martedì 8 novembre 2011

LA LUNA DI TRAVERSO

La scorsa primavera, in vista della mia partecipazione a Parma Fantasy, Alfredo Goffredi, collaboratore di una rivista realizzata proprio a Parma, “La luna di traverso” (e di molto altro, come per esempio del sito Comicus), mi chiese una intervista. Accettai di buon grado, e feci presente ad Alfredo che, se avesse voluto dare un’occhiata alle domande rivoltemi in circostanze analoghe da altri intervistatori, giusto per rendersi conto di ciò che altre volte mi era stato chiesto e trovare spunti di approfondimento in quel che avevo risposto, avrebbe potuto leggersi la sezione “Tell me More” del mio blog, là dove ho radunato in un unico testo le frequent ask questions.

Comunque, non c’era domande precluse, avrebbe potuto rifarmi anche le stesse già propostemi mille volte, bastava soltanto evitare di chiedermi se fosse più forte Zagor o il Comandante Mark. “E’ più forte Hulk o la Cosa?” era infatti l’interrogativo principe nella rubrica della posta delle testate Marvel Corno, negli anni Settanta. Goffredi mi fece giungere dopo qualche giorno la traccia della sua intervista e mi resi conto di come aveva evitato ogni deja vu, invitandomi a trattare argomenti non solo interessanti ma anche poco discussi nelle precedenti interviste. Il nostro dialogo comparve quindi sul n°30 de “La luna di traverso, uscito nel maggio 2011.

Quando mi fu consegnata una copia della rivista, fui felicemente sorpreso nel rendermi conto di che tipo di pubblicazione si trattasse. Il sottotitolo era “Laboratorio di Narrazioni” e i contenuti consistevano principalmente in racconti, fotografie, illustrazioni e fumetti di autori giovani o emergenti che avevano risposto al bando pubblicato sul numero ancora precedente, là dove si era dato il tema degli “ultramondi”, cioè le realtà parallele dove tutto diventa possibile. Il tutto organizzato e coordinato dall’Associazione Culturale “Lunatici”, sostenuta dall’Archivio Giovani Artisti di Parma e Provincia e dall’Assessorato comunale al Benessere e alla Creatività Giovanile. Di solito, quando si hanno in mano pubblicazioni dati alle stampe per pubblicare lavori di autori non professionisti o alle prime esperienze si ha sempre il timore di trovarsi di fronte a prove di dilettanti allo sbaraglio. Nel caso de “La luna di traverso”, invece, l’impatto con la rivista è di grande professionalità fin dalla copertina, dall’impaginazione interna e dalla qualità tipografica. I contenuti, poi, sono all’altezza delle promesse fatte dalla veste grafica. Racconti divertenti, immagini belle da vedere. Il tutto realizzato da autori tutt’altro che sprovveduti, anche se con poche esperienze alle spalle o in cerca di spazi dove esprimere le proprie potenzialità. Autori non soltanto di Parma, beninteso, ma di tutta Italia.


Durante “Parma Fantasy” ho conversato un po’ con Federica Pasqualetti, vicedirettrice della testata, che mi ha spiegato come “La luna di traverso” sia nata nel novembre 2001, con l’obiettivo di rappresentare un punto d’incontro e di sperimentazione tra giovani scrittori e illustratori, dunque un momento di dialogo e di scambio di esperienze, o anche solo di esercizio per mettersi alla prova. Più o meno ogni quattro mesi la “Luna” lancia una sfida da raccogliere per chi ritiene di avere qualcosa da dire. Sul n° 30 è stato lanciato il bando per i contenuti del n° 31: il tema scelto è il noir. Una volta che i racconti, le foto e le immagini sono state pubblicate sulla rivista, si possono poi leggere in rete. E’ il caso anche della mia intervista che, per facilità di lettura, riporto qui di seguito (invitandovi comunque a visitare il sito della “Luna”). In seguito, Alfredo Goffredi mi ha intervistato di nuovo per Comicus, ma questa è un’altra storia.

