venerdì 13 gennaio 2012

IL SOPRAVVISSUTO

Il mio barbiere si chiama Massimo ed è uno dei pochi sopravvissuti al rogo di Viareggio del 29 giugno 2009, fra quanti abitavano nel gruppo di case immediatamente adiacenti ai binari, là dove ha deragliato il carro cisterna che ha causato il disastro. I fatti sono noti e basterà ricordarli per sommi capi.

Alle ore 23.48, un treno merci composto da quattordici vagoni adibiti al trasporto di gas propano liquido, deraglia subito dopo aver attraversato la stazione ferroviaria di Viareggio, per il cedimento del carrello del primo carro. La cisterna di testa viene perforata, sembra, da un picchetto di tracciamento della curva, e il gas fuoriesce dallo squarcio. L’incidente avviene praticamente in mezzo al centro abitato, a poca distanza dalle case, in particolare da quelle di Via Ponchielli, che sorgono nei paraggi della strada ferrata. Se il treno fosse riuscito a trascinare i vagoni per poche altre centinaia di metri, l’esplosione sarebbe avvenuta in mezzo ai campi e i danni sarebbero stati limitati. Invece, il punto del disastro sembra scelto apposta per fare il maggior numero di vittime possibile.

Lo scoppio, comunque, non avviene subito. I macchinisti hanno il tempo per fuggire e per cercare di dare l’allarme. Un fornaio che sta andando al lavoro, e attraversa tutte le notti il cavalcavia della stazione, invece di scappare, si ferma a metà del ponte, curioso, per guardare i carri rovesciati sotto di lui, mentre il propano sibila uscendo dalla cisterna e si mescola con l’ossigeno. Basta l’innesco di una scintilla per scatenare l’inferno. C’è chi dice che a provocarla sia un motociclista che transita in scooter al di là del muro della ferrovia, c’è chi dice che la causa invece sia un’altra. Un accendino, un punto di attrito fra due lamiere, chissà. Fatto sta che il motociclista viene spazzato via dall’esplosione e resta carbonizzato sulla strada insieme al suo motorino. Del fornaio non si trova neppure il cadavere: avvolto completamente da fiamme alte cinquanta metri, viene letteralmente incenerito. Forse, sono i morti più fortunati. Molto peggio è andata a chi è arso vivo nei minuti successivi e a chi è morto a distanza di giorni, settimane e mesi in conseguenza delle ustioni.

Le case di via Ponchielli vengono investite dall’onda d’urto e dalle fiamme. Alcune crollano, altre prendono fuoco come se fossero di paglia. Per chi è sceso in strada per vedere che cosa è successo e per chi è rimasto dentro ignaro o sbirciando magari dalla finestra, è la fine. C’è chi viene ritrovato bruciato per la via, chi sepolto dalle macerie. Ma c’è anche chi corre cercando scampo mentre è trasformato in una torcia umana. Alla fine i morti sono 32. Undici le vittime la notte dell’incidente, ventuno quelle decedute in ospedale a distanza di tempo. A loro, vanno aggiunti due anziani morti per infarto in seguito allo shock. Circa mille persone vengono evacuate. Oggi, le case di via Ponchielli sono state abbattute e ricostruite a maggior distanza dai binari ed è in corso un processo per stabilire cause e colpevoli del disastro.

Io abito a Viareggio da più di cinque anni, ed ero lì il giorno prima della strage. La casa dove vivo è comunque distante un paio di chilometri in linea d’aria dal punto dell’esplosione. Al momento dello scoppio, ero da poco ripartito per Milano e ho saputo della tragedia soltanto la mattina dopo, molto presto, quando Gallieno Ferri mi ha svegliato telefonandomi: aveva appena visto in TV le prime immagini. Nei telegiornali della giornata, vengono intervistati alcuni superstiti e uno in particolare, che rende la sua testimonianza da un letto d’ospedale, ancora in stato confusionale, è appunto Massimo. Lui e la sua famiglia (la moglie e un bambino molto piccolo) sono gli unici sopravvissuti tra i suoi vicini di casa.

Nei giorni successivi, passando davanti al negozio, lo vedo chiuso. Poi, più o meno un mese dopo, scorgo Massimo all'interno, mentre fa pulizia, pur senza aver riaperto. Mi chiedo se sia o non sia il caso di fermarmi costringendolo a rivivere di nuovo, con l’obbligo di dirmi come sta e che cosa gli sia successo, il dramma vissuto. Accidenti, è assurdo avere dubbi: è un amico. Busso al vetro, mi apre, sembra contento di vedermi. Dice che non sa ancora quando riaprirà ma intanto la bottega va preparata per riprendere l’attività, dopo le settimane in cui nessuno l’ha pulita. Ha ancora lo sguardo shockato, la voce tremante, le mani nervose. Mi dà il primo resoconto, estremamente drammatico, della sua esperienza. In seguito, approfondisco con lui l’argomento, e Massimo mi tiene aggiornato sul procedere dei lavori per potersi trasferire in una casa nuova, dopo i primi risarcimenti anticipati alle vittime.

Il suo racconto di quel che è successo quella notte è, in realtà, la spiegazione del perché lui è vivo e gli altri no. E’ in casa, davanti alla TV, con la moglie. Il bambino, di pochi mesi, dorme. Sentono il rumore del deragliamento. Massimo guarda attraverso le fessure delle tapparelle. Inizialmente non capisce bene, poi sente odore di gas e quindi vede una nuvola bianca, alta alcuni metri, venire dalla ferrovia verso di lui, come l’onda di un silenzioso tsunami. A questo punto, può decidere di fuggire nella via, come molti altri. Invece, ha un’idea diversa, un’illuminazione. Il propano è pesante, grava sulla strada. Moglie e marito si guardano negli occhi, sono gli attimi che fanno la differenza fra la vita e la morte. “Andiamo in soffitta e da lì passiamo sul tetto!”, dice Massimo. Prendono il bambino, viene aperta la botola della soffitta, salgono sulla scala, arrivano di sopra. A quel punto c’è l’esplosione.

Una fiammata invade la casa. Dalla botola della soffitta, Massimo vede il fuoco nel salotto dove si trovava fino a poco prima. L’appartamento brucia. Dalla soffitta salgono sul tetto. Massimo va avanti con il bambino in braccio, e cammina in equilibrio su un muretto che collega la sua casa con quella accanto, molti metri sopra il piano stradale. Raggiungono il tetto vicino, con il cuore il tumulto, mentre la loro casa viene avvolta dal rogo. Per scendere, vedono una tettoia di una specie di ripostiglio, in un cortile sottostante. C’è da fare un salto di tre o quattro metri per arrivarci. Massimo salta con il bambino in braccio. La tettoia si rivela di plastica e non regge l’urto. Il padre e il figlio la sfondano e cadono di sotto. I metri di salto finiscono per essere sette o otto. La mamma, rimasta in alto, grida. Massimo riapre gli occhi dolorante. Si è rotto il bacino e diverse costole, ma il suo primo pensiero, terrorizzante, è di poter avere ucciso il figlio cascandoci sopra. E’ il contrario: il suo corpo ha fatto da materasso al piccolo, che non ha subito nessun danno. Massimo guarda in alto e vede il cielo colorato di un incredibile color arancio dalle fiamme altissime dell’incendio: lui però è già a distanza di sicurezza. Arrivano i pompieri, prendono il bambino, salvano la moglie, lo portano in ospedale. Lì, è l’inferno: il superstite viene messo su una barella e vede arrivare accanto a lui gli ustionati portati via dall’incendio. Vede scene terribili, è costretto a chiudere gli occhi. Ripenso spesso a questo racconto e mi chiedo che cosa avrei fatto io. Sarei fuggito in strada, o avrei avuto l’illuminazione giusta fuggendo sul tetto? Penso che probabilmente mi sarei chiuso in una stanza di casa, sperando che la porta e le pareti bastassero a tenere lontane le fiamme. Dunque serei morto. Oggi sono tornato da Massimo a tagliarmi i capelli. Abbiamo parlato della crisi, delle tasse e degli sprechi. E’ un po’ che non parliamo più dell’incidente.




lunedì 9 gennaio 2012

CONTROSTORIE

Cerco sempre di fare in modo che i miei ragazzi si guadagnino gli euro di cui hanno bisogno per le loro piccole (e sempre più spesso grandi) spese. Quindi, quando sono con loro, gli trovo qualcosa da fare. La paga è di dieci euro l'ora. La mia figlia più grande si sta da tempo occupando di ribattere al computer l'enorme mole di miei vecchi testi scritti a mano o a macchina, compresi gli appunti universitari.

Tra le ultime cose riemerse da un vecchio scatolone, ho recuperato un testo scritto per un giornaletto scolastico del Ginnasio Cicognini di Prato, che ho frequentato negli anni Settanta. Si tratta di una controstoria del latino, vista con gli occhi di uno studente del ventesimo secolo obbligato a studiarlo e che avrebbe preferito che la lingua di Cicerone fosse rimasta indecifrabile come l’etrusco (che del tutto indecifrabile, in realtà, oggi non è).

Vi sottopongo volentieri ciò che scrissi più o meno quindicenne, a cui farà seguito (immagino il vostro entusiasmo) un altro canto del mio poema epico intitolato “Enode”, risalente più o meno allo stesso periodo, quello degli anni del liceo, di cui alcuni mesi fa
proposi un primo assaggio, suscitando anche (incredibile ma vero) alcuni inviti a proseguire. Si tratta di una parodia dell’Eneide virgiliana (che Virgilio mi perdoni), scritta con spirito goliardico e boccaccesco, in versi endecasillabi e con frequenti contaminazioni vernacolari toscane: da esperienze come queste (ne ho scritte altre) nascono le mie “canzoncine” di Cico (di cui un giorno potremmo arrivare a parlare).

Il punto preso in giro è quello in cui Enea (nel mio testo, chiamato Eneo per motivi troppo lunghi da spiegare) racconta alla regina Didone della sua fuga da Troia, data alle fiamme al termine dell’assedio e della lunga guerra con i greci.
Ovviamente, propongo una versione abbastanza diversa da quella omerica riguardo alle cause e allo svolgimento dell’epico conflitto. Ricordo che in quegli anni mi faceva raggomitolare dal gran ridere la parodia dell’Iliade fatta da Magnus & Bunker sulle pagine di Alan Ford, negli albi in cui il Numero Uno raccontava di essere stato testimone della guerra e sosteneva che a originarla fu sì la bella Elena, ma per motivi del tutto diversi: il marito Menelao la voleva sbolognare a Paride perché le sue esose spese stavano dissanguando il tesoro reale di Sparta, e Priamo, visto scemare anche il livello dei suoi forzieri, pretendeva che il marito se la ripigliasse. La mia versione è del tutto diversa, ma chiaramente il tono burlesco (venato anche da humour nero di evidente ispirazione bunkeriana) è lo stesso.

Vi assicuro comunque, come già feci nell’occasione precedente, che non serve nessuna particolare cultura classica per leggere i quaranta versi (suddivisi in dieci quartine) che seguono. Basterà sapere che il re di Troia, Priamo, era famoso per avere cento figli, in un'epoca in cui non esistevano gli assegni famigliari. Buon divertimento!

