PUNTATA 31
Ciao Moreno, vorrei parlarti di una questione di fondamentale importanza che ravviso nelle storie sceneggiate da te. Non intendo fare proclami contro lo spiegazionismo, su come debba o non debba dire Zagor una cosa o l’altra, ma sembra che tu intenda utilizzare la tattica del ventriloquio per far parlare te attraverso di lui, lasciando quindi perdere come lo stesso Zagor possa parlare nelle varie situazioni che lo coinvolgono. Pensi che sia una giusta critica oppure solo una mia errata impressione visiva e di pensiero? In attesa di poterti vedere rispondere in questa rubrica, ti saluto.
Lo scopo principale della mia attività professionale è riuscire a portare avanti la saga dello Spirito con la Scure nel rispetto della tradizione (pur con gli inevitabili aggiustamenti nel ritmo e nel linguaggio, che dopo sessant’anni non possono essere gli stessi). Il mio sforzo quotidiano è quello di far agire Zagor da Zagor, ed è anche quello che chiedo agli sceneggiatori che lavorano con me. Sentir ipotizzare che Zagor, in mano mia, sia una sorta di pupazzo da ventriloquo che dice ciò che gli fa dire chi gli muove la bocca, più che turbarmi mi meraviglia: è esattamente ciò che non vorrei sembrasse. In realtà, ogni autore, fatalmente e in qualche misura, parla per bocca dei suoi personaggi (“Madame Bovary sono io”). Ciò rappresenta un problema solo se al personaggio vengono attribuite frasi in contrasto con lo spirito del personaggio stesso. Ammettiamo (solo per ipotesi) che io diventi buddista, o vegetariano, e faccia fare allo Spirito con la Scure lo stesso percorso scrivendo dialoghi in cui lo si scopre predicare la reincarnazione e sostenere posizioni vegane, ecco questo non andrebbe bene (con tutto il rispetto per buddisti e vegani: semplicemente, Zagor mangia selvaggina e non fa meditazione). Ma se io sono convinto che si debba aiutare chi è in difficoltà senza distinzioni di etnia o di religione e faccio esprimere a Zagor questo identico concetto (mettendolo subito all’opera) mi pare che non si tratti di ventriloquia, ma di sintonia fra le idee di uno sceneggiatore e quelle di un personaggio. Del resto mi si potrà pure consentire di pensarla come Zagor. Oppure tu hai degli esempi da citare in cui io ho messo in bocca al nostro eroe idee mie che lui mai e poi mai avrebbe espresso, sulla base di ciò che prevede la tradizione?
Nell’intervista concessa alla fanzine “Collezionare” e apparsa sullo Speciale dedicato allo Spirito con la Scure (febbraio 1990), Sergio Bonelli dichiara: “In Zagor mi sono limitato a inserire delle idee di semplice buonsenso, che vanno dall’antirazzismo alla ricerca della giustizia”. Ecco, il buon senso delle idee di tolleranza e di giustizia è quello che anima Zagor e io, che con lui sono cresciuto, trovo molto facile condividere questa atteggiamento. Far esprimere a Zagor le nolittiane cose di buon senso, idee che condivido, è ventriloquia? O davvero hai delle accuse precise, da cui dovrei difendermi, di casi in cui il mio Zagor si è dimostrato insensato, intollerante o razzista perché sarei insensato, intollerante o razzista io? Con tutta la buona volontà, nel tentativo di cercare di capire ed eventualmente fare autocritica, a me non viene in mente niente. Mai una volta mi è capitato di pensare: faccio dire questa cosa a Zagor perché la penso io, anche se a lui, per com’è, secondo l’esempio nolittiano, non verrebbe in mente. Anzi, a volte avrei voluto essere Zagor un po’ più spiccio e invece ho rispettato il personaggio impedendogli di essere troppo sbrigativo o di correre dietro alle ragazze.
Caro Moreno, lei ha parlato di un rimpianto per quanto riguarda non aver superato in lunghezza la storia di Sclavi. Ce n’è un altro di rimpianto che tiene nel cassetto? Ed ha anche un rimorso?
