marzo 2012. L'inizio della revisione finale dello Zagorone n° 2, "L'uomo che sconfisse la morte", di Burattini-Verni (in uscita nel maggio 2012).


IL MACELLO
21 marzo. Sento in un corridoio della Casa editrice un collega che racconta a un altro di una volta che gli capitò di accompagnare un nostro furgone con gli albi destinati al macero (copie fallate o rese inutilizzabili o chissà che). Là dove si portano le pubblicazioni al macero (dovunque sia un posto terribile del genere) non c'erano, dice il collega, soltanto fumetti, ma migliaia e miglia di libri. Mi sono chiesto se mi piacerebbe o non mi piacerebbe lavorare lì. Chissà se è possibile salvare dalla riduzione in brandelli qualche copia, e dunque riempirsene la casa e regalarne ad amici o parenti (oppure venderli? Ci sarà chi lo fa?), oppure si può solo assistere allo scempio come gli addetti alla macellazione, abituati al sangue e alla morte?


ESSENZIAL ELEVEN
21 marzo. Dopo aver commissionato al sottoscritto la classifica delle 11 migliori storie bonelliane di tutti i tempi, lo Spazio Bianco pubblica la classifica delle 11 migliori storie di Tex stilate da Franco Busatta.


IL CAVALLO DI BATTAGLIA DI DAPPORTO
23 marzo. "Il vedovo allegro" è una mia commedia che, zitta zitta, sta venendo rappresentata da venticinque anni sempre con immutato successo. Sabato e domenica andrà in scena, per esempio, anche a Cuneo. La cosa buffa è che nel sito dove se ne parla si dice che il mio testo è alla base dell'omonimo film degli anni Cinquanta con Carlo Dapporto. Invece, com'è ovvio, essendo andata in scena per la prima volta nel 1986, il mio "Il vedovo allegro" ha in comune con la pellicola di Mario Mattoli soltanto il titolo (e questo perché all'epoca non sapevo che esistesse già un film così intitolato). Il dubbio è: La compagnia "Gli improbabili" di Cuneo ha voluto giocare sull'omonimia per attirare più gente in teatro ("è una commedia un tempo cavallo di battaglia del grande Dapporto!") o perché non sanno neppure loro la verità?

PRETTY WOMAN
23 marzo. Il moralismo perbenista politicamente corretto fa un'altra vittima: "Pretty Woman", Richard Gere rinnega il film che lo ha consacrato (e che a me è sempre parso strepitoso - e oggi potrei dire anche coraggioso). Ma non rinnega "American Gigolò", dove a prostituirsi era lui. Evidentemente quel che è permesso agli uomini non è permesso alle donne, compresa la mercificazione del corpo. Ma figuriamoci. Speriamo che non dipenda dal buddhismo, che rischia di diventare il manifesto del politicamente corretto, invece di quello (per cui lo ammiro, senza aderirvi) della tolleranza. Così, io a mia volta rinnego Richard Gere e non andrò a vedere il suo nuovo film in uscita, "The Double". Tiè! Invece, se Julia Roberts rinnegasse allo stesso modo Vivian Ward... no, lei la andrei a vedere lo stesso.


AMERICAN GIGOLO?
23 marzo. Collegamenti di idee. Ivo Milazzo: copertina della rimpianta ma mai dimenticata rivista Glamour International Magazine (anni Ottanta). Ken Parker con tante Pretty Women interpretate da grandi attrici.


LE PICCOLE STATUETTE CRESCONO
23 marzo. Ho fatto visita alla mia edicola do fiducia sulla passeggiata di Viareggio, dove (causa Carnevale e viali chiusi nei weekend, quando sono a casa) era da un po' che non mi recavo. Ho ritirato così le prenotazioni giacenti, tra cui le ultime statuette della collezione "Fumetti in 3D" della Hobby & Work. Si conferma la mia teoria per cui in questa serie vengono meglio i personaggi umoristici di quelli realistici. Infatti, sono rimasto estremamente deluso da Brendon. Invece Gea, che è realistica fino a un certo punto, è venuta bene. Ma assolutamente strepitosi sono Cocco Bill e Zorry Kid e da Oscar è Nick Carter.


BERARDI & MILAZZO GLAMOUR BOOK.
23 marzo Ivo Milazzo. Copertina del Glomour Book dedicato a Berardi & Milazzo (Glamour International Production, anni Ottanta).

IL CARRELLO DELLA SPESA
23 marzo. Una va a fare la spesa all'Esselunga e cerca di risparmiare mettendo nel carrello soltanto merce con i cartellini delle offerte speciali: i cetriolini sott'aceto a 2,43 euro invece che 2,56, i corn fakes a 1,99 invece di 2,12, gli yogurt non di marca invece di quelli Yomo o di Vipiteno. Poi, sempre quell'uno, passa davanti agli scaffali dei libri e mette nel carrello nell'ordine: l'ultimo romanzo di Isabel Allende "Le avventure di Aquila e Giaguaro" (Feltrinelli, 15,30 euro), un saggio sulla vita privata di Darwin dal titolo "L'evoluzionista riluttante (Le Scienze, 12,50 euro), l'ultimo giallo di Marco Malvaldi "La carta più alta" (Sellerio, 11,05 euro), l'Urania di marzo "John Carter" di Edgar Rice Burroughs (Mondadori, 5,90 euro), un CD storico posseduto solo in vinile, Eugenio Finardi "Roccando Rollando", e il DVD con l'edizione restaurata di "Fantasia" della Disney. Ah, per chi non l'avesse capito, quell'uno sono io.