CONTROSTORIA
DEL LATINO

di Moreno Burattini (1977)

Quando Romolo tentò di fondare Roma, subito il saggio fratello Remo, prevedendo la lingua che in quella città si sarebbe evoluta, cominciò a ostacolare tanta scelleratezza. Ma purtroppo ebbe la peggio. I Sanniti, gli Equi, i Volsci e tutti gli altri popoli intorno, accortisi della lingua che stava nascendo, e pensando a noialtri posteri che avremmo dovuto studiarla, indissero la mobilitazione generale e si precipitarono addosso alla novella Urbe, tentando di soffocarla prima che fosse troppo tardi. Nonostante l'impegno, non ci riuscirono. Accorsero allora all’istante i previdenti Etruschi, che da parte loro avevano badato bene a non far decifrare la loro lingua, così che non ci toccasse studiare pure quella, e Porsenna assediò Roma. Stava quasi per vincere, quando lo scellerato Muzio Scevola diede una mano (la destra) ai romani e rovinò tutto. Benché lontani, i Galli cercarono di rimediare correndo a soffocare il latino prima che il danno fosse irrimediabile (già i romani avevano cominciato a scrivere), ma non ci fu niente da fare. I cartaginesi si impegnarono a fondo nelle guerre puniche, e Annibale portò pure gli elefanti per schiacciare per bene ogni frammento di pergamena ma, nonostante tutto, non ci fu verso di combinare niente. Roma si era ormai imposta e il latino diffuso. Quando i Barbari riuscirono a dar fuoco alle biblioteche, ormai era inutile: i grafomani in riva al Tevere avevano già riempito diecimila chilometri di libri. Impossibile distruggerli tutti.

Cesare scrisse in latino il “De Bello Gallico” e il “De Bello Civili” e il mai troppo lodato Bruto lo tolse dal mondo per impedirgli di comporre qualcos'altro. Il saggio Ottaviano, vedendo Ovidio scrivere in latino le sue opere, con la scusa che erano licenziose lo mandò subito in esilio, e gli disse: "Ma va’ via! Non rompere più con i tuoi versi! Togliti dalle scatole e smetti di scrivere!". Ovidio fu spedito fuori, nella speranza che desistesse dal comporre rompimenti, ma lui, imperterrito, continuò a scrivere anche dall’esilio. Il buon Virgilio non riuscì a trattenersi e buttò giù l’Eneide ma, prima di morire, pensando a noi scolari che l’avremmo dovuta tradurre, ordinò che fosse distrutta. I suoi amici, vigliacchi e traditori, invece la conservarono! Il Cicerone venne al mondo e cominciò subito a scrivere, e continuò finché qualcuno pensò bene d’ammazzarlo per farlo smettere. Ma ormai il Marco Tullio aveva già redatto un mezzo miliardo di orazioni, epistole, lettere, cartoline dalle vacanze e biglietti di buon Compleanno. A Roma il servizio postale (diversamente dal nostro) doveva funzionare a meraviglia. Di tutte le lettere spedite da Cicerone non se n’è persa una e ora ci tocca tradurle tutte! Ma pensa te che fregatura! Che ci volete fare? Malgrado tutti i tentativi, nessuno è riuscito a impedire al latino di arrivare fino a noi.

Di Moreno Burattini (1978)

CANTO OTTAVO


IN CUI ENEO PARLA
DELLE CAUSE E DELLO SVOLGIMENTO
DELLA GUERRA DI TROIA




Tacque il convito, e stette a ascoltare
quello che Eneo si mise a narrare,
dimenticando il tempo presente
ed ogni intrigo di cuore e di mente.

Disse l'Eneo con forte sua voce:
- Dovete saper che ogni mia croce
fu provocata da quella gran guerra
sorta coi greci su la nostra terra.

Quel truce e selvaggio combattimento
origin ebbe dal grande tormento
ch'eran per Priamo, re sciagurato,
i cento figli che avea procreato.

Difatti quando il Paride bello
fe’ quel che fece e successe un macello,
Priamo gli disse: "No! Non ridare
l'Elena al greco di là dal mare!"

Così facendo sperava che fosse
guerra, e difatti il marito si mosse.
Pensò fra sè, contento e furbino:
"Qualche figliolo mi tira il calzino!

Con la battaglia che esser dovrà,
vedrai che di cento qualcuno morrà!
Oh che bellezza! Sia guerra! Sia guerra!
Troppi figlioli ci ho già sulla terra!"

Di volta in volta che un figlio moriva
Priamo aveva più l'aria giuliva.
Teneva il conto col pallottoliere:
"Meno una bocca al desco a sedere!"

E quando l'Ettore, ch'era assai grosso,
fu dall'Achille buttato in un fosso,
Priam felice allora assai fue:
"Bene! - pensò - mangiava per due!"

Così, il re la gran guerra incitava
e sempre al fronte i figli mandava
e benediva con somma gioia
l'assedio fatto dai greci a Troia.

Perciò dieci anni la guerra durò:
finchè sfoltita la prole restò.
Adesso bevo, e poi voglio dire,
com'è che la guerra andette a finire. -


sabato 7 gennaio 2012

FATTO COSI'



Una dozzina di anni fa, durante un periodo piuttosto difficile della mia vita, concomitante con la fine di un matrimonio (una dramma che è impossibile attraversare senza riceverne dei traumi), ebbi bisogno di un sostegno psicologico e cominciai a frequentare uno psicoterapeuta una volta alla settimana. La cosa andò avanti per quattro anni, e credo di dovere molto al dottor Temperani che mi sopportò per tutto quel tempo. La frase con cui di solito metteva fine alle nostre sedute era: “Basta, non ne voglio sentire più”.

Da quando ho smesso di fargli visita, cerco di cavarmela da solo e mi reputo fortunato di aver imparato come reagire di fronte alle difficoltà, che ci sono sempre, perché, come mi disse lui una volta, “la vita non è una passeggiata”. No, non lo è. Anche se in molti possono pensare che io sia “uno spasso” durante i miei incontri con il pubblico, come mi ha scritto qualcuno su Facebook, o anche se mi sforzo di essere sempre disponibile e sorridente in redazione così come a casa, ho anch’io i miei momenti di angoscia e di sconforto, e i miei guai irrisolti, con me stesso, con i miei genitori, con il resto del mondo. Come tutti.


Aver fatto quattro anni di terapia (indubbiamente pochi rispetto ai lunghissimi periodi di cura di molti altri, anche fra i miei colleghi) mi ha però insegnato almeno a rendermi conto di quanto siamo tutti piccoli e fragili, anche quelli grandi e grossi che sembrano o si sentono i padroni del mondo. A volte penso che avrei bisogno di un altro piccolo aiuto, magari per riuscire a farmi valere un po’ di più, tirando fuori un po’ della cattiveria che il Temperani mi invita a farmi sfogare perché gli sembravo un po’ troppo buono, come Lupo de’ Lupis. Nessuno è davvero del tutto buono, così come nessuno è davvero completamente cattivo. Tutti però siamo sulla stessa barca: il mondo in cui ci svegliamo ogni mattina, che tante volte mi è sembrata la cella in cui riapre gli occhi al risveglio il condannato all’ergastolo.



Le mie sedute con lo psicologo sono sempre state di tipo tradizionale, vale a dire basate su conversazioni private con il terapeuta. Tuttavia, nel 2001 ho partecipato a una seduta collettiva di bioenergetica, consigliatami dal mio analista per vedere all'opera un luminare americano, il dottor Hochman, venuto a Roma per due giorni di incontri. Ciò che ho visto mi ha lasciato sgomento. Il gruppo, dove io ero soltanto un osservatore, era composto da una ventina di persone. A turno, ciascuno si presentava al dottore parlando brevemente di sé, poi Hochman faceva qualche domanda e iniziava ad agire sul loro fisico, stimolando con la mani particolari zone (di solito la schiena, la nuca, la bocca) e provocando convulsioni, grida, sfoghi di rabbia, pianti disperati. Tutti eravamo lì perché vittime di un qualche dolore. Il mio mi è sembrato improvvisamente piccolissimo di fronte all'angoscia e al mal di vivere degli altri. Ho visto uomini grandi e grossi piangere come bambini, rannicchiati in posa fetale nell'abbraccio catartico di Hochman che li baciava sulla fronte.

Fra le ragazze, ce n'è stata una che ha gridato più delle altre, vittima di un'angoscia insopportabile. Il dottore, che aveva una capacità straordinaria di leggere nell'anima delle persone, di lei ha detto: "Vedete, questo è ciò che succede quando un padre considera più importante un mobile, o un quadro, o un orologio, di sua figlia. Se si rompe un mobile, aggiustarlo costa. Se si rompe una bambina, aggiustarla costa molto di più". Il dramma di quella ragazza era appunto legato alla figura del padre assente. Enorme la responsabilità dei genitori dato che, secondo Hochman, la maggior parte dei traumi più gravi sono in età preverbale. Da rabbrividire. E' nei primi quattordici mesi di vita che un padre che pensa di più ai mobili rompe la sua piccolina. Mi chiedo quand'è che i miei hanno, involontariamente, rotto me. Freud diceva che per dimenticare bisogna prima ricordare.


Sarebbe bello, adesso, parlare di Freud, anche alla luce del recente saggio di Michel Onfray “Il crepuscolo di un idolo”, che ne smitizza la figura, ma si tratterebbe di un discorso lungo destinato a portarci troppo lontano (il che non esclude che, a spizzichi e bocconi, non se ne possa parlare come in altre occasioni abbiamo parlato perfino di metrica latina o di poesia italiana). Ciò che mi preme adesso arrivare a dire è che, dopo aver dovuto superare la mia dose di prove e di esperienze, mi trovo a essere empatico con la maggior parte dei miei collaboratori e a essere io stesso, come alcuni potrebbero testimoniare, un piccolo terapeuta delle loro difficoltà. Non so come si comportano gli altri curatori di testata in ambito bonelliano e al di fuori di casa Bonelli, ma io tengo molto al contatto con chi lavora a Zagor insieme a me e mi faccio carico, fin dove posso, delle loro difficoltà. C’è chi attraversa un brutto momento in famiglia o a livello economico, chi ha problemi di salute, chi deve essere incoraggiato, chi ha un blocco creativo, chi non si sente a suo agio con la storia che gli è stata affidata, chi teme il giudizio dei lettori, chi ha bisogno di una pausa, chi fugge all’estero con una nuova fidanzata, chi ha tanti pregi e qualche difetto e bisogna valorizzare i primi e sopportare i secondi, chi deve essere richiamato all’ordine ma c’è modo e modo per farlo e i caratteri delle persone sono tanti e diversi e bisogna trovare la maniera giusta.

Non so se mi illudo, ma in tanti me lo hanno riconosciuto anche pubblicamente, di essere un buon curatore: perché so tenere unita la squadra, motivarla, fare in modo che tutti siano contenti di ciò che fanno, si sentano parte importante di un progetto. Cerco di fare in modo di vederci, incontrarci, stare insieme e insieme proporci al pubblico, durante gli incontri o i raduni degli appassionati.

Non credo che esista un gruppo di autori più unito, coeso, motivato di quello zagoriano. I lettori lo vedono e lo sentono, e anche loro si stringono intorno a noi con una affettuosità e un calore che stupisce gli osservatori esterni. A me sembra giusto questo tipo di approccio, e in ogni caso è quello che mi viene spontaneo. I frutti non mancano, visto che una testata che vent’anni fa Sergio Bonelli dava per spacciata è ancora viva e vegeta e soprattutto ha un buon indice di apprezzamento da parte dei lettori. Tuttavia, so che c’è chi preferirebbe approcci di tipo aziendale più asettici e più aspri con i collaboratori, chi è infastidito dalle manifestazioni di affetto dei lettori, chi non crede nei rapporti amichevoli e nella mutua collaborazione sul luogo di lavoro.

Io so che faccio del mio meglio, anche al di là dei miei compiti, diciamo così, istituzionali: il mio lavoro è la mia vita, e non potrei lavorare in un modo che non mi assomigliasse, così come non potrei vivere una vita che non fosse simile a me, pena il dover tornare di nuovo dal dottor Temperani. “No, I am that I am”, per dirla con William Shakespeare nel sonetto 121, quello da me più amato (un altro argomento di cui potremmo parlare, un giorno): “No, io sono quel che sono”. In fondo, “potrei essere io il giusto e loro gli storti” (I may be straight though they themselves be level). Probabilmente, anche il fatto che io compili questo blog o affidi con immediatezza e persino impulsività pensieri al vento nel “coso” su Facebook potrebbe dar noia a chi ritiene che un autore debba tenersi lontano dai rapporti troppo confidenziali con i suoi lettori, e colgo infatti, talora, frecciatine e ironie su questa mia tendenza all’empatia con il pubblico.