Vorrei invece segnalare una ulteriore intervista, che ha avuto una diffusione davvero notevole, di quelle che la gente che ti incontra per caso dice: “Ehi! Ti ho letto sul giornale!”, o lo dice a mio padre e mia madre o alle mie sorelle: “Ho visto la foto di Moreno!”. Si tratta infatti di un pezzo apparso su “L’Informatore Coop” della Toscana: settecentomila copie di tiratura. A chiamarmi in causa è stato un amico, il giornalista e attore Bruno Santini, un personaggio davvero poliedrico nel mondo della comunicazione soprattutto nelle zone d’Italia bagnate dall’Arno. Conduttore di programmi radiofonici, attore al cinema e in TV (la sua ultima fatica una fiction con Gabriel Garko trasmessa di recente), organizzatore e presentatore di eventi, scrittore di libri, eccetera eccetera. Insieme a me è stato intervistato anche Marcello Mangiantini che, per l’occasione, ha realizzato un disegno pubblicato su “L’Informatore”. Ho chiesto a Bruno se, per ringraziarlo dell’attenzione, potevo invitarlo a mangiare una pizza da qualche parte. Ci siamo trovati d’accordo nel ritrovarci a cena da “Rodolfo” a Campi Bisenzio dove, volendo, si mangia dell’ottima carne di pecora (che è il piatto campigiano per eccellenza), ma in realtà lui desiderava ben altro. Mi ha infatti detto, parlandomi in confidenza: “Se ti capita, puoi chiedere al Maestro se mi fa un disegno e me lo dedica?”. Il Maestro è, ovviamente, Gallieno Ferri. Chiedete e vi sarà dato: Gallieno ha eseguito un bellissimo Zagor a pennello e quando lo ha avuto fra le mani Bruno aveva le lacrime agli occhi. Anche lui è uno che è cresciuto leggendo Zagor e sognando con i disegni di Ferri. Anche il testo dell’intervista dell’ “Informatore” compare qui di seguito. Per finire, troverete il video di un mio intervento in ricordo di Sergio Bonelli nel programma radiofonico “Il garage ermetico”, condotto da Laura Pasotti e Andrea Antonazzo, in onda su radio Kiros. Su YouTube la Zagor TV ha diviso la trasmissione in tre spezzoni, il primo è in chiaro in fondo a tutto, il secondo e il terzo li potete vedere cliccando qui.


INTERVISTA A MORENO BURATTINI
su LA LUNA DI TRAVERSO n° 30 - maggio 2011
a cura di Alfredo Goffredi.

Puoi spiegare ai nostri lettori in cosa differiscono ritmi, toni e stili dello scrivere fumetti rispetto allo scrivere narrativa?

Sull’argomento ho scritto, ormai molti anni fa, una intera tesi di laurea di trecento pagine che trovo difficile riassumere in poche parole. Tuttavia, il fumetto è un medium, ovvero una forma di comunicazione, dotato di un codice proprio, al pari del cinema, della pittura, della poesia o della musica. Come per tutti i medium, per veicolare contenuti (idee, emozioni, storie), agli autori occorre una certa padronanza di questi codici, che devono essere saputi utilizzare. Nel caso della letteratura, lo scrittore deve saper usare le parole (scelte con cura e nella giusta misura) per suscitare echi, brividi, divertimento e interesse in chi legge. Nel caso del fumetto, lo sceneggiatore e il disegnatore insieme devono saper ben calibrare le immagini e i balloon per raggiungere lo stesso risultato. Il particolare, a chi sceneggia serve la capacità di visualizzare ciò sarà disegnato, in modo da capire quante vignette esattamente servono, e che tipo di inquadrature devono avere, per raccontare nel modo migliore quel che serve. Così come unicamente chi ha visto e amato tanti film può pensare di sceneggiarne uno, allo stesso modo soltanto a chi ha letto e amato tanti fumetti può avere dentro di sé la visione chiara del da farsi. Uno solo è il dono dell’affabulazione, ma diversi sono i modi di affabulare e gli strumenti da usare per chi scrive cinema, romanzi o comics.