LA BOUTIQUE DELLE ZINGARE
24 marzo. Stamattina mi è capitato di pensare alle zingare. Non in termini razzistici, non sia mai, ma semplicemente come curiosità di quelle che vengono in mente mentre si cammina per strada e si lascia la mente libera di vagare. Il punto riguarda quel tipo di zingare, di cui non saprei dire l'etnia o la provenienza, che si vedono di solito frugare nei cassonetti della Caritas in cerca di vestiti e chiedere l'elemosina, normalmente con un bambino in braccio. Quel che colpisce è che si tratta di donne abbigliate inequivocabilmente da zingare: cioè, indossano abiti caratteristici per cui se uno le vede dice "quella è una zingara". Domanda: ma se le zingare frugano nei cassonetti e vivono di elemosina, in teoria dovrebbero vestirsi come tutti, solo con abiti un po' più stropicciati. Si dovrebbero insomma mettere le gonne dismesse dalle altre donne e le camicette recuperate alla Caritas. L'unica differenza fra una madre di famiglia non nomade e una nomade dovrebbe essere il grado di usura dell'abbigliamento. Invece, le nomadi indossano gonne fiorite lunghe fino ai piedi tipiche di una mise zingara, gonne che non si trovano (oserei dire) nei cassonetti. Dunque: dove se le procurano? Dove sono le boutique delle zingare? E se si mettono quelle gonne lì, perché frugano nel cassonetti in cerca di gonne e camicette che non indosseranno? Mah.



LA BALLATA DI TEX WILLER

24 marzo. La ballata di Tex Willer.
Interpreti: Corrado Castellari (cori), Marco Ferradini (voce e cori), Silvio Pozzoli (voce e cori)
Musicisti: Corrado Castellari (chitarra ritmica), Bruno De Filippi (banjo, chitarra slide e armonica)
Testo: Giorgio Bonelli e Renato Pizzamiglio
Musica e arrangiamento: Corrado Castellari


IL PROFESSIONISTA
24 marzo. Ho appena finito di scrivere la mia introduzione, intitolata "Il professionista", al libro di Roberto Guarino "Tex secondo Nizzi", un illustratissimo saggio-intervista in uscita a Lucca Comics 2012. Claudio Nizzi ha lavorato a Tex per trent'anni. A ciò va sommato tutto il suo incredibile curriculum per altre Case editrici e la creazione di personaggi come Larry Yuma e Nicoletta (per citarne soltanto due). Nessun critico serio può dubitare del suo talento e della sua professionalità. Nell'arco di trentamila tavole da lui sceneggiate per Aquila della Notte ci sono state inevitabimente storie scadenti e molte altre invece straordinarie. Stranamente, mi vengono in mente prima quelle belle: "Il ritorno del Carnicero", "Fuga da Anderville", "Il ragazzo selvaggio", "Alcatraz", "Nella terra degli Ute", "Furia Rossa", "Yukon selvaggio", il Texone di Magnus, le storie con Cobra Galindez, il primo episodio della Tigre Nera e chi più e ha più ne metta. Nessun critico degno di questo nome può accanirsi su una storia infelice dimenticando i meriti di quelle felici e i lettori dovrebbero avere maggiore riconoscenza verso gli autori che hanno regalato loro sogni ed emozioni, invece di accanirsi contro di loro quando non li giudicano più in stato di grazia. Ma, ovviamente, il pubblico è quello che alla fine alza o abbassa il pollice, fin dai tempi del Colosseo.


DIO PERDONA…IO NO!
25 marzo. Ho visto in DVD "Dio perdona... io no!", di Giuseppe Colizzi, il primo film con Bud Spencer e Terence Hill in coppia. E' un film del 1967. Sarebbero seguiti, sempre con lo stesso regista e sempre con i due attori: "I quattro dell'Ave Maria" (1968) e "La collina degli stivali" (1969). Sono western, diciamo così, "seri". "Lo chiamavano Trinità", di E.B. Clucher, il primo western "comico" della fortunata coppia è datato 1970 (un capolavoro assoluto, peraltro). Non so perché, ma se uno dice "spaghetti western" pensa subito a Trinità e in buona sostanza (almeno, questa è la mia impressione) identifica il "western all'italiana" con un tipo di film necessariamente più leggero, ilare, "maccheronico", rispetto a quello americano. In realtà, i western comici alla Trinità sono una cosa e gli "spaghetti western" sono un'altra: molti film italiani sono drammatici come quelli americani, e talvolta anche sono americani anche gli interpreti (cito soltanto "Una ragione per vivere, una per morire", con James Coburn accanto a Bud Spencer). E del resto, Sergio Leone dove lo mettiamo? Anche gli americani hanno avuto da imparare da lui.