Il guaio è che se riesco a essere un buon allenatore e perfino un padre spirituale, un confessore o un fratello maggiore per i miei collaboratori, non ho nessuno che coccoli me quando salgo al piano di sopra, là dove probabilmente in molti non capiscono. Ma io, come canta Qualcuno (quanto mi ci sono riconosciuto in quella canzone, che trovate in fondo al post), sono “fatto così”. Il che non significa che io sia fatto male: la cosa più sbagliata che si possa fare è tranciare giudizi negando i pregi degli altri e vedendo soltanto i difetti. Come diceva il cardinale Richelieu, chiunque potrebbe essere impiccato per tre parole dette estrapolate dal contesto.

Una cosa che io considero una grave ingiustizia (e in certi casi mi pare anche un qualcosa di offensivo) è il mancato riconoscimento dei meriti. Non è vero che tutto è dovuto e che non si debba mai dire “grazie” a chi fa il proprio dovere, ma soprattutto è intollerabile che non si riconoscano i pregi di chi il proprio dovere lo fa bene e fa perfino di più di ciò che gli è richiesto. I miei genitori, per esempio, non erano abituati (per retaggio famigliare) a elargire troppe coccole e particolari affettuosità, e pur essendo persone buone e disposte a ogni sacrificio per i figli, non sapevano gratificarmi per i successi scolastici o per le mie iniziative (dipingere un quadro, scrivere un articolo per il giornaletto parrocchiale, recitare in una piccola compagnia teatrale, inventarmi un club).

Immagino che da questa mia sofferenza infantile e adolescenziale nasca la mia ribellione attuale verso chi non vede il bello e il buono nel lavoro degli altri e crede che si debbano trattare i collaboratori sempre come degli incapaci. Probabilmente ci sono strategie aziendali che prevedono questo tipo di tecnica in chiave motivazionale: immagino, anzi, che la maggior parte di coloro che mi stanno leggendo la subiscano sulla propria pelle. Io non la applico, invece, con chi lavora con me. E chi lavora con me, me ne è grato (o almeno, di questo mi illudo). Preferisco motivare i collaboratori con la gratificazione e il riconoscimento, e se c’è da chiedere (come chiedo di continuo) di riscrivere una sceneggiatura o rifare dei disegni, giustifico con abbondanza di argomenti e vicinanza emotiva le mie richieste. Poi succede (come del resto succede a me stesso, nelle cose che scrivo io) che i risultati non siano ugualmente all’altezza delle aspettative, nonostante il tanto impegno. Ma certo, non sarà un parziale fallimento nel tentativo di dare il massimo, a farmi dimenticare tutto il bello e il buono dei precedenti anni di lavoro insieme, e il contributo dato da ognuno alla serie. Mi piacerebbe, certo, venire ripagato con la stessa moneta da chi deve valutare il mio, di contributo. Ma non lavoro per sentirmi dire “bravo” e sono abituato, dall’infanzia, alla mancanza di ringraziamenti. Mi basta sapere che faccio del mio meglio.


Però, è chiaro che le dinamiche psicologiche contano, e contano parecchio. Prima di aver bisogno anch’io del mio sostegno terapeutico, ricordo che mi meravigliavo nel sentir dire che non pochi dei miei colleghi andavano in terapia. Leggevo i romanzi di Sclavi e mi stupivo del fatto che se le etichette delle camicie gli davano noia, non le togliesse come facevo io e come, credevo, tutti fossero in grado di fare. Poi è venuto il mio turno: ho cominciato a essere incapace di cavarmela da solo, e affogavo (a causa dei problemi che mi portavo dentro) in ogni bicchiere d’acqua. Anche se ho smesso, da molto tempo, di frequentare il mitico dottor Temperani, qualche forma di autoanalisi me la devo pur concedere. Ed eccoci al dunque, al motivo cioè che mi ha portato a tutte queste riflessioni, insolite in questo spazio e apparentemente sconclusionate. Il punto è che mi sono messo a rileggere le ultime cose scritte, di getto, sul mio “coso” su Facebook. E con sorpresa ho scoperto che non si tratta di considerazioni qualunque, fatte pourparler (niente, in realtà, è fatto davvero pourparler, ma questo è un altro discorso). Che cosa ho scritto su FB? Ecco i testi.


4 gennaio. Un rapido calcolo di fine anno mi ha permesso di appurare che nel 2011 ho sceneggiato 892 tavole di Zagor. Sono tante? Sono poche? Poche di sicuro in confronto a Boselli ma anche contro quelle di Mignacco o di Vietti. Però ho anche curato, da solo, le 2182 tavole di Zagor mandate in edicola, risolvendo problemi in ogni vignetta. Ho tenuto unita e motivata la squadra, ho partecipato a decine di incontri in Italia e all'estero, ho organizzato mostre, ho allestito albetti, ho pubblicati libri, ho suggerito e promosso iniziative, ho scritto articoli, ho fatto conferenze, sono stato una sorta di pierre aziendale in molte circostanze, ho rilasciato interviste, ho tenuto i contatti con i lettori e i forumisti, ho portato avanti un blog con ben 131 elaboratissimi post. Ah già, e poi c'è anche il "coso".

5 gennaio. Qualche mese fa, ho proposto alle alte sfere di aprire un profilo Facebook ufficiale di Zagor. Incredibile ma vero, l'ho proposto io che non ho mai usato FB e che ho difficoltà persino a vedere un video su YouTube. Però, per mia abitudine, cerco sempre nuove idee e propongo, che so, di stampare materiale rimasto inedito, o di ricominciare con i Cico o di allegare poster o di curare un albetto speciale o di pensare a una rivista o di fare a colori gli almanacchi, eccetera eccetera. Quando qualche lettore mi chiede: "ma perché non fate...?'", io di solito ci ho già pensato e l'ho già proposto. Il novantanove virgola nove per cento delle mie proposte vengono bocciate e di solito giudicate prive di buon senso, il che - ne sono convinto - è vero. Ma l'entusiasmo mi trascina. L'idea del profilo ufficiale di Zagor è stata però ponderata e si è deciso di verificare, con i giusti tempi di riflessione e di studi di fattibilità, se si poteva creare un profilo collettivo di tutti gli eroi della Casa editrice, perché non stava bene che Zagor avesse qualcosa che gli altri non avevano, e poi c'era da capire chi avrebbe seguito l'iniziativa e quale taglio bisognasse dargli, e via dicendo. Non so se l'idea abbia avuto un seguito e qualcuno ci stia lavorando (non partecipo a nessuna riunione di quelle importanti e conto come il due di picche). Nell'attesa, prevedendo tempi lunghi, non mi sono perso d'animo e ho creato allora una pagina non ufficiale ma privata, il "coso" che state leggendo, appunto (così come quasi tutti gli autori, credo, hanno pagine simili). Mi auguro di stare fornendo comunque, sia pure a titolo personale e gratuito, un servizio ai lettori e alla Casa editrice (lo stesso mi illudo che accada con il blog: un mio sforzo da "dopolavoro"). E non mi attendo riconoscimenti di nessun tipo: mi basta la soddisfazione di aver creato qualcosa, almeno per i 334 pochi intimi dei "mi piace" di oggi.

Nel frattempo i “pochi intimi” sono diventati 336, per un bacino di 110.700 persone (gli amici degli amici). I contatti del blog sono quasi ventimila al mese (se siano tanti o pochi non lo so). Qual è la riflessione che ho fatto dopo aver riletto tutto ciò? Che è diventata questa, la mia forma di autoanalisi. Scrivere sul “coso” e sul “blog”. Immagino che abbia una funzione catartica. Mi serve per liberarmi di qualcosa che ho bisogno di dire, di spiegarmi meglio anche e soprattutto a beneficio di me stesso. Forse riesce anche a farmi dare qualche incoraggiamento e a farmi dire qualche grazie, cose di cui è così avara la vita, e avarissimo l’ambiente lavorativo.


lunedì 2 gennaio 2012

INDIANA TEX


Il numero 199 di Fumo di China, da qualche settimana in edicola, contiene un dossier dedicato a Sergio Bonelli. All'interno, articoli di Spiri, Brunoro, Cantarelli, Cuccolini e anche uno mio, intitolato "Gli scarabocchi di Nolitta". Da segnalare anche un ricordo di Graziano Romani. Ci sono però anche un paio di interventi di Stefano Priarone, tra cui uno dedicato ai film tratti dai fumetti bonelliani, a cominciare dai due turchi ispirati a Zagor di cui mi è capitato più volte di parlare anche su questo blog. Da lì, il collegamento di idee mi ha portato subito a ripensare alla più celebre tra le pellicole sugli eroi di via Buonarroti, ovvero “Tex e il Signore degli Abissi”.

E' opinione diffusa che l'unico motivo per cui valga la pena di vedere quel film sia per il cameo di Giovanni Luigi Bonelli che, nel prologo, compare nei panni di un vecchio stregone. Qualcuno si lamenta che fosse doppiato: sarebbe stato bello sentirlo parlare con la sua vera voce. Forse, invece, sarebbe stato meglio doppiare Giuliano Gemma, interprete (peraltro dignitoso) di Aquila della Notte. Secondo me, i commenti ipercritici sono troppo ingenerosi, soprattutto a distanza di tempo: resta pur sempre un film con un cast accettabile e una regia professionale (anche se da mestierante). Dopo aver visto quel che è successo con Dylan Dog c'è persino da tirare un sospiro di sollievo pensando che avrebbe potuto andare peggio. Tuttavia, resta il rimpianto di una occasione sprecata.

Stupisce la scelta del soggetto: un'avventura di Tex dalle sfumature fantastiche e raccontata per giunta alla maniera di Indiana Jones. La locandina francese del film sottolinea l'accostamento, che non sarebbe di per sé avvilente se non fosse che i fumetti di Aquila della Notte non hanno proprio niente a che vedere con i film del personaggio interpretato sul grande schermo da Harrison Ford. La cosa sa di artificioso e di posticcio, come gli scenari del film che sembrano una parodia delle scenografie di Spielberg e Lucas. E' un po' come se i produttori non credessero nel possibile successo di un western ben fatto e abbiano voluto investire piuttosto in una brutta copia delle tante pellicole "jonesiane" che hanno imperversato dopo il successo dei primi due episodi dell'archeologo con la frusta. In un mio saggio apparso sul volume della Motta "Tex, un eroe per amico", ho dedicato una lunga disamina anche al film di Tessari. La ripropongo qui di seguito, con qualche minimo aggiustamento.

Di "Tex e il Signore degli Abissi" scriveva Franco Fossati: “Di un film si parlava da tempo, ma Giovanni Luigi Bonelli si era sempre opposto ai vari progetti che di tanto in tanto gli venivano sottoposti. A un certo punto fondò addirittura una propria casa di produzione, che avrebbe dovuto occuparsi della cosa, ma poi non se ne fece mai nulla. Sembra che Charlton Heston e Jack Palance si fossero dichiarati disponibili a interpretare Tex e Kit Carson e che la stessa Warner Bros fosse interessata a un film sulle avventure di Tex. Finalmente, all’inizio degli anni Ottanta, Duccio Tessari (sceneggiatore di alcuni film di Sergio Leone e regista di spaghetti-western di un certo successo come Una pistola per Ringo e Il ritorno di Ringo) acquista, per conto di Rai 3, i diritti di riduzione cinematografica (si è parlato di 300 milioni)”.