Quanto la narrativa classica (ma anche moderna e contemporanea) è importante per uno sceneggiatore?

Tutto è importante, perché ogni autore è una ricetrasmittente che capta segnali, li elabora e li trasmette di nuovo. Siamo tutti antenne tese a intercettare onde nell’aria. Non si può scrivere senza aver letto. E dopo cinquemila anni di letteratura e cinquecentomila di storie raccontare a voce, alla fine le trame sono sempre quelle elencate nella Poetica di Aristotele. Tutti gli eroi sono un po’ Achille, Ulisse ed Enea. Gli scrittori moderni sono nani sulle spalle dei giganti. Però hanno la capacità di saper parlare ai contemporanei, raccontando in modo diverso le stesse storie.

Quali sono le letture fondamentali che hanno segnato il tuo percorso come persona e come autore?

Credo che ciò che si legge (e si ama) da bambini, da ragazzi e da adolescenti sia ciò che forma e che segna davvero. Tutto il resto, le letture fatte da adulti intendo, ci arricchiscono ma non ci modellano. Io ho avuto la fortuna di aver sempre letto moltissimo. Però, sono stati soprattutto tre gli scrittori che hanno riempito i miei scaffali negli anni delle elementari e delle superiori: Emilio Salgari, Jules Verne e Isaac Asimov. Immagino che oggi sono ciò che sono lo devo anche a loro. In seguito sono venuti altri autori di tutti i generi, alcuni dei quali da me assolutamente adorati, talmente tanti che non mi cimento in nessun tipo di elenco.

La problematica del dialogo è una problematica reale per tanti scrittori di narrativa: come deve essere un dialogo per sentirlo efficace? Quanto è importante contestualizzare il registro del parlato di un dialogo?

E’, o dovrebbe essere, sempre di fondamentale importanza che la scrittura di un dialogo sia funzionale alla storia. Lo sceneggiatore è chiamato a scrivere dialoghi non solo interessanti e divertenti in grado di catturare l’attenzione del lettore e portare avanti la vicenda, ma anche a caratterizzare i personaggi proprio grazie al loro modo di parlare, tenendo appunto ben presente che di parlare si tratta: da qui l’esigenza di dialoghi quanto più vicini possibili al linguaggio parlato piuttosto che a quello scritto. Tuttavia, quando ci si mette al servizio di personaggi che hanno alle spalle una tradizione ultradecennale (come nel caso di Zagor) bisogna anche considerare quali sono i canoni da rispettare. Se un personaggio non dice parolacce da cinquant’anni, non sta bene che uno sceneggiatore di punto in bianco gliene metta in bocca una. Topolino non bestemmia, Diabolik ammazza ma non lancia epiteti coloriti contro Ginko, e via dicendo.

Meglio un linguaggio pulito ed elaborato o un linguaggio più secco, diretto, realistico?

Il linguaggio è uno strumento che va utilizzato in funzione dell’effetto che si vuole suscitare. Se lo scopo è descrivere un personaggio come Brancaleone che parla in modo ampolloso e magniloquente, non lo si può far parlare a monosillabi. Viceversa, se siamo in una situazione noir o nel bel mezzo di una scena d’azione non è il caso di usare arabeschi di parole e sono più appropriate le frasi taglienti. Molto dipende anche dal pubblico a cui ci si rivolge, dato che lo scopo di chi scrivere è comunicare con chi legge.


Al di là delle ovvie differenze di genere, cosa cambia a livello creativo e mentale tra lo scrivere una storia di ambientazione realistica e una che innesti su una base realistica elementi fantastici?