Fermo restando il fatto che non mi sono mai sentito in competizione con Sclavi per la lunghezza di “Incubi” (una storia deve essere lunga quanto serve, e quindi non ho mai pensato di allungare il brodo di un mio racconto al solo scopo di battere un record), il vero rimpianto è di non aver superato Mauro Boselli in bravura: avrei voluto scrivere io storie come “Il terrore dal mare”, “Il clan delle isole”, “Passaggio a Nord Ovest”, non ci sono mai neppure andato vicino. Il rimorso è non essere riuscito a convincere, nonostante tutto, i detrattori che i miei trent’anni di impegno, dedizione e passione a Zagor sono serviti, grazie anche a tutti gli altri autori, a permettere al nostro eroe di raggiungere il traguardo del sessantennale, che è davvero un risultato notevole.
Caro Signor Burattini, mi reputo innanzitutto un “semplice” fan di Zagor. Semplice fra virgolette, perché in anni di storie belle e magnifiche ce ne sono state altre che sono risultate, a parer mio, filler od impubblicabili.
Riguardo alle storie “filler o impubblicabili” vale il concetto più volte espresso: Zagor è un eroe seriale, che ha una storia lunga sessanta anni. Ciò vuol dire che per 720 mesi è andato in edicola, a volte anche con più uscite al mese, ininterrottamente, producendo una quantità enorme di storie (per far fronte alle richieste dei lettori, com’è ovvio, perché se queste storie non fossero state assorbite dal mercato non sarebbero state realizzate). Dico sempre che siamo un aereo che fa rifornimento in volo, senza mai atterrare. Nel novero di una così grande quantità, per forza di cose ci saranno avventure riuscite e avventure meno riuscite (fermo restando che tutti gli autori hanno lavorato credendo di fare del proprio meglio). Il lettore che apprezza il personaggio sa (o dovrebbe ragionevolmente sapere) che, di fronte a una storia che non gli piace, basterà aspettare la successiva che magari gli piace di più. Ma, cosa che bisognerebbe sempre tener presente, nessun giudizio è unanime: le storie che lei giudica negativamente possono piacere a qualcun altro, il quale mostrerà invece il pollice verso contro quelle che altri trovano belle.
Gentile Moreno, citando gli storici, grandi sceneggiatori Zagoriani (Nolitta, Bonelli Sr., Castelli, Sclavi, Toninelli e Boselli) da ognuno di essi cosa pensi di aver preso e trasmesso attraverso le avventure dello Spirito con la Scure? Inoltre, ti sei sentito o visto imitato da qualche altro sceneggiatore? Scusandomi per le mie lungaggini, ti chiedo la definizione che daresti allo Stile Burattiniano che rappresenti. Grazie.
Ritengo di avere (qualcosa o tutto) da imparare da ciascuno degli sceneggiatori da te citati. Il mio scopo è sempre stato quello di farmi scambiare per Nolitta, mimetizzarmi il più possibile con lui. Il più possibile, sottolineo, perché non sono Nolitta (né mi si può imputare come colpa il non esserlo). E poi perché, in ogni caso, i tempi sono cambiati e bisogna adattare certi stilemi ai codici della comunicazione che cambiano. Certe ingenuità, freschissime ed efficacissime all’epoca, oggi non sarebbero perdonate agli sceneggiatori di oggi. Magari potessi, tuttavia, avere la sua facilità di narrazione e di caratterizzazione dei personaggi, ma anche il pubblico dell’epoca e la libertà spaziare in praterie inesplorate. A Bonelli senior ho cercato di rubare, di tanto in tanto, gli elementi da feuilleton e un certo fraseggio. Di Castelli credo di aver recuperato la costruzione dell’intreccio. Cerco a volte di imitare Sclavi quando cerco di visualizzare scene d’effetto, di grande (almeno nelle intenzioni) impatto visivo. Toninelli mi ha insegnato come costruire storie solide nonostante i paletti imposti. Boselli, secondo me, è inimitabile e non ci provo nemmeno. Lo stile burattiniano? Mi viene in mente il “metodo Maigret”, oggetto di tante discussioni ma di cui il commissario di Simenon diceva: “non c’è nessun metodo”. Il mio metodo è cercare di immaginare una storia che possa intrigare il lettore, seguendo, in questo, l’istinto: mi chiedo sempre se la trama che sto scrivendo mi interesserebbe se fossi lo zagoriano che poi lo leggerà. Siccome mi piace che tutto torni e gli ingranaggi girino, mi sforzo di farli girare. Mi pare, qualunque sia il giudizio che si può esprimere sul risultato finale, che le mie storie siano chiare, senza punti oscuri, gradevoli nel loro sviluppo. Non mi si può accusare di cripticità (ovvero, mi sono sentito accusare di tutto, può darsi per qualcuno sia anche criptico, chissà). Mi piacerebbe essere definito “fumettoso”. Qualcuno che mi imita? Se me ne accorgessi, gli suggerirei di imitare Nolitta, o Boselli, o Castelli, o Sclavi…
Caro Moreno, potresti, e vorresti, farci scoprire il primo soggetto che hai inviato alla Casa Editrice Bonelli e che ti fu bocciato?