NUOVI OBBLIGHI
25 marzo. Chi segue questo spazio (il "coso") e/o il mio blog, sa che i miei figli sono costretti una volta al mese a guardare con me un "film obbligatorio", come Fantozzi e i suoi colleghi dal direttore cinefilo professor Guidobaldo Maria Riccardelli, che propinava loro capolavori immortali quali "La corazzata Kotiomkin" (le scene in bianco e nero che si vedono nel "Seconda tragico Fantozzi", falsamente d'epoca, sono ricostruzione perfette fatte da Salce sulla base de "La corazzata Potemkin"). Oggi ho fatto acquisti per le prossime proiezioni, che i pargoli dovranno subire previo sequestro dei telefonini, tablet, PSP e quant'altro. I prossimi DVD saranno, in ordine alfabetico: "Delitto perfetto" (di Alfred Hitchcock, 1954), "Non ci resta che piangere" (di e con Roberto Benigni e Massimo Troisi, 1984), "Operazione sottoveste" (con Cary Grant e Tony Curtis, 1959), "Il paradiso può attendere" (con Warren Beatty, 1978), "Il patriota" (con Mel Gibson, 2000).


TNT FASHION
25 marzo. Calzini dedicati ad Alan Ford e al Gruppo TNT in vendita in Croazia.


ROCCANDO ROLLANDO
25 marzo. Lavoro ascoltando "Roccando rollando" di Eugenio Finardi. Ho comprato il CD un paio di giorni fa per sostituire un vecchio vinile. Non lo sentivo da anni e anni: bello! Engagement e musica trascinante. Continuo a chiedermi, senza sapermi dare risposte, che cosa abbiano i nostri artisti per essere sempre considerati di serie B rispetto a quelli stranieri. Un'altra considerazione musicale di segno opposto. Ieri ho visto in TV un programma condotto da Daniela Battaglia, "London Live 2.0" che, in generale, mi è piaciuto molto: novità italiane e straniere rigorosamente dal vivo. Tuttavia, fra i tanti ospiti, c'era un artista rap italiano, Emis Killa, che mi ha lasciato basito: a me le canzoni rap sembrano tutte uguali e non saprei dire in che cosa Emis Killa si differenzi da Fabri Fibra (anche se quest'ultimo, a dire il vero, mi sembra meno monotono di tanti altri rapper e alcuni suoi testi sono decisamente interessanti). Ma il punto non è questo: il rap è un genere che, come tutti i generi, deve essere valutato dai suoi estimatori. Il punto è: ma perché tutti i rapper devono essere vestiti uguali e fare quei gesti, sempre gli stessi, con le mani messe in avanti e le dita in giù, sciommiottando, evidentemente i modelli dei suburbi del Bronx? Non si potrebbe cantare (già cantare mi pare una parola grossa) il rap esibendosi con movimenti che identifichino di più l'interprete invece di mimetizzarlo con gli altri al punto che non c'è più differenza fra le esibizioni di uno e quella di un altro? Non intendo dare giudizi: cerco solo di capire il perché di una "ritualità" così monotona nei movimenti. Nel resto della musica, pop o rock, la gestualità di Bruce Springsteen non è uguale a quella di Gianni Morandi, voglio dire, né quest'ultimo ha gli stessi atteggiamenti sul palco di Ligabue o di Vasco Rossi (a loro volta non confondibili). Invece, i rapper sono (salvo miei abbagli) tutti uguali in quei loro movimenti un po' goffi e monocordi. Perchè?



IL CATTIVO
26 marzo. Studi preparativi di Nando Esposito per un nuovo "cattivo" chiamato Shane che comparirà nella prossima storia degli Esposito Bros, "L'ultimo grido del cacciatore".


CENTRAVANTI DI MESTIERE
26 marzo. Mi riconosco nel testo della canzone "Centravanti di mestiere", di Povia. Il brano comincia così: "Sono un centravanti di mestiere, oggi bisogna vincere, da tre giornate non segno perché mi si è ristretta la porta, succede a tutti e succede sempre, quando non gira, non gira niente". E' l'angoscia di chi deve per forza portare a casa il risultato (che sia un rappresentante di commercio, o il creativo di una agenzia di pubblicità) e sente l'ansia di non poter fallire. Anch'io, quando mando un edicola un albo, ho addosso la responsabilità del suo successo e sento sulle spalle il fiato e gli sguardi degli spettatori che attendono un mio exploit che non è detto si realizzi. Sono un centravanti di mestiere anch'io, obbligato a fare goal.
"Sono un centravanti di mestiere, è la mezz'ora e non ho visto una palla decente, ma non mi arrendo perché non sto giocando per i soldi e per la stampa, ma per la maglia e per la curva che ancora canta e non si stanca", prosegue Povia.
Come non identificarmi, io che scrivo per la casacca di Zagor, per passione e per gli zagoriani? A volte, dopo qualche critica di troppo, vorrei rimandare la pubblicazione del mio prossimo albo per stare tranquillo un mese in più. "Una vita da mediano" di Ligabue forse identifica la mia attività di curatore di testata, là dove sono intento a "smistare palloni". Ma quando si esce in edicola con il proprio nome sull'albo, si è centravanti obbligati a fare goal (credo che il centravanti e i portiere siano i ruoli più stressanti in una squadra di calcio). Però poi, a volte, ecco il tiro giusto e un albo che piace. La canzone finisce così:
"Sono un centravanti di mestiere, siamo alla fine e l'orgoglio mi sorregge, perché lo spirito è di Dio ma il culo è solo mio. Sono un centravanti di mestiere, novantunesimo, c'è una mischia, so già dove andare: GOAL!".