Rispondo partendo con il dire che c’è qualcosa che non cambia, o non dovrebbe cambiare, sia in un caso che nell’altro: la coerenza del racconto e la logica consequenzialità delle azioni. Purtroppo spesso si crede che in una storia fantastica ci sia la libertà di fare qualunque cosa, anche a discapito del buon senso: ne derivano buchi narrativi che invece andrebbero sempre evitati. Personalmente, cerco sempre di costruire storie coerenti, con un inizio e una fine, in cui i personaggi non si comportino in modo illogico. Il fatto che protagonista di una storia sia un mago o un cavaliere che lotta contro gli orchi non autorizza a propinare al lettore un racconto senza né capo né coda e una trama che non sta in piedi. Ciò detto, le storie con la pretesa di essere realistiche hanno il dovere di essere documentate e quelle fantastiche hanno il dovere di spiegare le regole del gioco, ovvero i limiti entro i quali l’autore di riserva il diritto di modificare la realtà. In tutti e due i casi, si tratta comunque di convincere il lettore a sospendere la sua incredulità, di raggiungere la famosa suspension of disbelief, croce e delizia di tutti i narratori. Questa sospensione non è più facile da ottenere in un racconto realistico piuttosto che in uno fantastico: il lettore è più disposto a credere che Peter Pan sappia volare piuttosto che Zagor non muoia cadendo dalle Cascate del Niagara.

Scrivere narrativa, poi sceneggiature, poi giornalismo... e infine anche teatro! Come gestisci stili, modalità, tempi diversi l'uno dall'altro? Come scegli le "armi" del capitan scrittore, ogni volta?

La mia attività di autore teatrale risale, ahimè, a diversi anni fa. Dico “ahimè” perché ho sempre trovato divertente scrivere commedie e testi di cabaret, e chi ha messo in scena i miei lavori mi chiede spesso di tornare a firmare qualcos’altro. Purtroppo, Zagor assorbe quasi completamente il mio tempo. Come giornalista sono molto specializzato e scrivo soltanto di fumetti e zone limitrofe: lo faccio da trent’anni, essendo nato come “fanzinaro”. Pubblico libri e articoli assecondando i miei gusti e le mie passioni. Tra le mie ultime cose, tre saggi dedicati a Gallieno Ferri, Giovanni Ticci e Guido Nolitta scritti con Graziano Romani, un rocker grande esperto di comics. Per la Mondadori sta curando da quasi due anni tutti i testi di approfondimento critico della collana Alan Ford Story. La narrativa è un hobby che coltivo fin da bambino, avendo sempre scritto racconti: da quando pubblico quasi mille pagine di fumetti all’anno, e cioè da vent’anni, tutti i romanzi che ho nel cassetto stanno coprendosi di polvere. Tutti tranne uno, dato che è appena uscito “Le mura di Jericho”, pubblicato da Cartoon Club: una dime novel dal secco linguaggio western, con Zagor protagonista. Riesco a gestire le varie attività, cambiando gli strumenti di lavoro, semplicemente perché si tratta di cose comunque nelle mie corde. Una volta mi è stato chiesto di scrivere una trama per un videogioco e ho rifiutato perché, appunto, a ciascuno il suo mestiere.

Sempre restando nell’ambito delle diversità tra generi, è interessante considerare uno degli elementi principali di una narrazione: i personaggi. Quali differenze intercorrono tra creare e sviluppare un personaggio per un romanzo, per un fumetto e per il palco?

Le grandi storie sono sempre quelle con grandi personaggi. Ciò detto, è ovvio che su un palcoscenico il personaggio ha bisogno di una voce mentre in un romanzo può anche soltanto pensare, mentre in un fumetto ciò che gli serve è agire. Fondamentalmente un autore deve immedesimarsi nello spettatore e proporre quello che a lui, come fruitore, darebbe emozione: ogni medium ha poi i suoi codici e i suoi strumenti per veicolare i brividi. In teatro un personaggio, interpretato a un grande attore, può fare un monologo di un’ora fermo sulla scena illuminato da un solo faretto, facendo commuovere tutti; in un fumetto la stessa cosa non reggerebbe per più di una tavola. Viceversa, i dialoghi dei balloon, scritti per interagire con dei disegni, non sarebbero altrettanto efficaci recitati su un palcoscenico così come sono o trascritti in un libro. Se c’è un personaggio da raccontare, ogni autore troverà il modo di mostrarne le luci e le ombre usando gli strumenti del medium prescelto.