Tra i nomi da aggiungere alla lista c’è anche quello di Roy Scheider che (secondo Gigi Vesigna) sarebbe stato interpellato da un produttore italiano mentre girava Il maratoneta. Pare che la Rai avesse addirittura commissionato un sondaggio per stabilire quale fosse l’interprete ideale. Risultato: Giuliano Gemma batte Paul Newman. C’è però un problema: Gemma non se la sente, sconsigliato dal suo agente (la testimonianza è di Massimo Moscati), oppure risulta impegnato (come sostiene Massimo Lastrucci). Allora, Tessari e la delegata Rai Gabriella Carosio interpellano Patrick Wayne, figlio del grande John. Il quale accetterebbe, ma si tratta comunque di una incognita vista la sua scarsa popolarità.

Improvvisamente, Giuliano Gemma si rende disponibile, rompendo ogni indugio. “Tex è una lettura che mi porto dentro dall’infanzia - dichiara l’attore - L’ho abbandonato vent’anni fa, ma riprendendolo adesso mi accorgo che non è poi molto cambiato. Assomiglia un po’ al personaggio che ho interpretato per il mio ultimo western, Sella d’argento, poca ironia, un uomo che tiene tutto dentro”. Le riprese possono iniziare. Del cast fa parte lo stesso Giovanni Luigi Bonelli, nei panni di un vecchio stregone che introduce la storia. Il set è in Spagna, a Tecisa, una località a pochi chilometri da Almeria.

A Massimo Lastrucci che lo intervista sul n° 3 di Ciak (luglio 1985), chiedendogli il perché di questa location, Tessari spiega: “Per due ottime ragioni. Da un lato il paesaggio è assai più simile a quello del confine texano-messicano che non l’Italia. E poi perché effettivamente qui si trovano delle professionalità che da noi non ci sono più: i cavalli da caduta, ad esempio, oppure gli stunt-man che sanno cadere da cavallo. Insomma, qui è rimasta la tradizione dello spaghetti-western”. Vale la pena di riportare altri passaggi dall’intervista. Il giornalista chiede quali accorgimenti siano stati adottati nel tradurre in immagini il fumetto. “Sto appunto cercando di usare nei limiti del possibile una tecnica da fumetti - risponde il regista - Raccontare a immagini fisse, con personaggi che quando parlano stanno fermi, con inquadrature che hanno assorbito le tecniche dei disegni da riproporre. Io cerco di frenarmi e condizionarmi per non mettere cose mie. Il mio sfogo ironico me lo sono trovato solo in Kit Carson, per il resto sono più realista del re”.

Una scelta discutibile, sia sulla carta che, a maggior ragione, visti i risultati. Il cinema e il fumetto sono medium diversi, ciascuno con propri codici espressivi. Il punto non è filmare come se si disegnasse o disegnare come se si filmasse, è tutt’altro: raccontare nel miglior modo possibile una storia. Chi fa cinema è bene che lo faccia in maniera cinematografica, chi fa fumetti ricorrendo alle tecniche fumettistiche. Quando si dice che il fumetto non ha potenzialità inferiori agli altri mezzi di comunicazione, basterebbe citare il film di Tessari per dimostrarlo. Eppure, Tex è un personaggio dal successo ormai cinquantennale, e la storia del Signore degli Abissi è un classico dei classici. Perché sul grande schermo il racconto non dà le stesse emozioni che garantisce sulla carta, considerando che si aggiungono sonoro e movimento? Appunto perché il fumetto gode di potenzialità proprie che gli permettono di sopravanzare, in alcuni casi, la magia del cinema.

Le immagini di un film, per quanto suggestive, sono più univoche di quelle disegnate, alle quali ogni lettore è chiamato ad aggiungere un quid di proprio, e dunque risultano più evocative. La breve apparizione del monaco rosso, impegnato a rimestare nel fango bollente in una caverna piena di fumo e crateri incandescenti, é molto più inquietante così come la disegna Letteri che come la filma Tessari. E quando, nel fumetto, il Signore degli Abissi scopre il suo cappuccio rivelando la faccia mostruosa (la scena più indimenticabile di tutta la storia, per quanto ne rappresenti soltanto un passaggio), il brivido é assicurato. Al cinema, fa soltanto ridere.



Proiettato nell’ambito della selezione giovani del Festival di Cinema di Venezia, Tex e il Signore degli Abissi viene accolto con freddezza e perplessità. “Costato almeno due miliardi, il film è di una irritante staticità”, commenta Fossati. E il denaro speso, va aggiunto, non si vede: i massi che rotolano sono palesemente di cartapesta. Il film si era avvalso delle scenografie di Massimo Antonello Geleng, autore di molti film fantastici e horror italiani, e degli effetti speciali dei fratelli Paolucci e di Paolo Ricci: senza mettere in dubbio la professionalità di questi tecnici, i risultati ottenuti nel loro specifico terreno d’azione sono deludenti. “La realizzazione è modesta sotto ogni aspetto. E Giuliano Gemma si rivela del tutto inadeguato”, scrive Pino Farinotti. “La fantasia figurativa è scarsa, la sceneggiatura sprovvista di veri intrecci ed invenzioni”, aggiunge Alberto Frassino.












Secondo Massimo Moscati, il regista “avrebbe fatto meglio a credere maggiormente al rilancio del western e a scegliere una storia di Tex dal taglio più classico e meno rischioso”. Nei progetti di Rai 3, il film avrebbe dovuto servire da trampolino di lancio per una serie di telefilm ma, visti i risultati, il progetto finì nel dimenticatoio. Intervistato da Domenico Denaro sul volume La Storia di Tex (1986, Arca Perduta), Giovanni Luigi Bonelli così si esprime: “Il mio giudizio sul film Tex e il Signore degli Abissi è negativo, per il fatto che il regista, invece di attenersi al mio copione, se ne è allontanato avvicinandosi così al filone degli spaghetti-western”. Un po’ più morbido il commento del figlio Sergio: “E’ indubbio che il passaggio dai comics al cinema, tranne pochissime eccezioni, abbia sempre lasciato con l’amaro in bocca il popolo dei fumettofili. Questa mia affermazione, del resto, trovò conferma quando Duccio Tessari, un regista che pure aveva al suo attivo molte interessanti prove, si attirò i fulmini di critici e spettatori avventurandosi in una versione cinematografica di Tex che, pur non essendo un capolavoro, a mio giudizio non era certo peggiore di tanti western italiani accolti con maggiore favore “ (dal volume di Carlo Scaringi Fumetti di Cinema, 1996, Bariletti Editori).

Va detto comunque che la pellicola, pur criticabile e abbondantemente criticata, non è stata un flop. Al botteghino ha ripagato i produttori e ha avuto molte versione estere. La casa editrice di Sergio Bonelli, in quanto tale, non ebbe ruolo alcuno nella sua realizzazione: i diritti furono gestiti in prima persona dal creatore del personaggio, Bonelli senior. Tuttavia, proprio il fumetto sembra aver beneficiato dell’opera di Tessari. Nel dicembre 1985, infatti, in concomitanza con l’uscita nelle sale del film, viene varata in edicola la collana TuttoTex, destinata a riproporre l’intera saga texiana a partire dalle primissime avventure. “Questo 1985 è l’anno d’oro di Tex. - scrive Sergio Bonelli nel presentare la riedizione - Non c’è quotidiano o rivista che non gli abbia dedicato lunghi articoli, e il nostro ranger è ormai di casa al cinema. Il mese scorso è uscito, con un albo speciale tutto a colori, il numero 300. Un traguardo che nessuna pubblicazione di questo tipo può vantarsi di aver tagliato”.

Già con il numero 32, datato giugno 1988, TuttoTex passa da mensile a quindicinale, forte di una vendita di oltre 120.000 copie a numero. E anche la serie regolare, pur restando rigidamente mensile (i ritmi di produzione non permetterebbero una riduzione della periodicità), pare abbia ottenuto un notevole incremento di vendite grazie al battage conseguente alla promozione del film. Il western languiva, Tex Willer acquistava nuovo vigore.

domenica 1 gennaio 2012

UN CULO NUDO NEL TITOLO

Ho controllato, per pura curiosità, quali sono stati gli articoli di questo blog più cliccati. Tra i primi dieci ci sono “Nudo di donna”, “Meglio nudo”, “Il tuo culo e il tuo cuore” e “La borsa della spesa”. Ci ho riflettuto su. Evidentemente le parole “nudo” e “culo” attirano i click. Se mettessi più spesso un culo nudo nel titolo, aumenterei a dismisura le visite. Ma “La borsa della spesa”, che c’entra? Mi clicco da solo e vado a vedere. Apparentemente, si tratta soltanto di alcuni miei consigli per gli acquisti in fumetteria. Ma, in apertura, ho paragonato la mia abitudine a leggere fumetti anche dopo otto ore trascorse in redazione a correggere, o a scrivere, tavole di Zagor, a Rocco Siffredi che, al termine di una giornata sul set, torna a casa e fa l’amore con la moglie, Rosa Caracciolo. A commento del pezzo, c’era appunto una foto della coppia. Ecco, suppongo che centinaia di click derivino da gente che ha fatto una ricerca su Google cercando immagini dei due.

Al di là dell’aneddoto, mi pare evidente che quando Rocco compariva in TV facendo la pubblicità ad "Amica Chips" e sosteneva che “la patatina tira”, aveva proprio ragione. Il che non mi dispiace, sia chiaro. Mi dispiace piuttosto la prospettiva opposta, ovvero che cominci a tirare meno: lo vedo dallo spam. Una volta mi arrivavano mail che mi proponevano di visitare siti hard oppure comprare viagra o apparecchi per aumentare le dimensioni del pene (trovavo offensiva non tanto la proposta, quanto l’idea che pensassero che ne avessi bisogno); oggi invece mi si offrono bonus per entrare nei casinò on-line. Forse rovina meno le famiglie il porno, a pensarci bene.

A questo punto, però, dato che è venuta fuori la fatidica parola, ci potremmo chiedere quale sia la differenza fra pornografia ed erotismo. “La pornografia è l’erotismo degli altri”, risponde l’illustratore Leone Frollo (che di erotismo e di pornografia se ne intende). Infatti, chiunque realizzi disegni, foto, film o testi che si cimentano con il mistero dell’energia divina e ancestrale scatenata dalle pulsioni sessuali trova quasi sempre disdicevole definire “porno” i propri lavori, e cerca di solito di nobilitarli etichettandoli come “erotici”. I pornografi, insomma, sono sempre gli altri. “Pornografia”, nell’accezione più superficiale (e pertanto più diffusa) del termine, è infatti sinonimo di volgarità, trivialità e bassezza. Tutto il contrario dell’Arte, che viceversa è nobile, raffinata, elevata. Dunque, apparentemente, non può essere data raffigurazione pornografica che sia anche artistica.

Normalmente si tende a definire “pornografica” una rappresentazione di un atto sessuale (scritta, disegnata, filmata, fotografata, rappresentata) in cui l'atto stesso sia visibile in maniera chiara e ostentata; invece sarebbero “erotiche” quelle immagini o quelle scene o quelle descrizioni di atti sessuali o di corpi nudi in cui l'oggetto della rappresentazione è velato e si lascia intuire più che vedere. Il che, a conti fatti, non dice nulla, in verità, sulla “nobiltà” della rappresentazione medesima. Ci possono essere immagini cosiddette “pornografiche” in cui si vede tutto, realizzate con tecnica sopraffina, e immagini cosiddette “erotiche” scadenti e dozzinali. La raffinatezza di un’immagine non dipende dal fatto che si tratti di rappresentazioni hard oppure soft, "pornografiche" o "erotiche", ma da un altro, semplicissimo fatto: che siano belle oppure brutte, fatte bene oppure fatte male. E questo è tutto, come diceva Oscar Wilde parlando dei libri che non andrebbero mai divisi fra morali o immorali, ma fra scritti bene o scritti male, punto e basta. Sempre secondo il sentire comune, però, esistono forme di erotismo che possono essere artistiche. L’erotismo gode di buona stampa, la pornografia no.