MISTER DO
26 marzo. La breve storia di Mister No (una sola tavola) apparsa sul mensile per ragazzi "Dodo".


FUMETTI PER CASO
27 marzo. Sul blog di Matteo Maggio c'è una mia intervista.



C’E’MOLTO DA RIDERE
27 marzo. Leggo sul n° 81 di "Fumetto" (marzo 2012), la bella rivista dell'ANAFI, la prima parte di un interessante saggio di Bruno Caporlingua intitolato "Appunti sulla BD franco-belga". Tra le tante cose che sarebbero degne di nota, una soprattutto mi ha colpito. Citando le cifre della produzione fumettistica in Francia nel 2010, si citano i 5165 titoli pubblicati (+ 5,85 % rispetto al 2009), pari all'otto per cento dei libri editati (già, perché Oltralpe i fumetti rientrano nel circuito librario e vengono venduti come se fossero, e in effetti lo sono, dei libri). Gli editori attivi nel corso del 2010 sono stati 299 (furono 288 nel 2009). Ma ecco il punto che ha attirato la mia attenzione: la maggior parte dei volumi sono di genere umoristico (31,14%)! Seguono: fantastico e/o fantascienza (17,45%), storico (21,26%), poliziesco (15,07), infantile (11,57) ed erotico (2,51%). Mi chiedo dove figurerebbe Zagor (forse nel genere "storico"? O in quello "fantastico" a seconda del tipo di avventura? Per esempio, dov'è compreso Thorgal?), e più che mai dove figurerebbe Tex, visto che manca il western. Ma il punto è che il genere più rappresentato è l'umorismo! Che qui da noi quasi non esiste! Se fossi un editore sarebbe proprio questa la lacuna che vorrei colmare (e così fallirei dopo una settimana). Che bello poi vedere il genere "infantile", che prepara i nuovi lettori (anche questo, da noi non c'è se non in dosi omeopatiche). In Francia c'è perfino il modo di scrivere qualcosa di erotico (sospirone). Avrei giusto giunto un paio di idee...


OMBRE CINESI
27 marzo. Gianni Sedioli. Tavola a matita per la storia della trasferta sudamericana "Terremoto", che poi sarà inchiostrata da Marco Verni.


PERICOLO MORO
28 marzo. Gianni Sedioli. Illustrazione inedita a colori.

DUE NELLA FORESTA
28 marzo. Oliviero Gramaccioni. Illustrazione con Mister No.



BUONA GIORNATA
28 marzo. Durante la pausa pranzo sono andato, con la metro, in Piazza del Duomo, a Milano e, casualmente, ho avuto la ventura di passare davanti all'ingresso del palazzo dove, al quindicesimo piano, c'è la famosa Terrazza Martini. Alzo lo sguardo per vederne le balconate, e quando torno a guardare terra mi ritrovo in mezzo ai fratelli Vanzina, con Christian De Sica davanti e Lino Banfi dietro. Stavano andando alla conferenza stampa del film "Buona giornata" che, ho saputo, si stava per svolgere proprio sulla Terrazza. Se avessi avuto con me una copia di Zagor Collezione Storica ne avrei approfittato per fare delle foto mettendola a tradimento in mano agli attori!



NON CAPISCO LA DOMANDA
28 marzo. Il penultimo capitolo di "Sette grammi in settant'anni", di Paolo Villaggio (Mondadori, 2003) si intitola "Virì", e non fa ridere. Villaggio sa essere, quando vuole, profondo e poetico, talvolta commovente. Virì è un polinesiano vestito solo di un pareo multicolore che lo scrittore ha conosciuto ad Anà, un'isola delle Tuamotu, durante un viaggio. Un tipo così in comunione con la natura del suo atollo corallino, e così sorridente verso la vita che Villaggio ne resta impressionato. Quando è l'ora del tramonto, Virì cade come in trance, lo sguardo fisso verso il sole che si scioglie nel mare: "Io non me ne perdo uno di questi spettacoli. Poi, quando non c'è più luce, mi metto a dormire". Lo scrittore, durante il suo soggiorno, comincia a fargli domande: per esempio, se creda in Dio (la risposta è sì) o che sogni faccia. L'ultima cosa che gli chiede, poco prima di ripartire, è: "Ma tu, sei felice?". Virì ci pensa su e poi risponde: "Scusa, ma non capisco la domanda". Credo che le persone davvero felici sono solo quelle che non si accorgano neppure di esserlo.




IO AMO UN’ALTRA, VIRNA
29 marzo. Lucia Arduini (Martin Mystère, Brendon, Nathan Never) in una foto datata 1983 apparsa in un fotoromanzo della Lancio (segnalazione di Giuseppe Mariniello).