Con oltre cento anni di storia sulle spalle, quale credi che debba essere la caratteristica principale del fumetto? Quali, invece, le sue esigenze?

Il fumetto è, come il teatro, in grado di raccontare tutto e, come il teatro, non morirà mai. Cito il teatro perché di anni sulle spalle ne ha non cento ma, probabilmente, diecimila. La caratteristica principale del fumetto è la capacità di raccontare qualcosa di complesso con pochi elementi funzionali ed evocativi: le icone dei computer sono dei fumetti e non lo sanno. Nei fumetti, un segno evoca più significati, diversi per ogni fruitore quanto a intensità o profondità dei piani di lettura. Un videogioco è molto più univoco nella sua decifrazione. Le esigenze del fumetto, sono, di contro, una disponibilità del lettore alla lettura, che è sempre più difficile da ottenere.

Zagor ha compiuto 50 anni. Se dovessi guardare indietro quale credi sia stato il momento più alto della sua storia editoriale? Cosa vedi invece per il suo futuro?

Ogni zagoriano DOC, e io mi ritengo tale, risponderebbe dicendo che mai niente supererà le storie del periodo d’oro di Nolitta & Ferri. Per il futuro vedo racconti che cercheranno costantemente di tenere vivo il sense of wonder che caratterizzava le avventure di questi due grandi autori.

Se potessi dare un consiglio che ritieni fondamentale a un aspirante scrittore quale sarebbe? E per un aspirante sceneggiatore di fumetti?

Agli scrittori consiglio di non perdere mai di vista la solidità di una trama in favore di uno sfoggio di bella scrittura. Agli sceneggiatori di fumetti suggerisco di non credere che si tratti di un mestiere facile: bisogna averne la vocazione. Non si scrivono fumetti pensando che “tanto” sono fumetti. A tutti e due ricordo che non si diventa ricchi scrivendo, se non in rarissimi casi (ma allora si può vincere anche alla lotteria).

Una domanda da lettore, in conclusione… è più forte Zagor o il Comandante Mark? ;)

A pugni e con la scure, Zagor. Con la spada e con la pistola, Mark.


INTERVISTA A MORENO BURATTINI
su INFORMATORE COOP della Toscana
Ottobre 2011
A cura di Bruno Santini

Com’è che il toscano Burattini da San Marcello Pistoiese è ‘approdato’ a Darkwood alla corte di Zagor, lo Spirito con la Scure?

Sarà che sono nato in mezzo ai boschi e allora trasferirmi in una foresta come quella di Darkwood mi è sembrato naturale, però tutto nasce da un sogno che si è realizzato. Sono sempre stato innamorato dei fumetti e ho avuto in sorte il talento dell’affabulazione (magari non so ballare né cambiare una lampadina, ma so raccontare storie). Tra le mie letture predilette c’è da almeno quarant’anni quella delle avventure di Zagor, lo Spirito con la Scure, un personaggio che era in grado di solleticare la fantasia e scatenare il sense of wonder di ogni ragazzo della mia generazione. Tante volte ho fantasticato sulle ali del desiderio, che mi sembrava irrealizzabile, di poter essere io, un giorno, a scrivere una delle storie del mio eroe preferito, e ammiravo in modo sconfinato quel Guido Nolitta che ogni mese sceneggiava per me avventure tanto belle, e ugualmente ero affascinato dai disegni di Gallieno Ferri e dalle sue fantastiche copertine. Alla fine, dopo un lungo percorso di avvicinamento in cui ho cercato di carpire tutti i segreti del mestiere, incontrando di persona gli autori, scrivendo articoli e saggi, facendo apprendistato su vari fronti, mi sono presentato a Sergio Bonelli (editore di Zagor, ma anche la persona che si nascondeva dietro lo pseudonimo di Nolitta) con delle mie proposte. Nel 1989 Bonelli ha accettato la prima, e mi ha subito messo a lavorare proprio con Ferri. Da allora in poi non mi sono più fermato.