In realtà il distinguo dovrebbe essere etimologico. "Erotico" viene da eros, e dunque si riferisce a tutto ciò che concerne la sfera amorosa e sessuale (con amore e sesso ricondotti a un unicum indissolubile); pornografico deriva invece da porné, in greco "meretrice", e dunque più specificamente riguarda la rappresentazione dell'atto sessuale in quanto tale. Ergo, l'erotismo ha un'accezione più vasta, la pornografia è un settore dell'erotismo, quello più spinto ed estremo. Se una foto hard è fatta come se dovesse comparire su un trattato di anatomia, e dunque non è eccitante perché manca dell’indispensabile spezia della malizia, allora è fatta male poiché lo scopo delle foto è quello di dare un brivido. Ma se una foto hard è fatta in modo “artistico”, ed eccita, allora è fatta bene. In campo artistico la grandezza di un autore si riconosce da come (con quale padronanza delle tecniche e con quale felicità di idee) e quanto (in che misura) riesce a suscitare emozioni nei fruitori della sua opera. Certo, conta molto anche la sensibilità del fruitore, ma questo è un problema che riguarda ogni forma d’arte e di comunicazione. S’intende che il giudizio attendibile dev’essere dato da un fruitore competente. La pornografia è un semplicemente un settore, il più estremo, dell'erotismo, e non si possono escludere a priori le valenze artistiche del porno come prodotto d'autore.

Il Grande Dizionario della Lingua Italiana Moderna (Garzanti.) definendo l'aggettivo "erotico" dà tre accezioni. La prima: che si riferisce all'amore sensuale (è appunto la definizione più legata all'etimologia primaria, cioè alla derivazione da eros). La seconda: che tratta di argomenti amorosi (di nuovo, Eros ma come dio dell'Amore). La terza: che eccita i sensi, afrodisiaco. Accogliamo la terza accezione come la più calzante a proposito di libri, film, foto, spettacoli, rappresentazioni, arte in generale. Dunque se erotico vuol dire eccitante, possiamo stabilire che il porno, sottocategoria dell'erotico, a priori non lo sia? O che addirittura, la pornografia sia del tutto scollegata dall'erotismo? Evidentemente no. Il porno sta all'erotismo come il cyberpunk alla fantascienza. O come il thriller sta al giallo.

Lo stesso Dizionario definisce la pornografia come "raffigurazione o trattazione di immagini o soggetti di argomento e di carattere erotico e ritenuti osceni o comunque eccedenti i limiti imposti alla morale o dalle consuetudini correnti". Va notato come il compilatore inserisca la pornografia nell'ambito dell'erotismo, e non escluda gli intenti artistici: dice soltanto che la rappresentazione eccede i limiti delle consuetudini. Ma l’"osceno" è un registro espressivo. Verlaine è osceno, ma non per questo non è un artista. Non è giusto ritenere volgare una frase o una foto “solo” perché rappresenta un pene in erezione o una penetrazione anale. Il pene in erezione è qualcosa di "rappresentabile"? Sì. Dunque può essere "rappresentato" bene o male, come qualunque altro soggetto, e rappresentarlo è pornografia perché eccede i limiti del comune senso del pudore, ma la rappresentazione può essere geniale o deprimente senza che nessun pregiudizio possa stabilirlo a priori. Pornografico non è antitetico rispetto ad artistico. Una cosa può essere artistica e pornografica allo stesso tempo. L'unica antitesi possibile è fra una cosa fatta bene e una cosa fatta male, proprio come riteneva Wilde.

Alcuni anni fa mi colpì molto un saggio, pubblicato in Italia nel 1995 da Castelvecchi, intitolato “Difesa della pornografia”. A scriverlo infatti non era soltanto una donna, ma Nadine Strossen, femminista militante e insegnante di Diritto Costituzionale alla New York University, autorevole studiosa dei problemi legati alla libertà di opinione e di parola. La tesi di fondo dell’autrice era, in soldoni, che la censura, di qualunque tipo, è stata (e continua a essere) il primo strumento di repressione antifemminile.

A ripensarci oggi, mi viene da sorridere riflettendo su un aspetto alquanto singolare della questione: abbiamo assistito negli ultimi mesi a vivaci campagne, incredibilmente di marchio progressista, contro il cosiddetto “sfruttamento” del corpo femminile al punto che mostrare un gluteo al vento su un cartello pubblicitario o in un balletto televisivo sembrava, anziché un omaggio, un insulto alla femminilità. Dunque, la difesa della pornografia pare essere una battaglia di destra. Negli anni Sessanta, invece, la generazione dei "Porci con le ali" si considerava di sinistra, e a destra stavano i reazionari, i censori, i moralisti. Io, che ho sempre trovate ridicole le distinzioni ideologiche sostengo che gli anti-pornografi sono i veri reazionari e gli anti-anti-pornografi sono progressisti. Scrivo anti-anti-pornografi perché non si tratta di essere a favore della pornografia considerandola un valore assoluto. Si tratta di essere contro coloro che vogliono impedire a chi lo desideri di fruire della pornografia. Secondo la Strossen, la censura che molte veterofemministe ideologicizzate vorrebbero imporre sulla pornografia (come su moltissime altre forme di espressività) è di per sè stessa fautrice di un ordine costituito che salvaguardia il vecchio, mentre la libertà porta avanti il nuovo. "Difendere in ogni sua forma la libertà di parola è un compito che va di pari passo con la battaglia per la libertà d'azione e di espressione delle donne", spiega l'editore italiano in quarta di copertina, sintetizzando il punto di vista della scrittrice.

Gli argomenti portati dalla Strossen a difesa della pornografia sono tutti condivisibili e inoppugnabili. Si parte dal concetto che la libertà di espressione, e di fruizione di quella espressione, sono intangibili; ma poi si arriva a sostenere, giustamente, che la pornografia (ovviamente quella fatta e fruita da adulti consenzienti) non è di per sé stessa né malvagia, né controproducente, né deleteria. Non provoca stupri e violenze ma anzi in gran parte li esorcizza, li distrae. Come disse una volta Rocco Siffredi di non so più quale presidente guerrafondaio: se gli avessero dato un po’ dei film da guardare, si sarebbe rilassato e avrebbe sganciato meno bombe. La Strossen continua dicendo che la pornografia non strumentalizza le donne in quanto sia chi si presta a foto e film porno, sia chi ne fruisce (il 40 per cento del pubblico, in America, è femminile), è consenziente e soddisfatto. Inoltre, la pornografia soddisfa bisogni inespressi, ed è per molta gente (incapace di altri contatti, o handicappata) l'unico modo per vivere una forma di sessualità. La Strossen nota inoltre che la pornografia è un concetto dai confini assai indeterminati, per cui ammettendo la censura si potrebbe porre il veto a certe statue greche nude, o alla stessa Bibbia che è piena zeppa di violenza sulle donne. Argomento, questo, molto interessante su cui potremmo ritornare.

giovedì 29 dicembre 2011

L'ULTIMO COSO DELL'ANNO

Le regole del gioco ormai dovrebbero essere chiare. Una volta al mese, raduno in un unico articolo i brevi testi da me pubblicati sul mio “coso” su Facebook. Ormai, lo sanno tutti che il "coso" non è un profilo vero e proprio (temo di non esserne in grado di gestirne uno) ma una pagina di tipo diverso, uno spazio ricco di appunti, notizie, commenti ad immagini, facezie, segnalazioni, recensioni che, pur non seguendo un preciso filo conduttore, trattano un po’ tutti i temi che sono solito affrontare su questo blog, più altri maggiormente insoliti. Confido che si tratti comunque di una lettura interessante e magari, a tratti, persino divertente. I testi che seguono hanno il pregio di essere brevi e indipendenti, e dunque si possono leggere solo i pezzi che hanno il titolo più divertente o l'illustrazione più accattivante. E' il mio ultimo articolo dell'anno: che dirvi se non grazie per avermi seguito fin qui?


BUON COMPLEANNO, MARK
1° dicembre. Complice l'anniversario della nascita di Mark Twain e il logo di Google a tema, ieri 30 novembre il mio articolo "Eva così scriveva" è stato di gran lunga il più cliccato sul blog "Freddo cane in questa palude".




IL CURRICULUM DI DIO
1° dicembre. Ho letto "Il curriculum di Dio", di Jean-Louis Fournier (Vallecchi). L'idea, fantastica, è che Dio si annoi e mandi il suo curriculum a una multinazionale per essere assunto. "Impressionante, - dice il direttore del personale -non capita tutti i giorni di trovarsi tra le mani un simile curriculum. Se lei è d'accordo, lo esamineremo insieme". Alla fine l'assunzione viene sconsigliata dall'ufficio legale, temendo troppe cause per risarcimento danni vista la fedina penale del Creatore (colpevole, per dirne una, di essere il mandante di 25200 terremoti che hanno causato 242 milioni di morti). Dio comunque, durante il colloquio, si rivela anche divertente: "Mi ricordo che, al momento della creazione del mondo, ho cominciato a fare i pesci prima di aver terminato il mare. Ho dovuto buttare via tutto".




NON HO L'ETA'
2 dicembre. Estratto da una delle lettere giunte alla rubrica "I tamburi di Darkwood". "In una intervista, a un certo punto ti si chiede a quali lettori ti rivolgi nello scrivere Zagor. Tu rispondi che scrivi rivolgendoti principalmente a lettori di 40-50 anni, senza escludere che ci siano anche lettori più giovani dello Spirito con la Scure. Ora, io sono proprio uno di quei lettori più giovani. Leggo Zagor dall'età di 6 anni, adesso ne ho 23, e ti scrivo per capire bene il significato di quelle tue parole. Ho sempre pensato che Zagor sia e debba essere un fumetto per tutti, ho apprezzato molto alcune tue storie recenti, come il primo Zagorone (nel quale la prefazione di Sergio bonelli mi ha veramente commosso!) e il maxi 'La banda aerea'. Quello che mi auguro è che sia tu sia gli altri autori possiate vedermi un lettore come tutti gli altri, che non pensiate mai di rivolgere le vostre avventure a un pubblico specifico, a un pubblico con una precisa fascia d'età, poichè una convinzione del genere mi farebbe sentire escluso come lettore. Mi pare che ci sia una sorta di 'gelosia' profonda verso il personaggio dei lettori che lo leggono sin dai suoi esordi, e questo mi fa sentire come escluso dal mondo della zagorianità, come se quel mondo fosse riservato a coloro che lo hanno visto da sempre, e faticasse ad aprirsi a coloro che invece lo hanno scoperto in tempi più recenti. Mi rendo conto che, per te che Zagor lo leggi da una vita e lo conosci bene, deve essere molto più facile scriverlo pensando ai tuoi coetanei, a coloro che hanno in comune con te le stesse sensazioni, del resto a me Zagor lo ha fatto conoscere mio padre, che è del '63, e lo leggeva quando era ragazzo. Mi chiedo: devo vedere l'eroe di Darkwood come il prodotto di una generazione diversa dalla mia, o anche per un giovane lettore come me è possibile nutrire in sè uno spirito zagoriano, sapere che chi scrive quelle fantastiche avventure, in cuor suo spera di far divertire anche il figlio di un tempo diverso? Dopotutto i valori dello Spirito con la Scure sono senza tempo, e quindi nemmeno l'età di chi lo legge dovrebbe avere importanza". Con l'ultima frase, il lettore ha risposta da sé alla domanda.




GLI AMICI DEI MICI
3 dicembre. Con due gatti in casa, capita di dover andare dal veterinario. Stamani, vaccinazione per entrambi. Nella sala d'attesa, si incontrano persone ad aspettare il proprio turno, tutte con la gabbietta sulle ginocchio o il cane accovacciato accanto alla sedia. Si fraternizza con grande facilità e ci si scambiano commenti sugli animali. Ecco, se tutta la gente fosse buona come quella che si trova in coda dai veterinari, il mondo sarebbe un posto più bello.