SFIDA AI FORNELLI
29 marzo. Sono stato ospite del programma "Sfida ai fornelli", in onda ieri sera su TV Prato, nel corso de quale mi sono confrontato in cucina, a beneficio di tre giudici assaggiatori (anzi, assaggiatrici essendo tre donne), con il mio amico disegnatore Niccolò Storai. L'esito della gara? Burattini batte Storai tre a zero (le mie frittelle di farina di castagne, in effetti, erano irresistibili). La puntata della trasmissione si può anche vedere on line: http://www.tvprato.it/archives/40765




ZAGOR A MILANO
29 marzo. Gallieno Ferri. Zagor tra i gargoyle del Duomo di Milano. Illustrazione per una edizione di Cartoomics (dalla collezione di Marco "Baltorr" Corbetta).




MITI VIVENTI
29 marzo. Miti viventi. Fernando Fusco (Tex) e Gallieno Ferri (Zagor). Foto di Marco "Baltorr" Corbetta, scattata a Città di Castello (PG) nell'ottobre 2011.


RICOMINCIO DA 250
30 marzo. Mi sono letto ieri sera in treno "Il segreto di Sigmund", il n° 250 di Nathan Never. Innanzitutto complimenti e auguri a Sergio Giardo, nuovo copertinista e autore dei disegni dell'albo. Era difficile confrontarsi sia con Roberto De Angelis, sia con Claudio Castellini, dato che questo duecentocinquantesimo episodio si riallaccia direttamente al primo. Invece, Sergio convince al cento per cento su tutti e due i fronti. La sua prima copertina è assolutamente "fumettosa" e i disegni interni sono elaborati ma godibili e leggibilissimi. Bravo. Riguardo ai testi, leggo nel tamburino che il soggetto è di Serra e la sceneggiatura di Perniola, mentre nei credits sulla prima tavola tutto è attribuito al solo Mirko. Varrà la pena di indagare. L'effetto che fa la lettura è quello di un clamoroso tuffo nel passato, con la riscoperta del Nathan delle origini, quello che, personalmente, ho sempre preferito. C'è veramente di tutto, perfino il Klonz. L'unica differenza rispetto al numero uno è che Legs mette in mostra l'ironia e le tette spettacolari della sua serie spin-off (alla ricerca dunque di una uniformazione), differenziandosi da com'era invece alle origini, e ovviamente non ci sono tutti gli altri personaggi che si sono affastellati con il tempo (quelli delle varie squadre e dei vari asteroidi). A me, questo recupero del passato piace moltissimo (non ho ben capito come lo si giustificherà a livello di continuity con il n° 249 del mese scorso, se mai lo si giustificherà in qualche modo). Tuttavia mi faccio delle domande sul senso dell'operazione, che ricorda da vicino analoghe iniziative della Marvel nella riscrittura delle origini dei suoi personaggi. Pare di capire 1) che di un reset ci fosse bisogno per tentare di recuperare dei lettori, se non lo smalto e l'entusiasmo, perduti; 2) che il rinnovamento debba intendersi come un ritorno sui propri passi; 3) che si punti più al recupero dei vecchi fan piuttosto che alla conquista di pubblico nuovo. Mi chiedo se tutto ciò non potrebbe riguardare anche Zagor.



ACQUA DA TUTTE LE PARTI
30 marzo. Aumentano le trattenute sullo stipendio, busta paga più leggera. Al di là del danno economico che accomuna tutti quelli che le tasse le pagano, qualcuno particolarmente patriottico, o animato da solido senso civico, potrebbe anche essere contento, pensando di dare così il proprio contributo al risanamento dei conti del Paese. Si potrebbe dire: va bene, le tasse mi mangiano oltre il cinquanta per cento del guadagno che mi sudo, ma almeno gli ospedali funzioneranno, si asfalteranno le strade, si combatterà la delinquenza. Ma, chissà perché, la prima cosa che vien fatta di immaginare è che i nostri soldi finiranno invece in consulenze inutili date agli amici degli amici, ai falsi invalidi, ai pensionati privilegiati della magistratura o del parlamento o della Banca d'Italia, in stipendi corrisposti a una pletora di dipendenti statali assunti in soprannumero per clientelismo e per non fargli fare nulla, alle feste e ai giornali di partito, o serviranno per pagare fatture gonfiate per lavori non fatti a regola d'arte, oppure opere pubbliche assurde o lasciate a metà. Insomma, è inutile riempire un secchio che fa acqua da tutte le parti. Prima bisognerebbe tappare i buchi. Vabbè, ma che ce lo diciamo a fare? L'unica è pagare, come quando il mafioso di turno viene a chiedere il pizzo.