Cinquanta anni di vita per un fumetto sono un’eternità. Sai individuare la ragioni del successo di Zagor? Com’è cambiato in questi 50 anni?

Cinquant’anni ininterrottamente in edicola con avventure nuove tutti i mesi costituiscono un record che, in Italia, è battuto soltanto da Tex, in sella dal 1948. Dopo di noi, a terzo posto c’è Diabolik (1962) e al quarto Alan Ford (1969). Per quanto riguarda Zagor, non si tratta di una sopravvivenza stentata ma di un riscontro di pubblico ancora oggi invidiabile, accompagnato peraltro da un alto grado di soddisfazione da parte dei lettori. Il segreto di tanto successo, secondo me, va ricercato in due elementi. Il primo, più importante, consiste nel fatto che Nolitta ha creato un personaggio in grado di incarnare l’avventura in tutte le sue sfaccettature, e non in maniera monotematica. Nelle pagine Zagor hanno piena cittadinanza tutti i generi, dall’horror alla fantascienza, dal western al romanzo storico, dall’umorismo al giallo. Gli scenari cambiano continuamente grazie alla grande invenzione di Darkwood, la foresta senza tempo dove tutto è possibile. I lettori non sanno mai che cosa aspettarsi per il numero successivo, e dunque non si annoiano. Allo stesso modo, gli autori hanno infinite possibilità di trovare spunti e motivi di ispirazione. Il secondo motivo del successo è proprio legato agli autori stessi: Bonelli è riuscito, negli anni, a mettere insieme una squadra motivata ed entusiasta che ha saputo raccogliere la sua eredità quando, ormai trent’anni fa, ha smesso di scrivere le storie in prima persona, restando comunque il supervisore ultimo. Zagor è cambiato adeguandosi ai tempi, ma è sempre rimasto fedele alla tradizione: da un certo punto di vista, nonostante la differenza nei ritmi dei racconti e la maggior modernità della struttura narrativa, ci sarebbe da meravigliarsi come, in cinquant’anni, sia cambiato così poco.


Come nasce un tuo soggetto e relativa sceneggiatura?

Per il soggetto, ogni sceneggiatore è una ricetrasmittente che capta segnali e li elabora. Basta stare con le antenne puntate e si ricevono continuamente suggestioni. Non soltanto dai libri che si leggono o dai film che si vedono (è fondamentale leggere e andare al cinema più che si può) ma anche dagli articoli di giornali o dai TG. Mi è capitato di sentire alla radio la notizia di un grande incendio che stava devastando i boschi della California e chiedermi: “E se prendesse fuoco la foresta di Darkwood?”. Ovviamente, le idee vanno tutte meditate ed elaborate e c’è da costruirci attorno una trama avvincente e convincente. Bisogna anche ideare dei buoni personaggi. Scrivere la sceneggiatura è la parte più faticosa del mio lavoro, perché bisogna immaginare le scene già disegnate e calcolare il numero giusto di vignette (una vignetta in più, o una in meno, e la scena non sortisce più l’effetto desiderato), oltre che dare le corrette indicazioni al disegnatore per le sue inquadrature e scrivere dialoghi efficaci. E’ come essere un regista e lavorare con un attore che interpreta un personaggio: l’attore è chi disegna. Dopo oltre vent’anni di esperienza, credo di aver acquisito un po’ di mestiere.


Quanto del tuo essere toscano sei riuscito ad inserire nelle storie di Zagor?