CONSIGLI AL CREATORE
4 dicembre. E' difficile finire la lettura dei quotidiani senza che vengano in mente commenti che, se riferiti, sembrino qualunquisti (forse perché davvero lo sono). Però, l'impressione che si ricava dalle notizie sulla crisi è che si tratti sostanzialmente di trovare il modo di pagare la marea di debiti fatta non dai cittadini, ma dagli Stati. Così a prima vista si direbbe che per interi decenni i governanti abbiano gettato i soldi pubblici dandogli ai falsi invalidi, ai consulenti amici degli amici, ai costruttori di strade mai finite e di ospedali rimasti a mezzo, ai produttori macchinari inutili mai adoperati e perfino ai registi di film che mai nessuno è andato a vedere. Ecco, ciò che dispiace nel pagare le tasse è che più soldi diamo a chi ci amministra (che siano sindaci, governatori o ministri) più ne avranno a disposizione per gettarli dalla finestra. Alfonso di Castiglia disse una volta che se fosse stato presente al momento della creazione avrebbe saputo dare qualche utile consiglio per una migliore sistemazione delle cose. Ecco, dare consigli a Dio forse può essere utile perché magari con un miracolo ogni tanto gli capita di rimediare a qualche svista. Ma darne a chi si occupa della pubblica amministrazione temo sia vano e che persino Dio, di fronte a loro, sia sostanzialmente impotente, esattamente come noi comuni mortali.



MILIARDARI E MINORENNI
4 dicembre. Mi accorgo di parlare sempre bene dei libri che vado leggendo. Forse dovrei anche citare quelli che ho letto e non mi sono piaciuti. L'ultimo che ho richiuso con delusione dopo essere arrivato stancamente in fondo è "L'amante", di Marguerite Duras (Feltrinelli). Noia allo stato puro, vista la pochezza degli accadimenti narrati. Però, a pensarci bene, la storia di passione e di desiderio tra un ricco cinese e una quindicenne francese, sullo sfondo dell'Indocina degli anni Trenta è intrigante perché politicamente scorretta: chi oserebbe oggi in Italia, sopratutto se donna, raccontare in positivo una storia di sesso tra una minorenne e un miliardario? E poi l'ambientazione esotica e coloniale è affascinante proprio perché poco vista come scenario narrativo, almeno per i miei occhi: la vita dei francesi sul Mekong, i difficili contatti via nave con la madrepatria e il Sud Est asiatico, i cinesi capitalisti prima della rivoluzione, i costumi perbenisti e lo scandalo sociale visti sia dal punto di vista occidentale che da quello orientale, sono elementi interessanti. In conclusione: mi è difficile parlar male anche di un libro che mi ha annoiato.



CASTI E PURI
5 dicembre. Leggo che Herman Cain, candidato alla nomination repubblicana per le presidenziali americane, è stato costretto a gettare la spugna perché accusato di essere infedele alla moglie (che pure era accanto a lui durante l'annuncio del ritiro). Temo che se la fedeltà coniugale dovesse divenire condition sine qua non per venire eletti in qualunque carica pubblica, piuttosto che l'intelligenza o la competenza, dovremmo ricorrere ai single o ai preti. La politica aperta soltanto ai celibi. Mah. Mi chiedo a chi interessi delle presunte corna della signora Cain, a parte lei. Però, tant'è.




IL RITORNO DEL RE
5 dicembre. Ho promesso che avrei recensito il nuovo romanzo di Stephen King dopo aver finito di leggerlo, e ogni promessa è debito. Il problema è che qui abbiamo poco spazio. Sarò telegrafico. "22/11/'63", titolo che prende spunto dalla data dell'assassinio di JFK a Dallas, è sicuramente uno dei più bei romanzi del Re. "It", "L'ombra dello scorpione" e "Il miglio verde" restano migliori, ma quest'ultimo uscito si legge con un coinvolgimento degno del King dei vecchi tempi, pur non essendo un horror. Ci si accorge di essere coinvolti quando ci si perde a fantasticare, anche a libro chiuso, su cosa faremmo noi se trovassimo a nostra volta una "buca del coniglio" che ci riportasse, con un semplice passo, nel settembre del 1958 e ci permettesse di tornare indietro, anche dopo aver trascorso mesi o anni nel passato, avendo perso soltanto due minuti nel presente. Io ci ho fantasticato a lungo. Inquietante poi l'idea della Storia che non vuole essere cambiata e ostacola il viaggiatore nel tempo con ogni sorta di intralci, arrivando persino a cercare di ucciderlo con un cancro, pestaggi di malavitosi e incidenti stradali. E con un buon motivo: i cambiamenti provocano scompensi imprevedibili, e non è detto che salvando la vita a qualcuno si faccia un piacere al mondo. Davvero evitando che JFK venga ucciso si evita la Guerra del Vietnam e non se ne scatena, magari, una nucleare? Dovrete arrivare in fondo alle oltre 750 pagine del romanzo per scoprirlo. Fatevelo regalare per Natale, se già non l'avete comprato.



RADIO ACERRA LIBERA
6 dicembre. Due notizie collegate fra di loro da una coincidenza significativa impongono un commento. Ieri, Luca Crovi mi ha informato che il suo storico programma su Radiorai 2, "Tutti i colori del giallo", dedicato al poliziesco, è stato chiuso per far posto a una trasmissione di un'ora dedicata all'astrologia. Oggi, sento che la terza parola più cliccata su Google nel corso del 2011 è "oroscopo" (lascio immaginare le prime due). Il che fa veramente cadere le braccia. Quel che penso dell'astrologia (e non ne penso male, nel senso che come argomento a livello di antropologia culturale è molto interessante) l'ho già scritto. Però, ecco, finché un'ora di oroscopi viene trasmessa da Radio Castellammare di Stabia International o da Radio Acerra Libera, va bene. Ma dalla RAI, pagata con i soldi di tutti, mah.




DA SCANNO CON FURORE

6 dicembre. Se volete vedere un video che mi riguarda ma fa anche venire l'acquolina in bocca... cliccate qui.
La torta al cioccolato e alla papaya di cui parlo, è opera del pasticcere scannese Angelo Di Masso, il primo nella foto poco sopra, vincitore di un premio per quella strabiliante ricetta.



IL LUPOSKY
6 dicembre. Stamattina ho preso in edicola, sulla passeggiata a mare di Viareggio, le ultime due uscire della collana "Fumetti in 3D collection" della Hobby & Work. Per l'esattezza, il n° 34 (Tarzanetto) e il n° 35 (Pugacioff). Il luposky dovreste vederlo nella foto qui accanto, ma anche il piccolo Tarzan con e bombetta è una chicca. In generale, le statuette dei personaggi umoristici risultano migliori di quelli realistici (Geppo, Cattivik, Tiramolla, Cipputi, il signor Bonaventura, Soldino, Marta, Lupo Alberto sono deliziosi tanto quanto Dylan Dog è brutto). Nel rimirare i due acquisti mentre tornavo a casa, mi sono sorpreso a non saper rispondere a un paio di domande. 1) Sarò scemo a spendere soldi, e non pochi, in statuette del genere? 2) Ma i ragazzi di oggi, lo sanno (e soprattutto gli importa di sapere) chi sono Pugacioff e Tarzanetto?

SPESE PESE
7 dicembre. Chi è stato a fare il pieno stamattina si è già accorto degli effetti del nuovo decreto legge di emergenza economica. Certo, che ci volesse un supertecnico della Bocconi per risolvere la crisi aumentando la benzina, e non bastasse un commercialista di Rioveggio per avere questa strabiliante idea, è davvero strano. Comunque ho pagato ben contento di contribuire al risanamento dei conti pubblici, perché lo sanno tutti che dopo esserci frugati in tasca questa volta, d'ora in poi i soldi non saranno più sperperati. Il punto però, è un altro. A che cosa rinunceranno gli italiani, per far fronte al gasolio e alla verde diventati più cari della grappa? Si potrebbe ipotizzare che in tempi di crisi gli oggetti più a buon mercato siano avvantaggiati rispetto a quelli di lusso. Tutti a comprare ciò che costa meno, insomma. Dunque, un fumetto che costa 2,70 euro dovrebbe vendersi meglio di un videogioco da 70. Scommettiamo, invece, che la prima cosa che taglieranno i nostri concittadini saranno le spese all'edicola?



L'ALLUVIONE
7 dicembre. Ho letto il terzo numero di "Shangai Devil", ben disegnato dall'ottimo Stefano Biglia, dalla chiara ispirazione milazziana. Un aneddoto tra il serio e il faceto che riguarda il disegnatore è questo: qualunque illustratore giunga al termine di quasi cento tavole che arrivano in edicola aspetta a gloria quel momento e non vede l'ora che amici e conoscenti si procurino il fumetto, per poter mostrare loro il frutto della sua fatica. Sennonché Biglia è genovese e l'albo appena uscito si intitola "L'alluvione". In redazione, qualcuno racconta di averlo sentito dire, sconsolato: dopo quel che è successo, a Genova non lo comprerà nessuno.



GLI ORFANI CON I GENITORI VIVI
7 dicembre. Ho già scritto una volta qualcosa sul difficile lavoro dei giudici, che mai io vorrei fare. C'è però una categoria di magistrati il cui compito è ancora più impossibile, ed è quella di chi lavora nei tribunali dei minori. Ora, non si dovrebbe mai mettere in dubbio la correttezza di chi giudica, però se c'è una ingiustizia che grida vendetta al cospetto di dio è quella dei bambini strappati dalle loro famiglie e chiusi in istituto o affidati ad altri senza che i genitori sappiano il perché e senza che possano far ricorso o sperare in un giudice terzo che riconosca lo sbaglio del primo. Chi segue "Chi l'ha visto?" o legge i giornali sa di casi incredibili ed aberranti in cui davvero sembra che il capriccio di un giudice o la protervia di un assistente sociale sottraggano dei figli a gente assolutamente per bene, o a cui al limite basterebbe un po' di aiuto per potersi occupare della prole. Talvolta basta un disegno malizioso che possa far sospettare di un abuso per dividere le famiglie per anni, salvo per appurare il disegno l'aveva fatto qualcun altro o che l'abuso non c'era stato: però intanto è scattata la sindrome dello sceriffo del magistrato di turno, che ovviamente si impunta e si picca di aver ragione, per rovinare la vita di interi nuclei famigliari (ho fatto un esempio basato su un vero fatto di cronaca). L'ultima notizia è quella di un giudice che ha tolto un figlio ai genitori perché obeso. D'ora in poi bisognerà stare attenti a quanto pesano i ragazzi perché se no ce li tolgono.
Ovviamente io sto parlando delle ingiustizie. Il mio discorso riguarda soltanto quelle. Se anche uno dei casi di cui si parla a "Chi l'ha visto" fosse vero, sarebbe già troppo. In ogni caso, servirebbe sempre la possibilità di un appello, che non è data. E prima di arrivare a togliere un figlio a dei genitori bisognerebbe proprio arrivare a casi estremi, ma estremi davvero. Perché tanto i segni fisici e psichici i bambini tolti ai genitori li avranno lo stesso. Per fare i giudici minorile bisognerebbe essere persone equiibrate e sagge, ma così equilibrate e sagge che ha visita dallo psicologo dovrebbero farla loro una volta al mese: hanno nelle mani la vita delle persone. Invece, l'impressione è che non sia così: sono troppi i casi di veri e propri rapimenti di minori sottratti alle famiglie senza nemmeno aver fatto delle indagini, sulla base di relazioni campate in aria o della presunzione di essere divinità infallibili. Io, che infallibile non sono e non mi sento, so benissimo di poter farla fuori dal vaso. Bisognerebbe che avessero dei dubbi su loro stessi anche quelli del tribunale dei minori, quelli che tolgono i bambini alle madri iperprotettive (è uno dei casi di cui so) e non a chi li manda a mendicare nella metropolitana. Forse, in entrambi i casi, prima si allontanare i figli dai genitori si dovrebbero aiutarli, i genitori.