LEGEND
30 marzo. Dei Pooh si può pensare tutto il male possibile e, a partire da Pino Daniele, c'è senz'altro chi ne pensa anche l'impossibile. Non è questo il punto: c'è a chi piacciono, c'è a chi non piacciono, come per tutte le cose. Vero è che molti di quelli a cui non piacciono (con cui mi capita talvolta di parlare) non hanno mai ascoltato con attenzione niente dei Pooh con attenzione o senza partire prevenuti (brutta cosa i pregiudizi), oppure sono rimasti fermi all'epoca di Lucariello e di Riccardo Fogli, nulla conoscendo degli album più recenti (intendendo gli ultimi venti o trent'anni). Ma lasciamo perdere: tutti, amici o nemici, devono riconoscere che la band è sulla cresta del'onda dal 1966 e dunque sono quarantasei anni di successi. Qualcosa vorrà pur dire. E non si tratta di vivere di rendita: la produzione di nuovi album è costante, le idee sembrano non finire mai, i concerti (sempre affollatissimi) si susseguono. Anche i detrattori non possono far altro che ammetterlo: esiste ormai una "Pooh Legend". E' proprio questo il titolo di un cofanetti con quattro DVD, da poco uscito, che contiene oltre 10 ore di filmati storici, rari e inediti con videoclip, esibizioni di indimenticabili concerti, film musicali, speciali televisivi, chicche di brani in inglese e spagnolo e altre rarità assolute, per un totale di oltre 100 canzoni in 4 dvd e 4 libri. Io e Alessandra ce lo siamo regalati per festeggiare la primavera e da un paio di weekend stiamo montando le nuove librerie Ikea di casa avendo in sottofondo, sullo schermo TV, i video del quartetto. Con buona pace di Pino Daniele (musicista che pure a me piace molto, perché al mondo c'è chi alza gli steccati e invece chi gode di tutto, e io, per fortuna, appartengo alla seconda categoria).





CORTO FUCILE
30 marzo. Fucili giocattolo con il marchio "Tex".



LA DONNA D’ALTRI
30 marzo. Ci sono due comandamenti che non ho mai capito (né rispettato, e mi piacerebbe conoscere uno che sia riuscito a farlo): sono il nono e il decimo, "non desiderare la roba d'altri", "non desiderare la donna d'altri". Ora, io la roba degli altri posso non rubarla, e una donna posso non insidiarla, ma come si fa a "non desiderare"? Il desiderio nasce da sé, mica lo comando io. Io posso soltanto dominarlo, se è il caso. Ma prevenirlo? Non credo sia possibile. Quando mi accorgo di desiderare, involontariamente, una donna, ho già fatto peccato mortale? Ahi, sono messo male. Comunque sia, l'obbligo più assurdo è proprio questo: "non desiderare la donna d'altri". Nessuna donna è "d'altri". Ogni donna è solo di se stessa. Libera di darsi (o meglio, prestarsi) a chi vuole. Non appartiene a nessuno, tantomeno a un uomo. Ora, non vorrei sembrare superficiale più di quel che in effetti sono. Capisco benissimo che i due comandamenti possano essere intesi come "non brigare per impossessarti di...", e dunque si riferiscano al fatto di progettare, complottare e dunque agire. Ma le parole sono importanti. E le parole usate dicono che è un male (è peccato) "desiderare". Il verbo "desiderare" significa letteralmente "chiedere alle stelle", e il desiderio è una cosa bella. Così come è bella la donna, che non può essere accomunata alla "roba" né può essere intesa come proprietà di qualcuno (così come l'uomo). Mi si dirà che neppure il Divino Legislatore lo fa e che la norma va intesa come rispettare un impegno che esiste fra due persone (il matrimonio), ma di nuovo le parole dicono altro e comunicano, perché scelte o tradotte male, non da Dio ma dagli uomini, un concetto secondo me sbagliato e sbagliato in modo grave. E' quel "donna d'altri" che resta in mente e viene tramandato, dunque qualunque uomo può sentirsi in diritto di attribuirsi il possesso materiale della compagna.

Il più interessante dei commenti giunge da Giovanni Gallo, che propone una lunga citazione. Eccola.