Ricordo che nella prima storia inserii addirittura un torrente chiamato File Creek, che significa Torrente Lima: è il nome di un corso d’acqua che scorre vicino a San Marcello Pistoiese. Del resto chiamai anche St.Marcel un villaggio che Zagor incontrava lungo la strada. Ma a parte queste facezie, credo che la mia toscanità si veda soprattutto nella ventina di albi umoristici tutti dedicati a Cico che portano la mia firma. Sono lunghe avventure (centoventi pagine ciascuna) piene zeppe di sketch, gag e battute: è un tratto caratteristico dei toscani quello di essere portati alla facezia, alla burla, alla commedia, alla comicità, come dimostrano il Decamerone del Boccaccio o gli strambotti del Piovano Arlotto. Del resto, sono anche autore di alcune commedie in vernacolo fiorentino.

Chi è nello specifico, adesso, il lettore di Zagor?

Sono continuamente impegnato in incontri con i lettori che mi portano a viaggiare per tutta la penisola ma anche all’estero (negli ultimi mesi ho visitato Istanbul, Zagabria e Belgrado), e dunque credo di essermi fatto un quadro abbastanza preciso del nostro target. Che non è un target monocromatico, dato che vi si trovano zagoriani di tutte le età e di tutte le estrazioni sociali. Però, gli abitanti di Darkwood (come li chiamo io) sono in genere tutte belle persone, dai buoni sentimenti, aperte all’amicizia (infatti socializzano facilmente, si radunano in forum su Internet, organizzano feste). Prevalentemente sono fra i trenta e i cinquant’anni in su, anche se capita di incontrare dei ventenni e, un po’ meno, degli adolescenti. Poi c’è la vecchia guardia, quelli che leggono lo Spirito con la Scure fin dagli anni Sessanta, e sono dunque ultrasettantenni: sono i più critici verso le novità, e bisogna tenerne conto. Ci sono anche alcune rare lettrici donne, di solito conquistate dagli albi di Cico. Mi piacerebbe far aumentare la quota rosa e alcune mie storie, mi hanno detto, riescono a solleticare la sensibilità dell’altra metà del cielo, come “Un capestro per Gambit” e “Lo sciamano bianco”, in cui ci sono interessanti personaggi femminili.

Cosa consigli a chi ritrovi in soffitta alcuni dei primi albi di Zagor?

Se sono gli originali (e non le ristampe) vanno portati in banca. Il primo numero in buone condizioni può superare i tremila euro sul mercato del collezionismo. E non è il più raro.

Ci racconti un aneddoto curioso relativo alla tua attività professionale?

Credo che il più divertente riguardi mio padre. Non è mai stato un lettore di fumetti e gli ho provocato un trauma quando gli dissi che avrei lasciato il posto fisso che avevo prima, per mettermi a scrivere sceneggiature. Non ha mai capito di che cosa si tratti esattamente e trova difficoltà a spiegare, a chi glielo chiede, che lavoro faccia suo figlio. Perciò tiene in casa un albo di Zagor e se qualcuno gli domanda: “Ma che fa, Moreno?”, lui tira fuori il giornalino, lo mostra e risponde: “Fa... fa questo!”.

Considerando che l’articolo esce ad ottobre vuoi segnalare alcune iniziative/festeggimenti che riguardano gli ultimi mesi dell’anno?

Zagor è reduce da un intero anno di celebrazioni del cinquantennale. Credo che nessun personaggio Bonelli sia mai stato festeggiato tanto a lungo e con tante iniziative come lo Spirito con la Scure. Io ho addirittura pubblicato due libri, per l’occasione: un romanzo (in prosa) dal titolo “Le mura di Jericho” (Cartoon Club) con Zagor protagonista, e il saggio “Guido Nolitta: Sergio Bonelli sono io”, scritto con il rocker Graziano Romani (Coniglio Editore). In ottobre è prevista una mostra personale di Gallieno Ferri a Città di Castello (Perugia) e ovviamente lo Spirito con la Scure sarà protagonista a Lucca Comics, nel consueto appuntamento a cavallo fra ottobre e novembre, con addirittura l’emissione di una moneta speciale da parte della storica zecca lucchese.