FIORI DI ZUCCA
8 dicembre. Racconto colto in treno, fatto da un anziano signore a una donna seduta al suo fianco, che riferisco: "Passo davanti a un ortolano e vedo una cesta di zucchine. Mi sembrano belle, penso di comprarne un po'. Ne chiedo mezzo chilo, me lo danno: tre euro e venti. Pago, un po' perplesso, e me ne vado con il sacchetto. 'Non è possibile - mi dico - è troppo!'. Ma ormai è fatta e mi dispiace tornare indietro e fare discussioni. Però, arrivato a casa molto agitato, mi decido a rifare la strada in direzione opposta: 'Non è giusto stare sempre zitti e prenderlo in quel posto, qualche volta bisognerà pure reagire'. Così torno dal fruttivendolo e gli dico: 'Guardi, lei mi ha venduto mezzo chilo di zucchine per tre euro e venti, ci dev'essere un errore'. L'uomo controlla lo scontrino e dice: 'E' vero! Ha ragione! Ho sbagliato: sono tre euro e sessanta! ...Ma non importava che tornasse indietro per così poco'. Pago la differenza senza fiatare e me ne vado con lo sguardo perso nel vuoto".



DARSI A DARCY
9 dicembre. Una delle letture più belle di questo 2011 è stato "Orgoglio e pregiudizio", di Jane Austen. Ovviamente, dati i tempi in cui il romanzo venne scritto (fu pubblicato nel 1813), manca quasi del tutto di pruriginosità e di approfondimenti sulle pulsioni sessuali dei protagonisti, a parte, forse, la fuga della svergognata Lydia, sorella minore della protagonista Lizzy, con un seduttore da strapazzo (si dà a intendere che sia stata disonorata ma non lo si dice mai esplicitamente). Lizzy e la sorella maggiore Jane si innamorano in modo puro ed angelico senza mai dare l'idea di essere sfiorate da un desiderio carnale, e anche i loro corteggiatori non allungano le mani (almeno che si sappia). Il bel tenebroso con cui alla fine Lizzy corona il suo sogno d'amore si chiama Darcy, ma prima di arrivare alla fatidica unione i due non si scambiano neppure un bacio. Tuttavia è lecito immaginare che Lizzy qualche fremito l'abbia avuto. E' chiaro a tutti che Lizzy vuol Darcy.
PS - Questa frase finale è una battuta. Dopo che ho scritto un intero papier per giustificarla, cercate almeno di capirla.



LINK PER L'INK
9 dicembre. E' uscito il nuovo numero di "Ink", il sessantesimo in diciotto anni di attività, datato ottobre 2011. Gli zagoriani ricorderanno il precedente dedicato al cinquantennale dello Spirito con la Scure, con all'interno una storia inedita di Iannis Ginosatis. Questa volta in copertina ci sono Cattivik e Lupo Alberto, due personaggi a me molto cari, dato che ho scritto decine di storie per entrambi. Fra gli intervistati, i miei amici Giacono Michelon e Giorgio Sommacal, quest'utimo fresco sposo con un'altra disegnatrice dello staff silveriano di un tempo, Laura Stroppi. Auguri e figlie femmine, dato che sono le donna a rendere più bello il mondo. Per maggiori informazioni su "Ink": http://www.menhiredizioni.altervista.org/



FOLLE FOLLA
11 dicembre. La visita al salone del libro usato è stata (almeno per me) una specie di gita in paradiso. Come ha detto qualcuno, forse il paradiso è un'immensa biblioteca. C'era però il blocco del traffico, che mi è parso stesse mandando in bestia gli espositori. Eppure, un servizio navetta gratuito collegava Fieramilanocity con la stazione Lotto della metropolitana, e raggiungere il salone era facile e comodo. Per di più, l'ingresso era libero e gratuito. Però, dentro, c'era davvero poca gente. Che tristezza. Nel pomeriggio, ci spostiamo in centro. Le ragazze della prole premono per fare acquisti in un negozio chiamato Abercrombie e Fitch, che pare esserci a Milano ma non a Firenze. Ci andiamo. La folla! Novantadue minuti di coda. Una fila di sette chilometri e mezzo per poterci entrare! Dentro, modelli seminudi con cui farsi la foto, e commessi che si muovono, ridicolmente, a tempo di musica. Buio pesto, forse per non far vedere i difetti della merce (a mio avviso di modestissimo livello). Compriamo una felpa che al mercatino rionale costerebbe dieci euro, e lì ottanta. Fermo restando il dato che il blocco del traffico c'era per tutti, perché tanta differenza tra l'afflusso di pubblico tra i due indirizzi milanesi?


Probabilmente la preda più significativa nella mia caccia al salone del libro usato è "Tommy River e lo scozzese", di Mino Milani (Mursia, prima edizione 1964), come nuovo, con le illustrazioni di Mario Uggeri. E' un po' che sto dando la caccia a tutto quel che porta la firma di Mino Milani e questo pezzo mi mancava. Il prezzo sulla bancherella era di 15 euro. Lo avrei preso comunque, ma il venditore di mi ha riconosciuto e me lo ha ceduto a dieci.


CALENDE GRECHE
12 dicembre. In questi giorni di fine anno in cui si cercano agende e calendari per il 2012 (almeno, lo fanno quelli che non hanno ancora venduto l'anima ai tablet) sento forte una mancanza che noto ogni volta che si arriva a dicembre. Mi piacerebbe tanto trovare in edicola (o in cartoleria) un calendario Bonelli con dodici spettacolari illustrazioni di altrettanti eroi bonelliani. Ma anche una agenda, con copertina gommata o plastificata ma nel formato Tex, con ogni giorno commentato con un disegno e ogni settimana con una tavola, magari con materiale inedito. Non ho mai capito perché cose del genere (che sono di carta, e dunque vicine al nostro modo d'essere) non le abbiamo mai fatte. Il calendario da parete è un aggetto di arredamento, come un poster o la cornice con la foto di una persona cara. Le agende sono comunque "oggetti" belli da possedere, conservare, maneggiare e palpare come tali: potranno essere sostituite nella funzione pratica ma non in quella catartica. In Bonelli non ho sentito (ancora) dire alcunché ma certo non era questo l'autunno giusto per mettere in cantiere iniziative del genere. Temo però che si debbano aspettare le calende greche. In passato sono state realizzate agende di Tex o di Martin Mystere o di Dylan Dog, fatte su licenza da altre aziende, non è quel tipo di oggetto a cui pensavo io, troppo simile a tanti altri: gli "esterni" prendono un'agenda di Snoopy, ci scrivono Lupo Alberto, cambiano tre disegni ed è finita lì. Io vorrei proprio una agenda bonelliana fatta con spirito bonelliano per i bonelliani. E' quel tipo di cose in cui sarebbe maestro Alfredo Castelli, se gliele lasciassero fare.



SENTI CHI PARLA
13 dicembre. Telmo Pievani, filosofo della scienza di cui ho letto di recente il consigliatissimo saggio "La vita inaspettata" (Cortina), spiega in un suo articolo come il linguaggio umano (una caratteristica che distingue la nostra specie da tutte le altre) derivi dal "maternese". In pratica, la progressiva encefalizzazione del genere homo ha portato la scatola cranica dei nascituri al massimo delle dimensioni possibili per garantire il successo del parto (il passaggio dalla regione pelvica femminile). Se avessimo la testa più grossa, non riusciremmo a venire al mondo. Così, l'evoluzione ha fatto in modo di farci nascere in qualche modo prematuri, con parte dello sviluppo da fare dopo nati. La nostra prole non è dunque autosufficiente per molto tempo, diversamente dai cuccioli di altri animali, e i piccoli umani dipendono totalmente dalle madri, a cui devono riuscire a comunicare i propri bisogni con versi di vario tipo. Versi che comportano una risposta materna. Da questa interazione sarebbe nato il primo abbozzo di comunicazione verbale. Mi colpisce molto il fatto che siano stati i bambini, in pratica, a insegnare a parlare agli adulti. E' una cosa che dovremmo sempre tenere presente.






SODDISFATTI O RIMBORSATI
13 dicembre. La rivista letteraria "Satisfiction" propone recensioni librarie "soddisfatti o rimborsati". Funziona così: se la critica di "Satisfiction" ci convince a comprare un libro, ma dopo averlo letto riteniamo che l'entusiasmo del recensore abbia deluso le nostre aspettative, bisogna inviare una mail a redazione@satisfiction in cui spieghiamo perché il volume acquistato non fosse poi così imperdibile e assolutamente da leggere: dopodiché, "Satisfiction" rimborserà il prezzo di copertina. Non aspettatevi lo stesso trattamento da me quando vi consiglio qualcosa, ma l'idea è bella.




IL GIORNO DEL GIUDIZIO
13 dicembre. C'è un lettore che scrive una lettera (su carta) una volta all'anno, in dicembre o all'inizio di gennaio, mandando un'unica missiva di diverse pagine con cui esprime il suo parere su tutti gli albi dei dodici mesi appena trascorsi e fa, dunque, un bilancio complessivo della produzione zagoriana. Si tratta di una disamina molto ponderata e ben scritta che io e Mauro Boselli ormai aspettiamo a gloria come un appuntamento irrinunciabile e che ci fa piacere ricevere. La Lettera è arrivata oggi. Non posso ricopiare tutto il lunghissimo testo ma ecco i voti sintetici.

La banda aerea (Maxi Zagor 15): testi 8,5 - disegni 7,5.
Il grande torneo (Zagor 547-548): testi 5 - disegni 6,5.
La danza degli spiriti (Speciale 23): testi 8+ - disegni: 9.
A volte ritornano (Zagor 549-550): testi: 9 - disegni: 8,5.
Il Castello nel Cielo (Zagorone 1): testi: 6- - disegni: 9.
Lo scrigno di Manito (Zagor 551): testi 5,5 - disegni: 10.
Nelle terre dei Dakota (Maxi Zagor 16): testi 8 - disegni 9.
Lo scettro di Tin-Hinan (Zagor 552/556): testi 9- - disegni 9,5.



I TRENI INERTI
14 dicembre. E' previsto per venerdì prossimo l'ennesimo sciopero dei mezzi pubblici a Milano: un caso, temo, abbastanza frequente anche in altre città. Ora, non vorrei mai essere accusato di avere atteggiamenti antisindacali né sostenere, come alcuni fanno, che ai dipendenti dei servizi di pubblica utilità dovrebbe essere impedito di scioperare. Però, è evidente che bloccando autobus, tram, metropolitane e treni si rovina la giornata a milioni di persone che nulla c'entrano con la vertenza sindacale in atto. Gli scioperi andrebbero fatti contro i datori di lavoro e non sembrare vendette trasversali a danno di terzi. Ogni volta che resto bloccato mi sento ostaggio inerme in una faida tra sconosciuti. Eppure ci sarebbe il modo, per i dipendenti delle aziende di trasporto, di scioperare senza fare vittime innocenti. Basterebbe che scioperassero soltanto gli addetti al controllo dei biglietti: accessi liberi nel metro, nessuna multa per chi viaggia senza biglietto. L'azienda avrebbe un danno, la popolazione sarebbe lieta e solidale con gli scioperanti.
PS - "I treni inerti" è una frase palindroma.


IL CREATORE
14 dicembre. Alessandro Chiarolla. Omaggio a Sergio Bonelli.