Il primo soggetto che inviai alla Casa editrice, quello che poi avrebbe dato vita all’avventura “Pericolo mortale”, non fu del tutto bocciato, tant’è vero che poi la storia si fece. Ho raccontato più volte dell’incontro con Decio Canzio in cui il mai dimenticato né abbastanza rimpianto direttore mi fece un lungo elenco di note dolenti, circostanziando e argomentando riguardo a passaggi che non funzionavano e che rendevano la mia proposta, così com’era, impubblicabile. Però, alla fine della disamina, disse che vedeva in me delle potenzialità e che mi lasciava decidere se provare a riscrivere il soggetto, tenendo conto delle obiezioni da lui sollevate, o gettare la spugna. Mi parve che ci fossero i margini per una riscrittura e provai a correggere. La seconda versione venne approvata senza riserve. Per fare un esempio delle osservazioni, ricordo che la mia prima proposta prevedeva che i mostri si riconoscessero fra loro per l’odore, e dunque Zagor, per passare indenne in mezzo a loro, si spalmasse addosso il sangue di uno di essi. Decio disse che era sgradevole ricorrere a un escamotage basato sulla puzza. Così cambiai stratagemma: Zagor si salvava indossando la divisa di uno dei mostri morti (le creature mutanti erano soldati di un corpo speciale) che i suoi colleghi riconoscevano. A distanza di molti anni, ho poi visto che il trucco di farsi scambiare per uno zombi spalmandosi addosso frattaglie e interiora di un non morto è stato utilizzato da Rick Grimes e da altri (persino da Negan) in “The walking dead”. Nel corso della mia carriera, tuttavia, ci sono stati vari soggetti bocciati da Decio, da Sergio Bonelli e da Mauro Boselli (e tanti da me medesimo), ma non il primo.
Ciao Moreno, puoi raccontarci la genesi del “Ritorno alla casa del terrore” e come hai fatto a far quadrare il cerchio fra gag comiche slegate dal vero contesto e la parte seria della storia?
Faccio notare che anche ne “La casa del terrore” c’erano due storie parallele: quella delle misteriose evasioni dalla prigione del forte e quella dei banditi nascosti nella villa degli Stanford che ordiscono la messinscena del fantasma di Priscilla. Alla fine, le due trame si riuniscono. Alla base di tutto c’è un soggetto per un albetto dedicato a Bat Batterton che doveva essere allegato a uno Speciale Zagor. Forse ricorderete che, tra il 1993 e il 1999, la Bonelli propose, insieme agli Speciali, degli spillati con brevi storie dedicate ai comprimari delle varie serie (per esempio, Flok per il Comandante Mark o Marvin per Nick Raider). In tutto, gli spillati zagoriani furono sei, di cui io ne ho scritti cinque. Per ognuna di queste short-stories servivano dei soggetti che Sergio Bonelli approvava, prima di procedere con la sceneggiatura. Quando toccò a Bat Batterton, io proposi (come sempre facevo) tre diverse trame. Sergio scelse quella de “Il bambino rapito” (Speciale Zagor n° 7). Le altre due proposte restarono dunque nel cassetto. Qualche tempo fa le ho ritrovate e mi è sembrato che lo spunto dell’indagine di Batterton sulla presunta infedeltà coniugale della moglie di mister O’Tell fosse divertente. Ho pensato al modo per poter sfruttare il vecchio soggetto in una storia che prevedesse il ritorno sulla scena di Bat in una storia zagoriana. Solo che nel soggetto originario Zagor non era previsto. Per farcelo stare, ho immaginato di spezzettare l’indagine in varie scenette che portassero avanti un racconto scollegato da quello di cui era protagonista lo Spirito con la Scure, con il quale però finisse per intrecciarsi. Ma, soprattutto, dovevano tornare indietro Bat e di Cico, una coppia comica davvero divertente da vedere: i due sono dei perfetti Gianni & Pinotto.