“Non desiderare la donna del tuo prossimo e il suo servo e la sua serva e il suo toro e il suo asino e tutto ciò che è del tuo prossimo” (Esodo, 20,17). È un comandamento articolato, questo. Meno lapidario di altri, nel suo dettagliare il divieto. Ma quale divieto? E quale comando? (…), In effetti, come si fa a comandare il desiderio? Fra i tanti, questo dettato è forse il più irraggiungibile. Impone il controllo dell’impulso, e non della ragione. Fors’anche per questo contiene il beneficio d’inventario del plurale, che non moltiplica e invece stempera la perentorietà della frase. Pare più un consiglio, un pacato e saggio suggerimento, più che una legge universale. Perché al desiderio, come ben si sa e come per certo sapeva anche Mosè (o chi per esso,) non si comanda. Comandamento semplice, ovvio, dunque, ma anche pressoché impossibile da osservare. Vediamolo ora un poco più da vicino. All’apparenza, questa frase è per la donna piuttosto umiliante. Lo è, certamente, per noi che siamo cresciute oggi e non millenni fa. Forse, allora, era anche una garanzia di sicurezza, quest’ala di possesso. Ad ogni modo, qui la donna viene associata a tutto ciò che, in quell’epoca e in quel contesto sociale, era dato considerare proprio: servi, bestiame. Questo è l’inventario dei beni inventariabili, in un mondo in cui ancora spirava il vento nomade: fra le cose che è dato dire proprie non c’e’ la casa. Però, stando a quella grammatica che nell’ebraico, la lingua santa che viene ancora prima della creazione e che anzi ha costruito il mondo attraverso il dire di Dio, non è pura forma ma anche e soprattutto sostanza, c’e’ una certa differenza tra la donna e il resto. La differenza si vede eccome. Se l’ebraico è anche ciò che significa, ed e’ così, allora fra la donna e tutto il resto c’e’ il confine invalicabile di un suffisso. Quello che indica possesso, e che viene qui apposto a tutto il resto, fuor che a lei. È detto infatti “avdo” (il suo servo), “amato” (sua serva), “shoro” (suo toro), “hamoro” (suo asino), dove la “o” finale è il succinto possessivo. Ma la donna resta “eshet”, non diventa “ishto” come vorrebbe la simmetria. È la “eshet reekha”, dove il suffisso lo porta “il prossimo”, che con la finale diventa “tuo prossimo”. Minuzie? Niente affatto, in virtù di quella regola fondamentale che è l’apparenza del significato. Nulla nella Bibbia è scritta a caso, ogni segno, e anche ogni assenza di segno, portano significato. Questo, in particolare, è la modica consolazione che le donne possono concedersi di fronte a tanto brutale versetto: quello di essere considerate, diverse da tutto il resto, in quest’elenco di masserizie, in questo nomadico catasto. Ma la storia non finisce qui. Anzi, proprio non finisce. Questo comandamento, come si diceva, è un’illusione. Semplicemente, perché non si può comandare il desiderio. Lo si può controllare, trattenere, sfogare. Ma non comandare. E non possiamo pensare che Mosè (o chi per lui), questo non lo sapesse. Questo imperativo è più un adagio che una legge, più un proverbio che un codice. Senza contare un’altra cosa fondamentale. Questa volta si tratta non di una presenza, bensì di un’assenza. L’ebraico, l’antico così come il moderno, il sacro così come il profano, non conosce il verbo avere. Non lo concepisce, non lo vede. Non c’e’ parola che sia in grado di disegnarlo, anche soltanto di evocarlo in questa lingua. A volte ci si ingegna con un discreto dativo, a volte si fa prima a cancellare l’idea, di possesso, in assenza di parole. Un uomo non possiede una donna: si congiunge con lei. La conosce nel e attraverso il corpo. Ma non è sua, se non con un misero suffisso (da cui, fra l’altro, qui ci si astiene). Quest’assenza non può non avere i suoi effetti nel comandamento, o nel pronunciamento in questione. Rende tutto più aleatorio, più vago. Più un’illusione di realtà che una certezza di conoscenza. Ci dice che in fondo non possediamo nulla, che sia nostro o del nostro prossimo.
(Elena Lowenthal, Panta – Il decalogo, 2010)



L’AUTOBIOGRAFIA BUGIARDA
30 marzo. Ho letto "Non mi fido dei santi", di Paolo Villaggio con Luca Sommi (Aliberti, 2011). Sottotitolo: "Autobiografia bugiarda". Va detto che una autobiografia di Villaggio esisteva già. E' bellissima e si intitola "Vita, morte e miracoli di un pezzo di merda" (Mondadori, 2002). Questo nuovo libro, in realtà, non è né un'opera letteraria né una autobiografia ma soltanto una lunga intervista fatta da Sommi a Villaggio, che non aggiunge nulla alla precedente (di cui potrebbe considerarsi un riassunto orale). Tuttavia, appunto perché si tratta di domande e risposte, la lettura è agile, veloce, divertente. Ho letto il libro in treno e ridevo, ridevo, ridevo, incurante delle occhiate stupite di quelli seduti accanto a me. "la realtà è deludente e monotona e io dico spesso bugie", dice a un certo punto Villaggio. "Allora come facciamo a sapere quando racconti il vero o il falso?". "Studia le mie risposte e sottolinea quando credi che io stia inventando". In effetti, tanti e bizzarri sono gli aneddoti che Villaggio narra a raffica, a proposito di De André, Tognazzi, Monicelli, Gian Maria Volontè, Gassman, Fellini, che è difficile capire se il comico se li inventi o se davvero quelle cose sono accadute. Sommi parla nella sua prefazione dell'importanza della maschera di Fantozzi nel linguaggio quotidiano delle persone, e su questo non ci piove. Appunto a proposito di pioggia, basta pensare alla "nuvola di Fantozzi" che tutti, ma proprio tutti, citiamo durante i picnic. Dunque, l'importanza del personaggio è enorme e vale la pena approfondire. Peccato che poi le domande dell'intervistatore siano raramente quelle giuste, quelle che tutti vorremmo fare, ma pazienza (caro Sommi, ma perché chiami Adolfo Celi regolarmente Adolfo Cieli per tutto il libro? Forse il refuso è opera del correttore automatico, ma le bozze le hai rilette?). Resta il gusto di scoprire da che cosa siano nate molte delle gag dei film di Fantozzi e, soprattutto, restano le chicche di molte risposte dell'intervistato, dissacrante e provocatorio, politicamente scorretto, anarchico e non disponibile a farsi etichettare, sempre pronto a giocare con l'assurdo e con il grottesco ma anche a commuovere e a farsi poeta parlando della moglie, di cui è innamorato da sessant'anni. "Ti prego - dice Villaggio in fondo all'intervista - fammi fare bella figura con questo libro". "Non ti preoccupare - conclude Sommi - l'hai già fatta con la tua vita".