DATA DA RICORDARE
14 dicembre. Un lettore mi ha fatto avere come regalo di Natale il CD che vedete nella foto: Data - Strada Bianca (1974). Lo cercavo da trent'anni. Chi mi conosce (e sa chi faceva parte dei Data) sa perché questo regalo mi ha fatto felice. Grazie, Maurizio.




VERGINI SI DIVENTA
15 dicembre. Ho letto "Come si diventa vergini - Gag involontarie degli adolescenti di oggi" (Coniglio Editore, 2007), di Luna Gualano. L'autrice assicura nella sua introduzione che tutto quanto scritto nel suo libro è vero: si tratta di una antologia di domande riguardanti il sesso, fatte su Internet da giovani e giovanissimi. Ne riporto due a caso: la prima è il dubbio di un ragazzo alle prime armi: "Ho cercato di toccare una ragazza, ma non ho trovato nulla...". E poi c'è il dubbio di una ragazza, che dimostra la genialità di noi maschietti: "E' vero che se tocco il mio ragazzo e non gli faccio uscire lo sperma, rischia di morire? Lui dice così". Al di là delle risate che suscita la raccolta, viene da spaventarsi di fronte all'ignoranza degli adolescenti in fatto di educazione sessuale. Del resto, viviamo in un paese dove se un comico pronuncia la parola "preservativo" su RAI 1 succede il putiferio.




CIAO PEROGATT
15 dicembre. E' morto PeroGatt, alias Carlo Peroni. Ho una sua striscia originale, della serie scritta da Castelli "La vecchia casa oscura". Ha disegnato però, oltre a quella, centomila altre divertentissime cose. Ma per me resterà sempre l'autore di Nerofumo, il simpatico negretto che usciva sulla rivista "Piccolo Missionario", che mia madre mi comprava in parrocchia all'uscita dalla messa, quando ero bambino.








SANTI E VAMPIRI
16 dicembre. Sto leggendo "Santi e vampiri" di Carlo Dogheria, edizioni Stampa Alternativa. E' così interessante che soltanto ieri sera ne ho divorato più della metà. Il capitolo sui masticatori di sudari ( cadaveri che nella tomba si sentono rodere i loro vestiti) è strepitoso. Ma sono soprattutto le leggende sui corpi dei santi che mi sembrano fantastiche. Ci sono santi che dalla loro tomba cantano durante la messa insieme ai fedeli; altri che, spogliati dopo la morte, provvedono a coprirsi da sé le pudenda. Dalla quarta di copertina: “santi che storpiano bambini colpevoli di giocare nei pressi della loro tomba, santi che espellono altri defunti di cui non gradiscono la sotterranea vicinanza, santi che accecano il custode della chiesa reo di avere spento la lampada davanti al loro sepolcro”. Non crediate che stia scherzando con i santi, che meritano ogni rispetto: casomai si scherza con dovesse prendere sul serio queste cose (e di sicuro anche i santi ridono di loro).



DITA NEL NASO
18 dicembre. Moreno Burattini con le dita nel naso.





SENTI QUESTO
20 dicembre. Non ho mai capito perché chi ascolta la musica straniera si debba ritenere superiore e si consideri in diritto di guardare con disprezzo chi segue invece i cantautori o i gruppi italiani, ma tant'è: ormai me ne faccio una ragione. Continuo a non cogliere lil motivo per cui "L'isola che non c'è" di Edoardo Bennato debba essere snobbata in favore, non so, di un qualunque pezzo di Bob Dylan. Non si possono ammirare entrambi? A confortarmi giunge per fortuna una recensione di Paolo Giordano riguardo un libro di Alex Ross intitolato "Senti questo" (Bompiani). Non ho letto il saggio di Ross, ma Giordano commenta così: "Basta con i tromboni, con gli ascoltatori a compartimenti stagni, quelli che amano solo il rock, quelli che solo il jazz: la musica dopotutto si divide solo in due categorie, quella che piace e quella che no. (...) La musica bisogna accettarla con libertà. Senza libertà non c'è arte e neppure musica. Oppure sì, c'è musica: ma l'avete già sentita e che noia. Sfrondate i luoghi comuni e vi accorgerete di quanta bella musica avete intorno senza neppure saperlo".




CHE PIZZA
21 dicembre. La pizzata natalizia zagoriana è stata un successo di affluenza all'insegna del divertimento e della simpatia. Gianni Sedioli ha realizzato un disegno, che subito posterò, distribuito in fotocopia su cartoncino a tutti gli intervenuti. In redazione, grandi arraffi di poster, di albi e di gadget. Tra quelli venuti da più lontano, alcuni dalla Toscana e dal Veneto. Il più giovane dei presenti aveva diciassette anni, il più anziano settanta. Zagor, un eroe per tutte le età.



SOGNO CB
22 dicembre. Ho guidato per più di tre ore, da Milano alla Versilia, tornando a casa dopo il turno di lavoro in redazione. Di solito ascolto un audiolibro ma questa volta non avevo la mia macchina e il lettore di quella in prestito non leggeva, chissà perché, i CD mp3. Così, ho attaccato lo spinotto dell'iPod lasciando libera la selezione dei brani casuali tra gli oltre ottomila che ci ho messo dentro. Così tanti che davvero non posso immaginare che cosa salterà fuori dal gioco random. Capita così di scoprire cose mai sentite prima e avere delle rivelazioni; oppure ritrovare brani che non si ascoltano da vent'anni e commuoversi sommersi dai ricordi che suscitano ("barconi abbandonati / che smuovi dentro me", canta Qualcuno). Oggi pomeriggio, il brano dell'amarcord che mi ha lasciato scosso per mezz'ora è stato "Sogno CB", scritto da Euro Cristiani per la voce di Umberto Tozzi (una delle pochissime canzoni che Tozzi non si è scritto da solo), riemerso dalla nebbia della memoria squarciandone il velo con un la forza di un laser. Ma per ognuno, ne sono sicuro, ci sono brani in attesa di essere scoperti o recuperati.



BASTA LA PAROLA
23 dicembre. E' buffa la pubblicità del televisore a comando vocale. Primo, perché se devo sedermi perfettamente allineato e scandire con lentezza "X Box riproduci", faccio prima a premere un tasto del telecomando stando stravaccato sul divano con la testa dove mi pare. Secondo, perché pretendere che un toscano di dire "Ics box", e non "Iss bosse" come ci viene naturale, è sottoporci a una tortura. Poi uno si chiede: ma quelli con l'erre moscia, come fanno a dire "riproduci" e farsi capire? Nella pubblicità si vede gente sorridente chiedere di vedere "Immaturi". Ottimo. Ma se uno volesse vedere "Eyes wide shut"? E' richiesta la pronuncia esatta? E i romani che dicono "bira" e "guera" con una erre sola, se chiedono "La guera dei mondi", X Box decifra? E quelli che di notte, quando tutti dormono, vogliono vedersi "Le contadine libidinose con le cosce spalancate" senza farsene accorgere, devono dire il titolo a voce alta che si sente in tutto il casamento?



COSE TURCHE
23 dicembre. Copertina di una delle primissime edizioni turche di Zagor (1962). Illustrazione di Samtm Utkun, autore locale.



SUN E SON
24 dicembre. Nella sua raccolta di saggi "Passato e futuro" (SIAD, 1979), Isaac Asimov, in un suo articolo sulla storia del calendario intitolato "Sul tempo" parla a un certo punto del Natale (pag. 143). Lì, racconta come in epoca romana esistesse già un periodo di festività coincidenti con il solstizio d'inverno (tra il 21 e il 22 dicembre di ogni anno) chiamate "Saturnalia". Si festeggiava la rinascita del sole, visto che da quel momento in poi, dopo un periodo in cui le ore di luce erano costantemente andate diminuendo, le giornate riprendevano ad allungarsi. Scrive Asimov: "Era una festa troppo allegra ed amata per poter essere abbandonata, così che la Chiesa fece la cosa migliore adottandola". Fin qui, tutto bene. A questo punto Asimov, con il suo solito humour e i suo amore per i calembour, aggiunge: "Il nome venne mutato in Natale, e così ogni 25 dicembre ancora celebriamo la nascita del sole (o del Figlio, se preferite)". Il traduttore (Davide Dettore) non mette nessuna nota e non spiega in nessun modo la battuta fra parentesi. Io però, già a diciassette anni, mi misi a rifletterci e giunsi alla conclusione che nel testo inglese ci doveva essere un gioco di parole tra "sun" e "Son". "La nascita del sole" (sun) dei Saturnalia diventava "la nascita del Figlio" (Son) del Natale cristiano. Figlio inteso come seconda persona della Trinità, ovvero come Gesù. Mi sono scervellato per anni su come si potesse rendere in italiano il testo inglese (un po' come per "The importance of being earnest" di Oscar Wilde, secondo me traducibile con efficacia solo con "L'importanza di essere franco", o Franco). L'unica possibilità è giocare sull'ambivalenza della parola "luce": luce del sole, Luce del mondo. Ma non è granché. Comunque sia, per trentadue anni sono rimasto con il desiderio di spiegare a qualcuno questa faccenda, e adesso mi sono tolto lo sfizio di raccontarla.




BEN BARDATI
27 dicembre. Scrivo da un romantico agriturismo sull'Appennino, in provincia di Parma. Cucina vegetariana, stanza romantica con idromassaggio per due, aria buona, fredda e pungente, gite in borghi bellissimi nei dintorni. Ieri, per esempio, visita a Bardi. Oltre che il famoso castello (ahinoi, chiuso), ho voluto vedere i bar del posto. Sono un richiamo irresistibile per un amante dei giochi parole come me. Perché? Ma è chiaro: mi sono fatto fare persino delle foto, davanti ai BAR DI BARDI. Dato il freddo, ci siamo andati ben bardati.



IL MISTERO DELL'ISOLA
28 dicembre. A Milano, dopo un ultimo controllo in redazione, ho consegnato alle stampe le 286 tavole del Maxi Zagor "Il mistero dell'isola", in uscita a metà gennaio. Si tratta di una storia piuttosto insolita per struttura narrativa e piena di personaggi, che mi è venuta in mente dopo aver sentito Joevito Nuccio parlarmi a lungo, con grande entusiasmo, del serial TV "Lost", nell'estate 2008, quando giravamo insieme la Sicilia e ancora la serie non era finita e dunque non si sapeva quale fosse la spiegazione di tutto l'ambaradan (ammesso che oggi lo si sappia). Non ho mai visto una sola puntata di "Lost" e dunque sono certo di non esserne stato influenzato. Però, lo spunto nasce da lì. Sandro Chiarolla, bontà sua, si è detto entusiasta del racconto mentre lo portava avanti con l'estro che lo contraddistingue, difficile da imbrigliare ma appunto per questo in grado di dare straordinari risultati a livello emotivo per dinamicità, espressività e suggestioni scenografiche. A mio parere questo Maxi è il suo miglior lavoro da quando presta il suo tratto graffiato allo Spirito con la Scure. Le lettrici, del resto, di solito sono concordi nel dire che il suo è lo Zagor più fico di tutti. La copertina di Ferri è molto bella. Perciò, sono ansioso di farvelo leggere.




SONO SEMPRE I MIGLIORI QUELLI CHE SE NE VANNO
28 dicembre. La scomparsa di Cita mi ha commosso. Dobbiamo parlare di lui al maschile, perché era un maschio. Credo di dovergli tanto, per la gioia che mi ha dato da bambino, quando ancora era facile vedere in TV i film di Tarzan con John Weissmuller. Di sicuro, qualcuno avrà commentato parlando di sfruttamento degli animali per fini commerciali o di chissà quale servilismo o sudditanza del simpatico scimpanzé nei confronti dei "padroni" umani. Io preferisco vedere in Cita un simbolo dell'amicizia che può legare gli homo sapiens con il resto del creato. Di sicuro, l'ottimo attore quadrumane ha instillato nei piccoli spettatori come me soltanto amore verso la natura e verso gli animali.