Non tiro in ballo la comicità per caso. “La casa del terrore”, come ben sanno coloro che hanno letto il classico nolittiano, non è una storia di fantasmi (il fantasma non c’è), non è una storia horror (l’horror anzi viene messo in parodia): è un giallo venato di umorismo. Perciò, essendo Bat la perfetta parodia dell’investigatore dei gialli classici, ecco che riportarlo sulla scena con un “ritorno” alla Casa del Terrore mi è sembrata la scelta migliore. “E’ uno dei caratteristi che amo di più”, ha spiegato una volta Sergio Bonelli riguardo al suo buffo detective, “perché rappresenta la mia rivincita nei confronti degli investigatori alla Sherlock Holmes, che da un capello trovato nella vasca da bagno riescono a risalire all’assassino. Con Batterton volevo proprio mettere alla berlina questo tipo di personaggio”. Riguardo al fatto che Nolitta avesse proprio l’intenzione di fare dell’umorismo scrivendo “La casa del Terrore” non c’è dubbio alcuno, basta leggere ciò che ha scritto in proposito dell’aspetto di Priscilla Stanford: “Io e Ferri ci siamo ispirati alla bella e sinistra Morticia della Famiglia Addams, che in TV aveva le fattezze di Carolyn Jones: si tratta di un omaggio ai fumetti di Charles Addams e alla sua particolare ricetta di comico e macabro”. Nessuna meraviglia, dunque, che anche nel mio “Ritorno” abbia scelto di inserire una ricca componente umoristica, nel rispetto delle scelte nolittiane.
Gentile Moreno, le scrivo perché sono intenzionato a chiederle un parere su un argomento interessante, ma che potrebbe diventare polemico. Sto parlando del vittimismo. Molte persone sembrano soffrirne, e non intendo che uno dei miei autori preferiti, ovvero lei, possa cadere nella trappola allestita dai vari haters, ai quali risponde sempre con ironia, ma che capisco possa essere una situazione parecchio frustrante. A lungo andare si rischia di vedersi trasportati in un vortice di ripicche da parte di autore contro fans e viceversa. Credo che nominarla ad honorem distruttore di Zagor sia stato ingiusto perché se una persona diventa curatore di una serie è perché se lo merita, oltreché esserne un grande appassionato. Per cui pensa che questi haters vogliano continuare ancora a lungo a trovare un modo per sfogarsi contro di lei se alcune avventure non piacciono, oppure riusciranno a trovare la forza di reagire e di provare a dare una chance ai vari autori senza per questo, per partito preso, prendere a male parole chi si fa il “sedere quadro” ogni giorno pur di garantire l’uscita della loro serie preferita, sforzandosi di variare fra i generi e di regalare quegli attimi di felicità e spensieratezza in più, che in questo periodo storico, in particolar modo in questo periodo storico, valgono come oro?
Non vedo quali siano le ripicche da parte mia. Al massimo, solo in rari casi, da parte mia ci sono delle risposte. Del resto, sarà pure consentito rispondere. Circa il resto, non so che cosa passi per la testa a chi sceglie un bersaglio piuttosto che un altro: ognuno impiega il tempo come crede. Mi pare che gli haters siano una categoria che imperversa un po’ dovunque sui social, facendo i danni che sappiamo, da tutti deprecati: di quale patologia siano portatori non sta a me dirlo (non sono uno psichiatra), decifrarne le motivazioni mi sembra vano (carenza di affetto, in certi casi verrebbe da dire, naturalmente edulcorando una più colorita espressione toscana). Riguardo al vittimismo, non mi sembra di essere una persona particolarmente piagnucolante. Casomai ironico: segnalo certe cose buffe che si leggono in giro (solitamente cose che mi vengono segnalate da amici divertiti) e replico con un minimo di peperoncino (secondo lo slogan “un po’ di sana polemica”). I vittimisti, del resto, sono quelli che si sognano attacchi che non ci sono, nel mio caso (stando a quel che mi dicono) c’è davvero la fiera della detrazione, di cui per fortuna mi giungono soltanto gli echi. Suggerisco sempre a tutti i collaboratori di non leggere i commenti su Internet, perché c’è chi davvero ci rimane male (molto più di me, voglio dire, che ormai sono corazzato).