TOCCARE I LIBRI
30 marzo. Ho letto "Toccare i libri", di Jesus Marchamalo (Ponte alle Grazie, 2011). Il sottotitolo, "una passeggiata romantica e sensuale tra le pagine", già dice tutto e potrebbe bastare come recensione. Ma vale la pena raccontare come questo testo (lo spiega l'autore nella sua introduzione) abbia finito per diventare un piccolo "caso letterario" per caso e grazie al tam tam di chi lo ha letto (la migliore forma di pubblicità, in ogni circostanza). "Toccare i libri" è nato come testo di una conferenza tenuta a Valladolid nel 2001 ed è finito chiuso in un cassetto finché nel 2004 è stato pubblicato in una piccola collana in sole settecentocinquanta copie distribuite gratuitamente tra bibliotecari, insegnanti, scrittori e circoli di lettura spagnoli. Il successo inaspettato e travolgente ha fatto sì che cominciasse a circolare fotocopiato. Una nuova edizione datata 2008, accresciuta e aggiornata, è di nuovo stata esaurita, e così una successiva ristampa nel 2010. Anche la prima edizione italiana, fatte salve le copie rimaste in qualche scaffale, è dichiarata sold out della Casa editrice Ponte alle Grazie (e io ho faticato un po' prima di trovarla, in una libreria di Milano, dove mi sono accaparrato l'ultimo esemplare). Perché questo successo? Perché "Toccare i libri" è un testo per chi i libri li ama davvero, e li ama su carta, da poter toccare, disporre sugli scaffali cercando il modo migliore di farlo, guardarli, possederli. Nel mondo, oggi, viene pubblicato un libro ogni trenta secondi. Impossibile leggerli tutti. E nei nostri scaffali lo spazio non è mai abbastanza. Che fare, come fare? Mi ha colpito l'aneddoto secondo il quale Herman Hesse a un certo punto decise che per ogni libro che entrava a far parte della sua biblioteca, un altro doveva uscirne (e si trattava ogni volta di decidere quale). Ma c'è anche il caso di Cioran, che non possedeva nessun libro e li andava a leggere nella biblioteca pubblica, considerando suoi tutti quelli che c'erano lì. Molto belle le pagine in cui Marchamalo parla del modo in cui ogni libreria descrive il proprietario e ci si può fare un'idea di una persona sulla base dei titoli che vi si leggo in costolina (e ci si rende conto di assomigliare o non assomigliare a qualcuno riconoscendo o non riconoscendo i suoi libri). Verissimo.



IL COLOSSO DI RODI
31 marzo. Ho visto in DVD "Il colosso di Rodi", un film del 1961 con Rory Calhoun. Sulla copertina della custodia c'è scritto: "un capolavoro di Sergio Leone". Vabbé, lasciamo perdere: sono altri i capolavori di Leone. Questo è un "peplum" (così venivano definiti i film mitologici in gran voga in quel periodo) che rispecchia i canoni del genere, ma in confronto alle altre pellicole del regista, ce ne corre. Non è che sia fatto male, anzi, gli sforzi si vedono. I colori sono belli, la nitidezza delle immagini perfetta, ci sono tante comparse, buone le scenografie. Per qualche minuto, ogni tanto, ci si può perfino illudere di stare guardando Ben Hur (e del resto, Sergio Leone, nel 1959, era stato uno degli aiuti registi di William Wyler). Però l'illusione dura poco perché gli effetti speciali sono quel che sono, il protagonista imbrillantinato ha credibilità zero, le spade uccidono senza sangue, le torture non lasciano segni, il ritmo è lento, la fotografia fa sembrare la luce di mezzogiorno quella che dovrebbe essere la luce di mezzanotte, il comportamento dei personaggi è assurdo, eccetera. Insomma, pollice verso. "Il colosso di Rodi" resta comunque una delle migliori testimonianze di un genere che ha segnato un'epoca: soltanto, a differenza di Ben-Hur o dei western che Leone avrebbe girato di lì a poco, è una pellicola invecchiata precocemente che oggi si fa fatica a guardare arrivando in fondo senza sbadigliare (questa, almeno, è il mio parere). La cosa più bella del film è senza dubbio Lea Massari: splendida in ogni inquadratura.


IL DIARIO DEL MISONEISTA
31 marzo. Facebook mi ha cambiato la grafica della pagina e non ci capisco più niente. Non posso assicurare di poter continuare a gestire il "coso" con la stessa solerzia di prima. Pare che la novità, di cui non sentivo la mancanza, si chiami "diario". Le immagini, a meno di non cliccarci sopra, si vedono tagliate o in alto, o in basso o ai lati. I post passano un po' a destra e un po' a sinistra e non si sa più dove cercarli. Quelli vecchi, me li hanno mescolati di data. Non riesco più a trovare gli album delle foto. Non è questione di essere misoneisti (cioè, allergici alle novità) ma di riuscire a far funzionare tasti e programmi, cosa che di solito a me non riesce mai. Se poi, dopo che ho imparato, mi cambiano tutto e devo ricominciare daccapo, è la fine.