Nella storia “Il segreto della mappa” incontriamo un agente dell’agenzia investigativa Pinkerton. L’agenzia Pinkerton è stata fondata nel 1850, ed è noto che le avventure di Zagor sono avvenute circa 20 anni prima, in un momento in cui Allan Pinkerton era ancora un giovanotto. Come spieghi la presenza di Pinkerton in questa storia, se nelle avventure di Tex Willer dove incontriamo anche Allan Pinkerton è chiaro che l’agenzia è stata fondata negli anni ‘50 dell’Ottocento (e l’incontro di Zagor e Tex nel dicembre 2021 ci dice che i due fanno parte dello stesso universo)? Grazie!
“Il segreto della mappa” è una storia del 1987. L’attenzione agli anacronismi e all’aderenza con la realtà storica si è andata accentuando sempre più nel corso degli anni, in passato non era così stringente. Basterà pensare che su Zagor si usano armi automatiche con venti o trenta anni di anticipo (fu stabilito così da Nolitta nel 1961). Sulla copertina del n° 32, “Il fuggiasco” (1968), compare una mitragliatrice Gatling, costruita per la prima volta nel 1861. Gli esempi potrebbero essere tanti. Diciamo che oggi come oggi io scarto di continuo soggetti che prevedano l’uso di fotografie, che divennero diffuse negli USA solo nella seconda metà dell’Ottocento, o sceneggiature in cui si canti “Oh Susanna” (che è del 1848), dunque facendo attenzione a questo tipo di cose, mentre in passato altri curatori non sono stati così pignoli. Va detto che anch’io, talvolta, accetto delle “licenze poetiche” dato che, in fondo, Darkwood è il regno della fantasia.
Caro Moreno, hai da poco festeggiato trent’anni di pubblicazioni Bonelli, e ti voglio chiedere: cosa direbbe il Moreno di adesso al Moreno di allora per continuare a seguire la strada del fumetto in maniera full-time? Quali sono le differenze caratteriali e lavorative che riscontri nel Moreno di allora confrontato col Moreno odierno?
Il Moreno di adesso direbbe al Moreno di allora: non temere, non ti mancheranno mai le idee. Trent’anni fa avevo paura di non riuscire a trovare nuove storie: scrivere le prime due o tre, è un conto, scriverne cento o duecento è un altro. Le differenze caratteriali? Forse oggi sono meno sognatore e più disilluso circa il futuro, ma immagino che tutti i vecchietti diventino sempre più nostalgici vedendo il mondo cambiare e non riconoscendolo più. Ma per ora riesco a contenere la deriva.
Penso che non ci sia nessuna retcon in “Zagor: le origini”. Ovvero non c’è stato nessun intento di modificare eventi e situazioni descritte in precedenza e adattarle a nuovi sviluppi della storia. Ho già spiegato molte volte il come e il perché, sia per scritto che nei video del mio canale YouTube. Una di queste spiegazioni si può trovare qui: http://morenoburattini.blogspot.com/2021/06/corpo-speciale.html.
Tuttavia, in breve: in “Zagor Racconta…” ciò che viene narrato è appunto la narrazione dei fatti esposti dallo Spirito con la Scure a Cico. I fatti non sono raccontati “in diretta”, ma attraverso una rielaborazione basata sui ricordi. Questa ricostruzione è parziale e incompleta. Per esempio: Zagor non rivela a Cico neppure il suo nome di battesimo, non dice nulla sulla sepoltura (che pure avrà dato all’amico) di “Wandering” Fitzy, sorvola del tutto sulla propria adolescenza, non spiega come ha imparato a volare tra i rami degli alberi, eccetera. Tre sono i motivi per cui Zagor non racconta tutto a Cico: per brevità (arrivare subito al punto), per non risvegliare ricordi troppo dolorosi, perché certe cose proprio non le sa, essendo accadute in sua assenza. Dato che Zagor certe cose non le sa, interpreta certi particolari in un certo modo nella ricostruzione degli avvenimenti, che resta comunque affidata alla sua memoria turbata dal dramma vissuto. Quindi: ciò che si legge in “Zagor Racconta…” è la versione dei fatti fornita a Cico, ciò che si legge in “Zagor: le origini” è come realmente sono andati i fatti integrati di ciò che lo Spirito con la Scure ha omesso o non conosce. Non c’è nessuna contraddizione, solo integrazione. Le due storie sono complementari. Si veda comunque quanto detto nell’articolo linkato.